(Foto presa dal web) |
Mi occorre parecchio tempo non tanto per fare, quanto per assimilare cose, metabolizzare discorsi, eventi, novità che a volte restano lì, come un boccone che si ferma in gola e non vuole andar giù.
Fatico a scrollarmi di dosso certi accadimenti che non scorrono più via come una volta, simili ad acqua fresca, ma mi si attaccano addosso con un'azione persistente ed erosiva e, prima che li abbia focalizzati e rielaborati, ce ne vuole.
Ma talora accade il contrario con gli eventi positivi. Se certi problemi restano troppo a lungo a erodere l'anima, d'altra parte ciò che di bello la quotidianità ci offre viene spazzato via in fretta da un turbine di pensieri invadenti, mentre richiederebbe un tempo più tranquillo per essere trattenuto e gustato fino a radicarsi in noi e germogliare in un sorriso.
Il risultato è che a volte ho la sensazione di aver lasciato indietro pezzi di me, di essere avanti con la testa e indietro col cuore, quasi che una parte fosse rimasta nel passato, ferma a quanto ho visto, vissuto, detto ieri o l'altroieri, e un'altra proiettata in un futuro che non esiste ancora.
Forse capita a tanti, e ne deriva un tempo ansioso che ci porta via da noi stessi, un continuo fluire privo di un punto fermo nel quale finisce per dissolversi anche il presente. C'è qualcosa di sotterraneo infatti che, nella fuga dei giorni, talora ci strattona in direzioni opposte e ci divide interiormente.
E mi tornano in mente i versi drammatici di un famoso sonetto del Petrarca:
"La vita fugge e non s'arresta un'ora
e la morte vien dietro a gran giornate
e le cose presenti e le passate
mi danno guerra e le future ancora...".
Sento qualcuno che - sia pure sottovoce - protesta: ma perchè ci rattristi con queste considerazioni, proprio adesso che siamo quasi a Natale?
No, amici, spero di non rattristare nessuno, ma resta vero che certe sensazioni - mie, ma non solo - vengono acuite dalla concitazione del periodo prenatalizio, affascinante per certi versi, ma sconnesso e dispersivo per altri.
Un tempo che pure adoro, ma che può rischiare di frantumarci in mille pezzi.
Mi piace allora pubblicare un brano del compositore irlandese Charles Villiers Stanford (1852 - 1924), il cui testo mi ha particolarmente colpito.
Si tratta di un mottetto a sei voci miste intitolato "Beati quorum via" e ispirato al primo versetto del Salmo 119 che recita appunto:
"Beati quelli che sono integri nelle loro vie, e camminano nella legge del Signore".
A parte la bellezza della musica e la splendida interpretazione dell'ensemble Voces8 - gruppo britannico specializzato in canti a cappella, con un repertorio che va dal Rinascimento ai giorni nostri - ad attirare la mia attenzione è stata una parola del testo latino: "Beati quorum via INTEGRA est".
Integra, appunto: termine che rimanda prima di tutto a un'idea di correttezza. Di solito infatti, definiamo così una persona onesta, incorrotta, pura e osservante delle leggi.
Ma proprio per questo, occorre ricordare che integro significa anche intero, non spezzato, non frantumato, non disperso insomma, e può certo riferirsi all'unità interiore di chi è se stesso in tutto ciò che fa. A tale condizione, tanti e diversi possono essere i sentieri che ogni giorno ci si trova a percorrere, ma senza mai perdere di vista quel centro che ci anima dal profondo.
Un esordio, questo del Salmo, che mi suona particolarmente significativo, soprattutto se il tempo, col suo concitato susseguirsi di eventi, rischia di portarci via da noi stessi, rendendoci simili a un puzzle le cui tessere non s'incastrano più, come lamenta - nella foto in alto - il nostro amico Snoopy.
Ma al di là delle parole, è anche la soavità della musica di Stanford, insieme alla straordinaria purezza vocale del coro, a raggiungerci con intensità.
Mi pare infatti che queste note - come accade in ogni esperienza di bellezza - ci conducano verso una pacificante attitudine contemplativa, capace di ricomporre gradatamente i nostri pezzi e di farli, finalmente, combaciare.
Buon ascolto!