martedì 30 gennaio 2018

Bar della stazione

E. Manet: "Un café en place du Theatre Francais"
Più di un mese è già trascorso dall'inizio dell'inverno e le giornate, pian piano, si stanno allungando.
Bello alzarsi col chiaro e scoprire l'azzurro - quando c'è - appena fuori dalla finestra: la casa si riempie di luce e se ne avvantaggia anche l'umore.
Eppure, sembrerà strano, ma ogni tanto ho nostalgia di quelle mattine in cui mi svegliavo presto e uscivo ancora col buio.
Qualche anno fa, una volta alla settimana frequentavo un corso a Milano e avevo il treno verso le 7,30. Da casa mia alla stazione c'è un bel pezzetto di strada che di buon passo macino in dieci minuti o poco più. Considerata la distanza e l'imprescindibile necessità di passare al bar a dare la sveglia ai miei neuroni col primo espresso della giornata, alle sette mi catapultavo fuori nel buio e nel freddo, talora anche nella nebbia. 
Ma al mio arrivo, venivo ripagata dalla cornice calda e luminosa del bar della stazione dove prendevo con calma il mio caffè e un pezzetto di brioche.

Qualcuno penserà che preferire un luogo estraneo come questo - una sorta di porto di mare - alla familiare cucina di casa sia una scelta che mette tristezza. E invece no!  
Anche adesso, se mi capita di dover prendere un treno di prima mattina, l'idea del caffè in stazione mi rallegra. So bene che la colazione con cui si inaugura la giornata dovrebbe essere uno spazio di serenità per conciliare il cuore con gli impegni che verranno e - se si può - è meglio scegliere una cornice che abbia il tocco del calore e del garbo.
Da questo punto di vista, il mio bar della stazione è perfetto: stanza ampia, luminosa e banco che si allunga ad angolo onde evitare che la gente resti in coda. L' arredamento - diciamolo - non è gran che, un ambiente semplice come tanti, ma a renderlo speciale è l'accoglienza che vi si respira.
Lo gestiscono due ragazzi ventenni o poco più che - quasi fossero persone di famiglia - conoscono a memoria le abitudini di tutti i pendolari del mattino, compresi i saltuari come me.
C'è Giuseppe (ndr.: nomi di fantasia ovviamente) a cui il caffè piace bollente, Claudia che ha spesso il treno in ritardo, ma si rintana in un angolo e vuole il cappuccio solo all'ultimo minuto: il ragazzo del banco lo sa tanto che, quando lei arriva, lancia un'occhiata al quadro dei treni in partenza e uno a lei per regolarsi. C'è Giovanna a cui tener da parte - quando si può - la sfogliatina alla mela e poi ci sono io che voglio sempre un sacchetto per metter via il resto della brioche che non mangio subito. Ma ormai non ho bisogno neppure di chiedere perchè, prima ancora che fiati, tutto mi viene posato accanto con discrezione e un sorriso.

Certo, sono attenzioni normali in qualunque altro bar soprattutto con i clienti assidui, ma qui respiri un calore accogliente che ti mette a tuo agio. E poi non c'è quel concitato vociare di altri locali e nessuno ti obbliga ad attaccar discorso: se vuoi parlare, parli, se vuoi restare nel tuo brodo mentre lo specchio dietro al banco ti rimanda un'espressione assonnata, padronissimo.
In genere, però, io mi guardo intorno: mi piace osservare come la gente inizia la giornata. E di solito sono piccoli gesti: chi dà un'occhiata ai giornali, chi messaggia sul cellulare, chi invece carbura lento e si concentra sul caffè, e chi si scalda le dita intorno alla tazzina come faccio sempre io.
Poi, quando esco per avviarmi al binario, incrocio i miei studenti, gli ex. 
Ci salutiamo di corsa ma con grandi sorrisi chiedendo notizie dei rispettivi impegni, e ci auguriamo buona giornata con un cameratismo ormai alla pari, come navigati lupi di mare che tornano ciascuno alla propria barca per riprendere il viaggio.

Momenti di quotidianità spicciola che mi sono tornati in mente in questi giorni e ai quali ho voluto dare una colonna sonora. Non un brano vivace o altisonante, ma una musica tranquilla, quasi un sottofondo in armonia con chi al mattino - magari non ancora del tutto sveglio - si affida a una sua interiore routine di abitudini.
Così, ho pensato ad un pezzo conosciutissimo di Franz Schubert (1797 - 1828): il "Momento musicale in fa minore op.94 n.3" per pianoforte solo, qui interpretato da David Fray. 
Si tratta di un brano molto breve, una composizione orecchiabile segnata da un ritmo che sembra proprio accompagnare il nostro cammino e da una melodia che - alternando tonalità minore a maggiore - s'insinua in noi come un ritornello conosciuto e vagamente ballabile.
Ho scelto questa interpretazione perchè risulta più pacata rispetto ad altre a mio avviso troppo scandite e veloci. Il pianista ci restituisce infatti un'aria - e un'aura - ricche di morbidezza: il suo è un giocare sugli staccati e sulle dinamiche del pezzo, facendone affiorare il piano e il forte, la lieve malinconia e la luminosità,  con tocchi ora leggeri, ora nitidi e passaggi qua e là dolcemente più lenti. 
Un David Fray concentratissimo che sembra quasi suonare solo per sè, meditando in cuore la cantabilità e il ritmo di queste note come una sorta di leitmotiv della giornata.

Buon ascolto!

mercoledì 24 gennaio 2018

Coltivare la passione

Oggi il nostro amico Snoopy dirige l'allegra compagnia dei Peanuts.
Questa foto - trovata tempo fa sul web e a dire il vero ancora un po' natalizia - mi è piaciuta subito, e per la simpatia che nutro nei confronti dei personaggi creati da Schulz, e perché sono raffigurati in una delle più belle esperienze che la vita ci possa regalare: cantare in un coro.
Eccoli, sotto la direzione di un serissimo Snoppy: belli, eterogenei, colorati, ma soprattutto profondamente compresi nel loro ruolo.

Già più volte mi è capitato di sottolineare la molteplicità degli aspetti positivi insiti nell'esperienza del canto corale: l'abitudine ad ascoltare armonizzando la propria voce con quella degli altri, l'attenzione alle indicazioni del maestro, il coraggio di mettersi alla prova scoprendo in sè doti ma talora anche limiti e via dicendo.
Oggi però vorrei sottolineare la pazienza e la passione, due elementi che sempre devono camminare insieme in ogni attività. Se manca infatti una passione che accenda il cuore, la pazienza resta fredda e destinata a venir meno col tempo; tuttavia senza di essa, anche la passione più viva resterà vuota e finirà per spegnersi come un fuoco di paglia. 
E' infatti solo tale binomio che permette di perseverare in un compito e - per restare in campo musicale - di reggere, per esempio, una serie di prove passate a ripetere e ripetere per un imprecisato numero di volte lo stesso passaggio perchè risulti perfetto.

Per questo, provo tenerezza e insieme ammirazione per quei bambini formati alla disciplina del canto corale come - per citarne solo alcuni - i componenti del coro della Cattedrale di Berlino che avete ascoltato qui poco tempo fa, quelli del famosissimo Thomanerchor di Lipsia, del King's College Choir di Cambridge, del Tölzer Knabenchor o - per tornare in Italia -  del Coro della Cappella Sistina. 
Mi fanno pensare a terra coltivata con pazienza e perseveranza in vista della fioritura, perchè quella che ricevono attraverso il canto è un'educazione che resterà come fondamento. Essa infatti consente loro di cogliere la bellezza non solo in uno spartito musicale, ma anche in se stessi e negli altri, scoprendo una fonte di gioia cui fare riferimento anche quando l'esperienza di coristi sarà magari solo un ricordo.

Così, in linea con questo discorso, propongo al vostro ascolto proprio il Thomanerchor di Lipsia che ho appena ricordato, in un brano di Felix Mendelssohn Bartholdy (1809 - 1847). 
Tratto dall' Oratorio "Elias" op.70, è il coro intitolato "Denn er hat seinen Engeln befohlen" che riporta i versetti 11-12 del Salmo 90: "...perchè ha ordinato ai suoi angeli di custodirti in tutti i tuoi passi. Sulle loro mani ti porteranno perché non inciampi nella pietra il tuo piede".
Il canto è molto pacato non solo per la necessità di armonizzarsi con il significato del testo, ma anche per la soavità propria di tante composizioni di Mendelssohn che ritroviamo in vari pezzi - per certi aspetti simili a questo anche se di argomento profano - come per esempio il Lied "Abschied vom Walde".
Osservando la clip-video, ancora una volta mi colpiscono la freschezza e la serietà dei giovani coristi, ma insieme l'intensa direzione di Georg Christoph Biller che li guida cantando il brano senza smettere mai di sorridere. 
Passione, perseveranza e un' attenzione allo splendore della musica che coinvolge tutti, e che in tutti fa affiorare la luce che ciascuno porta in sè.

Buona visione e buon ascolto!

lunedì 22 gennaio 2018

Ricordando Audrey

  LA PAISIBLE AWARD, PREMIO AUDREY HEPBURN.
Fiori di Audrey Hepburn - olio su tela - 1969 - proprietà di Sean Hepburn Ferrer




















Ringrazio di cuore l'amica Pia del blog "I Pensieri di P."  per aver pensato anche a me nell'assegnare il riconoscimento intitolato: La Paisible Award - Premio Audrey Hepburn.
Si tratta di un premio ideato da Mariella del blog  "Doremifa-sol, libri e caffè" nel venticinquesimo anniversario della morte dell'attrice, a ricordo di una donna che si è distinta non solo per l'indiscussa bellezza e bravura nel cinema, ma anche per l'umanità che l'ha portata ad essere - tra l'altro - ambasciatrice Unicef. 
Ma Audrey è stata anche pittrice e il premio pensato dalla nostra amica blogger consiste proprio nell'immagine che vedete in alto e che riproduce un suo dipinto.

Un simile riconoscimento mi lusinga e insieme mi sorprende perché, francamente, non sono sicura di meritarlo. Tuttavia, lo accetto volentieri per la profonda gratitudine che provo verso Pia, Mariella e tutti coloro che, passando nel mio blog ad ascoltare i vari brani di musica, vi si soffermano con tranquillità e forse anche con gioia, realizzando così lo scopo di questo mio piccolo spazio web.
Ora, nella necessità di nominare altri blog cui passare il premio, ne indico tre e precisamente:

PoesieIntornoAlFuoco 

Andante con gusto

mostrelibriluoghi

Infine, a tutti voi che passate di qui dedico un celebre pezzo di Piotr Ilic Tchaikovsky.
Si tratta del brano introduttivo della Suite da "Il Lago dei cigni" op.20 che, con la sua eleganza, mi pare in armonia con lo stile della grande attrice che Mariella ha voluto ricordare. 
E a questo proposito, ho riportato, tra le tante, due foto che, pur ritraendo la Hepburn in momenti diversi della sua vita, ne colgono entrambe il fascino e la classe.
Tenerissima e dolce l'immagine qui a lato che la ritrae mentre tiene tra le braccia uno dei figli. 
Ma altrettanto incantevole - a mio avviso - quella che vedete in alto, nella quale i segni del tempo non hanno minimamente appannato il sorriso e lo sguardo di Audrey, ma al contrario, ne hanno sottolineato intensità e splendore.

Ancora GRAZIE e buon ascolto!

domenica 14 gennaio 2018

Neve di gennaio

(Foto prese dalla pagina Facebook "La valle di Cogne")
È nevicato parecchio.
La neve tanto attesa è scesa insolitamente fitta e copiosa su tutto l'arco alpino, creando talora alcuni disagi, ma offrendoci anche uno spettacolo che da anni ci mancava.

Guardo le immagini del mio paesetto di montagna trovate sul web e vado cercando il panorama che ben conosco nella nuova fisionomia del paesaggio invernale: una baita, una fontana, un sentiero ormai affondato nel biancore, il cielo grigio che nasconde le abetaie, il silenzio.
Tutto ormai ha un aspetto diverso ed è proprio questo a condurmi indietro negli anni e al tempo stesso avanti, in una dimensione per certi versi familiare ma per altri straniante.
Da un lato, le foto mi riportano alla mia infanzia e alle figure del mio libro di prima o forse seconda elementare. 
Era il mio approccio con il mondo attraverso le immagini delle stagioni, dove l'inverno era un piccolo universo familiare e raccolto di cui scoprire l'intimità e davanti al quale lasciarsi cullare dallo stupore. Immagini destinate a fissarsi nel cuore e alle quali riandare talora con nostalgia di bambini, come a un sogno che da sempre ci appartiene.
Dall'altro, la grande nevicata che toglie alle cose il loro aspetto consueto mi lascia la percezione e insieme lo sgomento di un tempo nuovo e sconosciuto, di una solitudine nella quale ogni legame si dissolva e si rimanga, semplicemente, davanti a se stessi. Ma anche una solitudine dove specchiare la propria anima e accoglierne la verità - qualunque essa sia - con pacificante dolcezza.
E sento che il brano di Bach che oggi vi propongo sa farsi voce di tale percezione in modo, a dir poco, mirabile.
Si tratta del Preludio corale BWV 639 "Ich ruf' zu dir, Herr Jesu Christ" ("Io ti invoco, Signore Gesù Cristo") che molti ricorderanno di aver ascoltato - tra l'altro - all'interno della colonna sonora del film "Solaris" di Andrej Tarkovskij. 
Non ho scelto però l'originaria versione per organo, ma quella per violoncello e pianoforte che, nonostante accentui la tristezza della composizione, ne accresce a mio avviso anche il fascino e la profondità.

Il pezzo si snoda lento nella malinconica oscurità del fa minore, segnato dal canto dolente del violoncello, accompagnato con passo sempre uguale dal pianoforte e tuttavia non privo di aperture di luminosa speranza negli splendidi passaggi in tonalità maggiore fino al lievissimo finale. 
Scritto dal compositore un anno prima della morte, il brano è semplice e solenne, essenziale e rigoroso: un Bach più che mai sublime nella capacità di interpretare il dolore di ogni essere umano, facendo affiorare l'invocazione che sta al fondo della sua anima.
Un brano che si addentra con intensità struggente in un abisso di tenebra, ma che su di essa proietta anche spiragli di una luce che viene dall'Alto, suggerendoci un dolce abbandono alla consolazione che ne deriva.
Così come questo paesaggio, sotto la sua coltre di neve, c'induce a contemplare la vita dentro e fuori di noi, l'antico e il nuovo, il familiare e l'ignoto, il passato e il tempo che verrà.

Buon ascolto!

sabato 6 gennaio 2018

"Laetentur caeli..."

















Il primo post del nuovo anno, in coincidenza con la festa dell'Epifania, mi induce a regalare a chi passa di qui un' Adorazione dei Magi. 
Il tema arricchisce e completa quello della Natività, e su di esso si sono soffermati moltissimi artisti dal Medioevo in poi, sia con mosaici che con dipinti o rilievi scultorei. 
Tra questi, ho scelto l' "Adorazione dei Magi" dipinta dal senese Giovanni di Paolo (1398 ca. - 1482) e conservata alla National Gallery of Art di Washington.
Il pittore si colloca all'interno di quella fase di passaggio dell'arte tra Medioevo e Rinascimento che prende il nome di Gotico internazionale.  
Si tratta di uno stile che riflette la raffinatezza della vita cortese privilegiando l'eleganza delle linee, la brillantezza dei colori e talora un ricco decorativismo: non a caso alcuni artisti, prima che pittori, sono stati eccellenti miniatori.
Insieme a tali caratteri, inoltre, le varie rappresentazioni accostano forme a volte ancora fantasiose e fiabesche ad altre che, invece, tendono già ad un'impostazione prospettica di maggiore realismo. 
Tra i vari artisti italiani, vanno ricordati Gentile da Fabriano, il Sassetta, Pisanello, Stefano da Verona e Gherardo Starnina, solo per citarne alcuni.

Ma torno al tema del dipinto. L'iconografia con cui esso viene raffigurato si compone solitamente di due parti: la scena principale dove i Magi, davanti a una grotta o a una capanna, adorano il Bambino offrendogli doni, e il corteo che li accompagna snodandosi per monti e vallate, spesso in rappresentazioni di affascinante ricchezza descrittiva come - per esempio - quella di Benozzo Gozzoli a Palazzo Medici Riccardi a Firenze.
La tavola di Giovanni di Paolo s'inquadra in questi caratteri anche se, per certi versi, fa eccezione.
Qui infatti non troviamo il corteo in tutta la sua lunghezza e il suo fasto, probabilmente perchè il dipinto - di dimensioni piuttosto piccole (27 x 46 cm.) - faceva parte di una predella formata da vari riquadri. Vi possiamo osservare tuttavia altri elementi sempre tipici del Gotico internazionale.

Un primo aspetto è l'atteggiamento dei Magi sui quali si focalizza la scena, eleganti nei loro mantelli damascati e raffigurati come di consueto in tre posture diverse: il primo prostrato ad adorare il Bambino, il secondo in ginocchio e il terzo ancora in piedi.
Altro elemento degno di nota è il contrasto evidentissimo tra la grotta scavata nella montagna - disegnata ancora in modo fantasioso e approssimativo nelle proporzioni - e l'edificio chiaro sulla destra la cui apertura richiama un arco senese e mostra un tentativo, sia pure incerto, di costruzione prospettica.
Realistico è poi il particolare delle due donne dietro la Vergine che prendono in consegna uno dei doni e - quasi appartate rispetto alla scena principale - sono forse intente a commentare tra loro l'evento.

Tuttavia, a mio avviso, il vero grande fascino di questo dipinto sta nel paesaggio che si delinea in fondo sulla sinistra, individuato con una precisione che - considerate le piccole dimensioni della tavola - rivela la straordinaria abilità pittorica dell'autore.
Meravigliosa quell'apertura sui campi coltivati, verso un orizzonte dal cielo di un blu di smalto! Ordinatissimi quegli appezzamenti di terreno scanditi da una minuziosa suddivisione geometrica! Campi coltivati che la pittura medioevale ci ha già mostrato - per esempio - nei dipinti di Ambrogio Lorenzetti, interessante documento del paesaggio agrario dell'epoca. Tuttavia, quelle colline di forma conica che sorgono improvvise dalla pianura c'inducono a sognare, in una prospettiva che - ancora una volta - fonde realtà e fantasia.
Ma affascinante anche l'accostamento di spazi lontani e vicini: dalla suggestione delle terre remote da cui provengono i Magi, sullo sfondo, alla scena in primo piano, resa più intima e familiare dal gesto del Bambino con la manina benedicente sul capo del più anziano dei re. 
Così pure, la stella in cima grotta, simile a un sole che sorge, sembra illuminare tutto il quadro, suggerendo che la nascita di Gesù in un piccolo angolo della terra è destinata in realtà al mondo intero.

E l'invito all'adorazione che ci viene da questo dipinto passa ora alla musica con un brano di Camille Saint-Saëns (1835 - 1921). 
Si tratta del famosissimo "Tollite hostias", pezzo conclusivo del suo "Oratorio di Natale op.12".
Tra le varie interpretazioni, ho scelto questa del coro della Cattedrale di Berlino perché mi sembra ricca di grande freschezza. 
L' entusiasmo evidente nell'attentissima direzione del maestro e nel sorriso luminoso dei piccoli cantori ci regala infatti una gioia che risolleva l'anima, rendendo più viva e vicina a noi la letizia che risuona nel "Laetentur caeli et exultet terra".

Buona visione e buon ascolto!