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lunedì 20 marzo 2017

A somiglianza di un ruscello....

Quando - ai primi di questo mese - ho pubblicato il dolcissimo "Andante" dal "Concerto per pianoforte n.2 op.102" di Shostakovic, consultando alcune pagine sulla vita del compositore russo, ho scoperto che ha nutrito per Bach una profonda ammirazione che lo ha portato a scrivere i suoi "Ventiquattro Preludi e Fughe op.87" sulla falsariga del "Clavicembalo ben temperato".

L'occasione che ha ispirato a Shostakovic la creazione di tale opera è stato un viaggio a Lipsia nel 1950, in coincidenza con le celebrazioni per i 200 anni dalla morte del compositore tedesco.
Non è l'unico musicista che abbia preso ad esempio il modello bachiano per un lavoro analogo - prima di lui ricordiamo nientemeno che Chopin! - e del resto il "Clavicembalo ben temperato", divenuto canone del linguaggio musicale moderno, costituisce un monumento di rigore armonico e d'inventiva col quale, nel tempo, si sono confrontati svariati compositori. 

Nei "Ventiquattro Preludi e Fughe", tuttavia, per la disposizione dei brani Shostakovic ha seguito un criterio diverso. Mentre Bach aveva organizzato la sequenza delle tonalità maggiori e minori partendo dal do e avanzando lungo la scala per successivi semitoni (do - do diesis - re - re diesis e via dicendo), il compositore russo ha scelto invece di procedere secondo la logica del cosiddetto "circolo delle quinte" (do - sol - re - la - mi - si - fa diesis ). 
Nonostante tale differenza, qui Shostakovic testimonia comunque un vivo interesse per il contrappunto, insieme al riconoscimento della propria appartenenza ad una grande tradizione alla quale intende rendere omaggio.

Naturalmente, sono andata subito ad ascoltarmi questi brani col desiderio di ravvisare in essi i segni di uno stile già conosciuto, ma anche con la curiosità di cogliere elementi di novità nel modo in cui il compositore russo ha rielaborato gli spunti offerti dal multiforme testo bachiano.
Così ho scoperto che - ricchezza aggiunta a ricchezza - dalla rigorosa struttura del contrappunto di Bach, Shostakovic fa emergere la propria sorprendente creatività. Gioia, desolazione, maliconia, vivacità, intimità, slancio, e poi ritmi ora martellanti e accesi, ora più pacati: sembra davvero che il compositore faccia affiorare dalle note una miriade di sensazioni, andando a esplorare ogni possibilità tonale.

Il pezzo che ho scelto per voi oggi è la "Fuga n.7 in La maggiore", brano a tre voci, esattamente come la fuga corrispondente nel primo libro del "Clavicembalo ben temperato".
Si tratta di una creazione breve ma luminosissima, un "Allegretto" dall'esordio festoso nel quale l'inventiva dell'autore sembra sgorgare fresca e sempre nuova dalla successiva entrata delle singole voci e dalla ripetizione del tema fugato. Questo, infatti, ritorna irrefrenabile, coniugato in mille modi quasi a somiglianza dei mille rivoli di un ruscello e, visto che è stato chiamato in causa Bach, il paragone non mi sembra fuor di luogo.  
Il brano si snoda così in una continua, scorrevole alternanza di tonalità maggiore e minore, crescendo e diminuendo: talora giocoso, talaltra soffuso di lieve malinconia, ricco di passaggi ora più nettamente scanditi, ora più dolcemente melodiosi.
E sotto le dita di Keith Jarrett, il pianoforte assume a tratti sonorità di una potenza quasi orchestrale, mentre poi digrada pacato verso la conclusione dove riecheggia luminosa l'eco dell'ultimo accordo.

Buon ascolto!

lunedì 6 marzo 2017

Disgelo

















Credo, per certi aspetti, di essere fortunata.
Se cerco una cosa, mi capita spesso di scovarne un'altra, magari più utile o significativa. Se sul web voglio trovare una determinata musica o una foto, finisco per imbattermi in brani o immagini talora più affascinanti
E quando mi sento priva di ispirazione, è la volta che aspettano delle vere e proprie sorprese.

E' il caso di qualche giorno fa quando - navigando in internet - ho scoperto il dipinto che vedete qui sopra: un'opera di Claude Monet (1840 - 1926), intitolata "La Débacle" e conservata al Museum of Art di Philadelphia. 
Conosciamo tutti lo splendore con cui l'artista ha rappresentato la natura nelle varie stagioni: prati in piena fioritura primaverile, alberi nei caldi colori autunnali, albe, tramonti, acque, ma anche paesaggi innevati che sono un vero incanto.
Non sapevo però che, dopo l'inverno, Monet avesse dipinto anche il momento del disgelo - la débacle, appunto - e l'avesse fatto non in uno solo, ma in una serie di quadri che colgono il fenomeno nelle sue progressive fasi.  
Un po' come per la Cattedrale di Rouen raffigurata più volte sotto differenti angolature di luce, e per i filari di pioppi visti nelle varie stagioni.

E' stato un evento dell'inverno del 1880 a sollecitare la creatività del pittore. 
Dopo giorni di insolito rigore atmosferico, un brusco innalzamento della temperatura aveva provocato un improvviso disgelo con la rottura del ghiaccio che si era formato sulla Senna: uno spettacolo all'inizio grandioso, poi sempre più rarefatto e malinconico. Tra i diversi dipinti che Monet vi ha dedicato, ho scelto quello che vedete perchè mi è parso il più suggestivo sia per le tinte che per l' inquadratura.
E' l'insieme dei colori a colpirmi: una fusione di azzurri, bianchi e grigi, leggeri e vibranti, sfumati e brumosi che creano quasi un effetto monocromo. 
Poi la Senna, larga e maestosa nel suo scorrere calmo che neppure di avverte, costellata di piccole lastre di ghiaccio che ci restituiscono il duplice fascino del disgelo: malinconica superficie in disfacimento, ma al tempo stesso fiume che torna a vivere.  
Sono proprio quelle lastre bianche a individuare la prospettiva, consentendo allo spettatore di spaziare con lo sguardo verso l'orizzonte dove gli alberi si riflettono nell'acqua, ma pure si confondono col cielo in un'aura che sfuma indefinita...
Puro paesaggio, quindi: una visione evanescente in cui i veloci tocchi di pennello fanno vibrare ogni aspetto della natura: dalle chiome degli alberi ai lievi arbusti sulla riva del fiume, dai riflessi nell'acqua fino all'aria stessa.

E mi piace associare l'atmosfera brumosa del dipinto di Monet, ad un brano che mi pare possa rispecchiarne qualche aspetto.
Si tratta del secondo movimento, "Andante", dal "Concerto in Fa maggiore per pianoforte e orchestra n.2 op.102 " del russo Dmitri Shostakovich (1906 - 1975).
Siamo ben lontani, qui, dai toni forti e dal ritmo trascinante e concitato del "Waltz n.2" con cui il compositore è più conosciuto dal grande pubblico.
L' "Andante" ci regala infatti un brano sfumato e intenso, assorto e profondo fin dalle battute introduttive che poi, all'attacco del pianoforte, si aprono in una semplicità luminosa e ricca di trasparenze. 
Tuttavia l'atmosfera del pezzo torna ancora a farsi indefinita e sognante,  lievissima ma talora smarrita, quasi ci si trovasse di fronte ad uno spazio ignoto che pure ci allarga il respiro.  
Come quando il gelo del cuore si scioglie e un sentimento nuovo inizia a palpitare, prima delicato e romantico, poi più nostalgico ma sempre pervaso da un senso di dolcissimo abbandono
Un disgelo non privo di una sottile malinconia che talora può suscitare sgomento, ma nelle note che ripercorrono più volte lo stesso tema - così come nell'acqua che torna a scorrere - è nascosto un preludio di primavera.

Un brano in cui riecheggia quel romanticismo russo che fa capo a Rachmaninov, ma in taluni passaggi del pianoforte si avverte anche - così almeno a me pare - la lezione dei grandi del primo Ottocento, declinata tuttavia nello spirito di un tempo nuovo.

Buon ascolto!