Visualizzazione post con etichetta Piazzolla. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Piazzolla. Mostra tutti i post

martedì 16 ottobre 2018

Silenziosa, vibrante passione

(foto presa dal web)

Chissà perchè, talora, alcuni credono che parlare di passione significhi far riferimento a sentimenti espressi sempre con grande irruenza, o ad una sfera di comportamenti perennemente agitati, nel bene come nel male.
Lo dimostra il fatto che, anche nel linguaggio comune, la parola stessa è spesso associata all'idea di febbre o di violenza.

Che sia amorosa, politica, artistica o sportiva, della passione infatti si sottolinea di solito la forza, la suggestione, il dominio assoluto che essa può esercitare su di una persona, prendendo possesso del suo cuore e di tutte le sue facoltà. 
Il vocabolario, a proposito dei vari campi a cui il termine può essere applicato, parla di delirio, furore, sofferenza, tormento, impeto, slancio, e l'impulso di un'anima appassionata è definito come amore ardente o paragonato proprio a un fuoco che divampa con veemenza.

E non si pensa invece che l'intensità di un sentimento - se certo si può osservare anche attraverso le sue espressioni e manifestazioni esterne - non è meno profonda quando esso è vissuto nel silenzio, in una dimensione tutta interiore. Anzi, il silenzio e la solitudine talora ne affinano il tocco, ne accrescono la carica alimentandone a volte il fuoco segreto, forse per questo ancor più bruciante.
Lo si può constatare a più livelli. Senza divagare troppo, basta considerare il mondo della poesia, per vedere che non sempre la forza di una passione coincide col romantico "Sturm und Drang", e per scoprire quali sentimenti traboccanti possano abitare invece il cuore di personalità schive dall'esistenza magari apparentemente sbiadita. 
Un nome su tutti: Emily Dickinson, a proposito della quale non è un caso che il film uscito di recente sulla sua vita s' intitoli proprio "A Quiet Passion".  
Un titolo ossimorico che, nella sua contraddizione, ci restituisce il senso di una fecondità artistica nata da un silenzioso, progressivo sottrarsi alle convenzioni e ai contatti esterni. Un isolamento che non ha impedito alla poetessa americana di affermare se stessa, rendendo ancor più acuto il suo sguardo sulle cose e più vibrante il mondo di emozioni espresso dai suoi versi.

Sto divagando, lo so, ma a suggerirmi questi pensieri non è stata una lettura poetica, bensì un brano di musica che - seppur lontano da tali riferimenti nel tempo e nello stile - in realtà mi pare tanto intriso di struggente passione proprio quanto la melodia è misurata e lieve. 
Si tratta di una composizione famosissima, dalla quale non ero mai stata particolarmente affascinata come ascoltando questa interpretazione che per me ha avuto la freschezza della scoperta.
È il violinista Gidon Kremer a suonare qui "Oblivion", il pezzo forse più conosciuto di Astor Piazzolla (1921 - 1992) tratto dall'omonimo cd del 1998, in una lettura che, insieme ad un ritmo pacato, ci restituisce tutto il fascino e la sensualità del brano.
Qui la musica è un filo che si dipana sottile, un'aria sofferta cui ben si adatta il titolo "Oblivion" - oblio, dimenticanza - che, a maggior ragione, fa risaltare invece una passione sottesa, ora languida e malinconica, ora carezzevole e delicata anche dove il tema si fa più vivo.
A questo contribuisce l'interpretazione di Kremer che di ogni nota ci offre un suono misuratissimo, un tocco che nasce dal profondo, dalle prime battute fino alla conclusione in cui la melodia - così come all'inizio - si assottiglia tremante, simile quasi a una linea tratteggiata che via via si perde, a un ricordo che va a svanire nella memoria...
Un Piazzolla ricco di seduzione che ci porta via con sè nel suo ritmo sognante, sottolineato dai pianissimo e - qui in particolare - dalla morbidezza del violino.
Una musica appassionata che non si esprime in un gesto aggressivo, ma in un silenzioso, intensissimo moto dell'anima, simile a uno sguardo lieve eppur carico di sottintesi.

Buon ascolto!

 

sabato 4 febbraio 2017

L' "Invierno" di Mariusz

Esistono musiche capaci di conquistarci al primo ascolto: a volte per lo splendore della melodia, altre per il ritmo, per l'accompagnamento orchestrale o per la particolare bravura del solista. 
Talora per tutte queste cose insieme.

E' il caso del brano che vi propongo oggi e che mi ha preso subito con profonda passione, nonostante appartenga a un genere col quale non ho mai avuto particolare familiarità. 
Un tango, come potete arguire dalla foto, ma scritto da un mago della musica: Astor Piazzolla (1921 - 1992)
Del compositore argentino avevo pubblicato parecchio tempo fa "Fuga y Misterio", splendido pezzo dal ritmo acceso e trascinante che - se volete - potete riascoltare qui. Poi, però, non mi ero soffermata più di tanto su questo genere musicale ed ero passata via.

Ritorno oggi a Piazzolla con "Invierno porteno", tratto da "Las Cuatro Estaciones Portenas": composizioni di tango sulle quattro stagioni della città di porto di Buenos Aires, inizialmente concepite come brani a sè stanti e, a seguito poi di vari arrangiamenti, riunite in un'unica suite.
E' un tema di lunga tradizione quello delle stagioni, coniugato in forme diverse, con precedenti più che famosi a iniziare dai celebri concerti di Vivaldi, per proseguire con l'oratorio di Haydn, i pezzi per pianoforte di Tchaikovsky sui singoli mesi, fino al tango del musicista argentino.
Tuttavia, di questo tema Piazzolla non sviluppa gli aspetti più tipicamente descrittivi legati al mondo della natura, ma coglie il respiro di Buenos Aires nei diversi momenti dell'anno attraverso la danza, ora lenta e struggente, ora vivace e briosa.
Una musica, la sua, sempre appassionata e ricca di contrasti che alternano l'accattivante scatto ritmico del tango ad un romanticismo sensuale e intriso di malinconia, com'è evidente proprio da "Invierno porteno", rielaborato nel tempo per differenti organici a cominciare dalla presente versione per orchestra d'archi.
Si tratta di un arrangiamento nel quale riecheggiano "Le quattro stagioni" di Vivaldi, facilmente riconoscibili a 2,30 dall'inizio in alcuni vibranti accordi del terzo movimento dell' Estate. Ma anche il breve pizzicato finale ci riporta al Largo dell' Inverno, intrecciato ai rasserenanti passaggi del Canone di Pachebel che concludono il brano sciogliendone tutta la tensione in dolcezza.
Insomma, una meraviglia assoluta!!!
 
Pregevolissimo interprete il violinista polacco Mariusz Patyra che i lettori di questo blog forse ricordano quale mirabile solista nel "Concerto per violino" di Giovanni Allevi, di cui potete riascoltare qui i primi due tempi: "Mosso"  e "Adagio".
La sua esecuzione di "Invierno porteno" ci consente di cogliere tutta la malinconia insieme alla struggente intensità del brano di Piazzolla, ma anche i passaggi in cui la musica si fa improvvisamente nervosa e scattante. 
Un suono versatile il suo, che passa con facilità dal registro languido dei lunghi glissati del violino, ad un altro più vivace, talora graffiante e altrove più giocoso.
Un solista che è una cosa sola col proprio strumentocome certo accade per tanti altri interpreti. Tuttavia, da lui la musica sembra nascere con particolare fluidità e scorrere nitida, senza sforzo alcuno, ora dolce e pacatissima, ora grintosa e accattivante 
Ad affascinarmi è proprio questa sua naturalezza insieme a una passione tutta interiore e - almeno così a me pare - tanto più comunicativa e toccante quanto più è sobria nel gesto
Passione e rigore intrecciati anche nell'ombra di sorriso con cui Patyra dialoga col violoncello e nel lampo di gioia che - a tratti, come fuoco nascosto - affiora dal suo sguardo.
 
Buona visione e buon ascolto!

lunedì 20 febbraio 2012

Quando si dice ritmo...

Quanto i ritmi di oggi, coniugati con le forme classiche, diano luogo a composizioni musicali ricche di originalità e fascino lo dimostrano parecchi artisti contemporanei.
I veri innovatori, infatti, in molti casi hanno preso le mosse dai grandi del passato, anche se poi - con un'evoluzione quasi fisiologica - da questa impegnativa eredità si sono allontanati per conquistare una propria autonomia.
E' un po' il processo che avviene tra padri e figli: una sorta di innegabile dna musicale si trasmette di padre in figlio, ma si esprimerà poi con ramificazioni differenti che daranno frutti nuovi pur se nati dalla stessa radice.

E amare davvero la classicità non significa considerarla un patrimonio statico, ma farla vivere ancora oggi nelle sue forme, fusa a tutte le sollecitazioni che la compagine del presente può suggerire.


Mi pare questo - tra gli altri - il caso di Astor Piazzolla (1921 - 1992), straordinario compositore, famoso per aver rinnovato la vecchia tradizione del tango rielaborandone ritmi e sonorità. Con versatilità d'ispirazione, ha infatti creato un linguaggio originalissimo e inconfondibile, modificando anche i consueti organici orchestrali con l'introduzione di nuovi strumenti.
Ma non si può pensare che all'origine di tale processo, insieme all'amore per l'eredità musicale argentina, non stia anche una matrice classica e - parlando di ritmo - Bach prima di ogni altro.

Il brano che ho scelto dalla vastissima produzione del musicista, riprende infatti proprio una delle forme musicali più care a Bach - la fuga - unendola ai ritmi e alle cadenze del tango insieme a variazioni di grande fascino.
Si tratta di "Fuga y Misterio" tratto dall'opera "Maria de Buenos Aires", pezzo che - talora in versione classica, talaltra jazz - è stato oggetto di numerosi arrangiamenti per orchestra, quartetto d'archi o altri gruppi strumentali dove, come solisti, oltre al bandoneon troviamo chitarra, flauto, oboe, pianoforte o marimba.

Tra le varie interpretazioni tutte ricche di fascino, quella che propongo oggi del prestigioso insieme "Classical Jam", ci presenta una performance a mio avviso entusiasmante con le quattro voci della fuga affidate nell'ordine al flauto, alla viola, al violino e al violoncello accompagnati dalle percussioni.
La prima parte del brano - che oltre a Bach ci restituisce anche l'eco dei Capricci di Paganini, il n.17 in particolare - si snoda in un crescendo sempre più acceso. Dal flauto solo, al suo incalzante duettare con la viola fino al sovrapporsi di tutte le voci, si costruisce un'architettura sonora sempre più ricca di spessore, mentre gli accenti marcati delle percussioni sviscerano ogni potenzialità ritmica del tema fugato.
Segue poi una sezione melodica
molto intensa che vede protagonista il canto del flauto con le sue variazioni insieme al violino. Mentre il finale torna a farsi spiccatamente ritmato fino alla vivacissima conclusione.

Un brano costruito in modo rigoroso e trascinante ad un tempo, dove si fondono mirabilmente novità e tradizione, passionalità e precisione formale.
(Nel riquadro in alto "Fuga in rosso" di Paul Klee)

Buon ascolto!