L'occasione che ha ispirato a Shostakovic la creazione di tale opera è stato un viaggio a Lipsia nel 1950, in coincidenza con le celebrazioni per i 200 anni dalla morte del compositore tedesco.
Non è l'unico musicista che abbia preso ad esempio il modello bachiano per un lavoro analogo - prima di lui ricordiamo nientemeno che Chopin! - e del resto il "Clavicembalo ben temperato", divenuto canone del linguaggio musicale moderno, costituisce un monumento di rigore armonico e d'inventiva col quale, nel tempo, si sono confrontati svariati compositori.
Nei "Ventiquattro Preludi e Fughe", tuttavia, per la disposizione dei brani Shostakovic ha seguito un criterio diverso. Mentre Bach aveva organizzato la sequenza delle tonalità maggiori e minori partendo dal do e avanzando lungo la scala per successivi semitoni (do - do diesis - re - re diesis e via dicendo), il compositore russo ha scelto invece di procedere secondo la logica del cosiddetto "circolo delle quinte" (do - sol - re - la - mi - si - fa diesis ).
Nonostante tale differenza, qui Shostakovic testimonia comunque un vivo interesse per il contrappunto, insieme al riconoscimento della propria appartenenza ad una grande tradizione alla quale intende rendere omaggio.
Naturalmente, sono andata subito ad ascoltarmi questi brani col desiderio di ravvisare in essi i segni di uno stile già conosciuto, ma anche con la curiosità di cogliere elementi di novità nel modo in cui il compositore russo ha rielaborato gli spunti offerti dal multiforme testo bachiano.
Così ho scoperto che - ricchezza aggiunta a ricchezza - dalla rigorosa struttura del contrappunto di Bach, Shostakovic fa emergere la propria sorprendente creatività. Gioia, desolazione, maliconia, vivacità, intimità, slancio, e poi ritmi ora martellanti e accesi, ora più pacati: sembra davvero che il compositore faccia affiorare dalle note una miriade di sensazioni, andando a esplorare ogni possibilità tonale.
Il pezzo che ho scelto per voi oggi è la "Fuga n.7 in La maggiore", brano a tre voci, esattamente come la fuga corrispondente nel primo libro del "Clavicembalo ben temperato".
Si tratta di una creazione breve ma luminosissima, un "Allegretto" dall'esordio festoso nel quale l'inventiva dell'autore sembra sgorgare fresca e sempre nuova dalla successiva entrata delle singole voci e dalla ripetizione del tema fugato. Questo, infatti, ritorna irrefrenabile, coniugato in mille modi quasi a somiglianza dei mille rivoli di un ruscello e, visto che è stato chiamato in causa Bach, il paragone non mi sembra fuor di luogo.
Il brano si snoda così in una continua, scorrevole alternanza di tonalità maggiore e minore, crescendo e diminuendo: talora giocoso, talaltra soffuso di lieve malinconia, ricco di passaggi ora più nettamente scanditi, ora più dolcemente melodiosi.
E sotto le dita di Keith Jarrett, il pianoforte assume a tratti sonorità di una potenza quasi orchestrale, mentre poi digrada pacato verso la conclusione dove riecheggia luminosa l'eco dell'ultimo accordo.
Buon ascolto!