venerdì 14 agosto 2015

"Dormitio Virginis"

"Dormitio Virginis" - Scuola russa di Tver (XV sec.)
Vola il tempo e già un anno è passato dal mio viaggio in Russia dove mi sono recata la scorsa estate proprio di questi giorni.
Un viaggio che ricordo con particolare gioia per l'interesse che hanno suscitato in me soprattutto la cultura e l'arte figurativa.

E non mi riferisco solo alle collezioni di uno dei più grandi musei del mondo come l'Ermitage di San Pietroburgo o alle icone della Galleria Tret'jakov di Mosca, ma anche allo splendore di monasteri e cattedrali ortodosse che mi hanno proiettato in un'atmosfera per me nuova e affascinante. 
Si tratta infatti di una ricchezza iconografica che nasce da altrettanta ricchezza culturale e religiosa che, come spesso accade, sta all'origine delle varie manifestazioni artistiche e delle diverse tradizioni.

Tra queste - sia all'interno delle cattedrali del Cremlino che altrove - mi hanno colpito le numerose immagini che ricordano la "Dormitio Virginis".
Il termine indica il trapasso della Madonna simile a un sonno profondo in cui la sua anima è presa dalle mani di Cristo, mentre solo successivamente Maria verrà assunta in cielo anche col corpo.
La ricorrenza della "Dormitio" si celebra il 15 agosto in quasi tutte le Chiese ortodosse, come accade nel mondo cattolico per l'"Assunzione".
Si tratta di due momenti diversi di un evento, in realtà, unico del quale la tradizione teologica orientale ha distinto - se così si può dire - delle fasi mentre quella latina, come recita il dogma, afferma che Maria "terminato il corso della vita terrena, fu assunta alla gloria celeste in anima e corpo".

Nell'iconografia di origine ortodossa, infatti, il trapasso della Madonna è rappresentato con Maria adagiata in un sarcofago, attorniata da angeli ed apostoli mentre, in piedi accanto a Lei, il Figlio Gesù accoglie tra le braccia la sua piccola anima.
 Tiziano, "Assunta"
Nel mondo cattolico invece, è più frequente raffigurare Maria mentre è portata in Paradiso da un tripudio di angeli, come si può vedere dalle opere di numerosi artisti tra i quali - solo per citarne alcuni - Mantegna, Lotto, Perugino, Rubens e, forse il più famoso a questo riguardo, Tiziano con la pala conservata a Venezia, nella basilica di Santa Maria Gloriosa dei Frari.

Ciò non significa che in Occidente manchino immagini di madonne dormienti secondo l'iconografia bizantina: se ne contano vari esempi soprattutto ad opera di autori del periodo medioevale, come si può osservare anche dalla tavola di Giotto (1267 - 1337) qui riportata. 
Si tratta tuttavia di una tradizione figurativa più antica che andrà modificandosi nel tempo. 
Se pensiamo infatti ad altri dipinti sul tema della Morte della Vergine - e non si può non ricordare quello del Caravaggio - ci rendiamo conto di quanto le successive iconografie siano ben lontane dai caratteri precedenti.

Giotto, "Dormitio Virginis"
Nel dipinto di Giotto - una tavola a tempera e oro conservata alla Gemaldegalerie di Berlino - compostezza ed emozione, ieraticità e pathos si fondono in un'espressività contenuta e nonostante ciò evidentissima.

Ma a restarmi dentro è la tenerezza del gesto di Gesù che - accanto alla madre dormiente in un sonno che la condurrà poi in Paradiso - ne accoglie l'anima prendendola in braccio come fosse una bambina da coccolare con dolcezza.
E il fascino del gesto mi fa pensare anche a quel capovolgimento esistenziale e affettivo che accade di norma agli esseri umani. Infatti, dopo che Maria - al pari di tutte le madri e come è spesso raffigurata - ha tenuto tra le braccia Gesù Bambino, alla fine della sua vita terrena è il Figlio, a sua volta, ad abbracciare ciò che di lei è la parte più profonda in un soavissimo scambio di amore.

E per commentare queste immagini, oggi vi propongo un brano altrettanto soave: il mottetto "Omni die dic Mariae" del compositore polacco Grzegorz G.Gorczycki (1665 - 1734). 
E' un canto che non conoscevo e sono grata all'amico blogger Aldo del sito semplice-aldo.blogspot.it, raffinato esperto di musica antica e non solo, che me lo ha segnalato. 
Il pezzo alterna parti lente e pacate ad altre più concitate e vivaci, in un ritmo che può rispecchiare anche i diversi momenti e i differenti toni della preghiera. Splendida ed efficace, a questo riguardo, la ripetizione delle varie strofe, talora in modo sempre più sostenuto, altrove in maniera più sommessa.
Anche se il brano non è specificamente legato alla ricorrenza dell' Assunta, mi piace pubblicarlo ugualmente per la sua particolare bellezza e perchè contiene un'esortazione alla fiducia in Maria insieme all'invito a celebrarne i diversi momenti della vita. Un pezzo d'incantevole polifonia che il coro rende con una fusione a mio avviso perfetta tra profondità e leggerezza.

Sull'onda di queste note vi auguro allora buona festa dell' Assunzione.....e mi prendo una breve pausa!

Buon ascolto!

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giovedì 6 agosto 2015

Dal treno....

Ancora una volta è un articolo dal "Corriere della Sera" quello che desidero condividere qui oggi, tanto le osservazioni e gli spunti di riflessione che esso fornisce mi sono parsi veri e interessanti.

Si tratta di un vecchio scritto di Luca Goldoni, ricomparso sul quotidiano dello scorso 26 luglio a pag. 31 e oggetto di un particolare ricordo da parte dell'autore in quanto, all'epoca della sua pubblicazione - circa a metà degli anni Ottanta - per esso aveva ricevuto gli elogi di Oriana Fallaci.
Intitolato "La prospettiva dal finestrino del treno", l'articolo parla del fatto che persone e immagini consuete, viste talora da una prospettiva insolita come quella di un viaggiatore dal treno, possono rivelare aspetti inusitati apparendo straordinarie, nuove e suscitando altrettanto nuove emozioni.
A me che amo viaggiare e contemplare la vita che scorre da quel particolare osservatorio che è il finestrino di un treno, lo scritto ha subito destato interesse e, anche se Goldoni parla di un'esperienza in fondo comune a tutti, mi pare tuttavia che ne colga aspetti persino poetici nella loro semplicità.
Ne riporto qualche stralcio:

"La mia nipotina Elisabetta mi confida che tornando in treno alla sua città, ha visto a un passaggio a livello suo padre fermo con la macchina. Quante volte l'ha visto arrivare a casa in auto e la cosa non l'ha colpita....Perché "dal treno" ha provato quella sorpresa e quella insolita tenerezza?
Rifletto e concludo che anche a me capita a volte, quando il treno costeggia la periferia della città, di incollarmi al finestrino per individuare tra quel mare di tetti casa mia. Cerco i punti di riferimento, quel campanile, quella quinta di pioppi. Ed eccola spuntare per qualche attimo: non più l'immagine banale che intravvedo distrattamente quando rincaso, ma un'apparizione quasi emozionante."

E ancora :

"....se scopro la mia arcinota casa da una visuale nuova e imprevista, la inquadro in uno spazio che posso afferrare col pensiero perché non ci sono dentro e allora mi emoziono come se vedessi la mia vita dal di fuori."

Ecco: mi affascina questo vedere dall'esterno la propria vita o quella degli altri come può accadere solo in quei momenti che Goldoni definisce poi "attimi abbaglianti di conoscenza universale". Vi si coglie infatti una dimensione che libera la nostra esistenza dalla gabbia dell'abitudine e ce la ridona nuova e fresca, attraverso una carica di sentimenti forse dimenticata, quasi per un attimo la vedessimo non come l'abbiamo fissata nel nostro immaginario, ma nella sua misteriosa essenza. E forse l'emozione nasce anche dallo scoprirsi, con una sorta di pudore, sul palcoscenico della vita.

Il viaggio ci dà infatti sulla realtà che ci scorre accanto un punto di vista esterno che cambia il nostro modo di essere e di guardare, e la visione che ne deriva carica talora d'inusitata dolcezza - o talaltra di sgomento - il paesaggio naturale e umano sotto i nostri occhi.
È la scoperta della nostalgia o dell'affetto con cui si cerca il proprio paese o la propria casa, è un guardare all'esistenza non più distrattamente, ma scandagliandone con attenzione i particolari. E mi vengono in mente tanti riferimenti....persino la Lucia manzoniana che - ovviamente non dal treno, ma dalla barca - cerca nel buio il suo paesello, la sua casa fino alla finestra della sua camera.
Ma è osservare anche altro: il profilo dell'orizzonte, i campi o il tramonto, persone in attesa davanti a un passaggio a livello, intente a discorrere o affannate nel traffico cittadino o - a sera - dietro le finestre illuminate delle case. E dietro ogni finestra una storia.

Ma se la visuale da un treno in corsa ci restituisce inevitabilmente anche il senso della precarietà del presente, la percezione che "tutto scorre" e del suo esistere possiamo cogliere solo frammenti qua e là, è tuttavia altrettanto vero che il punto di vista distaccato e mutevole ci rivela squarci di verità insospettate sugli altri ma anche su noi stessi.
Sono talora impressioni folgoranti e fuggevoli, gesti un attimo colti e subito perduti come stralci di un discorso incompleto, di vicende delle quali il finale resta affidato alla nostra fantasia.
E senza andare a formulare ipotesi oscure come in quell'avvincente racconto di Buzzati che è "Qualcosa era successo", incentrato proprio su ciò che un viaggiatore scorge dal finestrino di un treno, possiamo pensare invece che tutto ciò che vediamo anche di corsa vada poi a inserirsi nella nostra vita sostanziandola di segreta ricchezza.
In effetti, la prospettiva di Luca Goldoni non si carica dell'ansia cupa del viaggiatore di Buzzati, ma ci conduce in un clima di tranquilla familiarità che ci consente di recuperare in noi forse anche uno sguardo d'amore.

Lo so, mi sono lasciata prendere dal discorso, ho divagato un po' e sono andata forse al di là di ciò che nell'articolo s'intendeva significare. Ma il bello di uno scritto è anche la sua capacità di suscitare riflessioni e riferimenti, magari a ruota libera....
Così, alla profondità del testo di Luca Goldoni e a queste mie considerazioni un po' vaghe, mi piace associare un brano di Chopin, autore sempre ricco di sfumature d'anima le cui note sanno mirabilmente tradurre anche le emozioni più intime e riposte.
Si tratta del "Notturno in Si maggiore op.9 n.3" qui eseguito da Arthur Rubinstein, che ci guida attraverso una melodia dolcissima e varia, capace di scandagliare i sentimenti più segreti, sia nella prima parte pacata e serena che in quella centrale più drammaticamente accesa e agitata.
Una musica che possiamo sentir risuonare in noi - colonna sonora del nostro viaggio - mentre accompagna le intermittenze del cuore suggerendo al nostro sguardo una tenerezza nuova: per gli altri, per le cose e insieme per noi stessi.

Buon ascolto!