E. Manet: "Un café en place du Theatre Francais" |
Bello alzarsi col chiaro e scoprire l'azzurro - quando c'è - appena fuori dalla finestra: la casa si riempie di luce e se ne avvantaggia anche l'umore.
Eppure, sembrerà strano, ma ogni tanto ho nostalgia di quelle mattine in cui mi svegliavo presto e uscivo ancora col buio.
Qualche anno fa, una volta alla settimana frequentavo un corso a Milano e avevo il treno verso le 7,30. Da casa mia alla stazione c'è un bel pezzetto di strada che di buon passo macino in dieci minuti o poco più. Considerata la distanza e l'imprescindibile necessità di passare al bar a dare la sveglia ai miei neuroni col primo espresso della giornata, alle sette mi catapultavo fuori nel buio e nel freddo, talora anche nella nebbia.
Ma al mio arrivo, venivo ripagata dalla cornice calda e luminosa del bar della stazione dove prendevo con calma il mio caffè e un pezzetto di brioche.
Qualcuno penserà che preferire un luogo estraneo come questo - una sorta di porto di mare - alla familiare cucina di casa sia una scelta che mette tristezza. E invece no!
Anche adesso, se mi capita di dover prendere un treno di prima mattina, l'idea del caffè in stazione mi rallegra. So bene che la colazione con cui si inaugura la giornata dovrebbe essere uno spazio di serenità per conciliare il cuore con gli impegni che verranno e - se si può - è meglio scegliere una cornice che abbia il tocco del calore e del garbo.
Da questo punto di vista, il mio bar della stazione è perfetto: stanza ampia, luminosa e banco che si allunga ad angolo onde evitare che la gente resti in coda. L' arredamento - diciamolo - non è gran che, un ambiente semplice come tanti, ma a renderlo speciale è l'accoglienza che vi si respira.
Lo gestiscono due ragazzi ventenni o poco più che - quasi fossero persone di famiglia - conoscono a memoria le abitudini di tutti i pendolari del mattino, compresi i saltuari come me.
C'è Giuseppe (ndr.: nomi di fantasia ovviamente) a cui il caffè piace bollente, Claudia che ha spesso il treno in ritardo, ma si rintana in un angolo e vuole il cappuccio solo all'ultimo minuto: il ragazzo del banco lo sa tanto che, quando lei arriva, lancia un'occhiata al quadro dei treni in partenza e uno a lei per regolarsi. C'è Giovanna a cui tener da parte - quando si può - la sfogliatina alla mela e poi ci sono io che voglio sempre un sacchetto per metter via il resto della brioche che non mangio subito. Ma ormai non ho bisogno neppure di chiedere perchè, prima ancora che fiati, tutto mi viene posato accanto con discrezione e un sorriso.
Certo, sono attenzioni normali in qualunque altro bar soprattutto con i clienti assidui, ma qui respiri un calore accogliente che ti mette a tuo agio. E poi non c'è quel concitato vociare di altri locali e nessuno ti obbliga ad attaccar discorso: se vuoi parlare, parli, se vuoi restare nel tuo brodo mentre lo specchio dietro al banco ti rimanda un'espressione assonnata, padronissimo.
In genere, però, io mi guardo intorno: mi piace osservare come la gente inizia la giornata. E di solito sono piccoli gesti: chi dà un'occhiata ai giornali, chi messaggia sul cellulare, chi invece carbura lento e si concentra sul caffè, e chi si scalda le dita intorno alla tazzina come faccio sempre io.
Poi, quando esco per avviarmi al binario, incrocio i miei studenti, gli ex.
Ci salutiamo di corsa ma con grandi sorrisi chiedendo notizie dei rispettivi impegni, e ci auguriamo buona giornata con un cameratismo ormai alla pari, come navigati lupi di mare che tornano ciascuno alla propria barca per riprendere il viaggio.
Momenti di quotidianità spicciola che mi sono tornati in mente in questi giorni e ai quali ho voluto dare una colonna sonora. Non un brano vivace o altisonante, ma una musica tranquilla, quasi un sottofondo in armonia con chi al mattino - magari non ancora del tutto sveglio - si affida a una sua interiore routine di abitudini.
Così, ho pensato ad un pezzo conosciutissimo di Franz Schubert (1797 - 1828): il "Momento musicale in fa minore op.94 n.3" per pianoforte solo, qui interpretato da David Fray.
Si tratta di un brano molto breve, una composizione orecchiabile segnata da un ritmo che sembra proprio accompagnare il nostro cammino e da una melodia che - alternando tonalità minore a maggiore - s'insinua in noi come un ritornello conosciuto e vagamente ballabile.
Ho scelto questa interpretazione perchè risulta più pacata rispetto ad altre a mio avviso troppo scandite e veloci. Il pianista ci restituisce infatti un'aria - e un'aura - ricche di morbidezza: il suo è un giocare sugli staccati e sulle dinamiche del pezzo, facendone affiorare il piano e il forte, la lieve malinconia e la luminosità, con tocchi ora leggeri, ora nitidi e passaggi qua e là dolcemente più lenti.
Un David Fray concentratissimo che sembra quasi suonare solo per sè, meditando in cuore la cantabilità e il ritmo di queste note come una sorta di leitmotiv della giornata.
Buon ascolto!