Era una gelida mattina di inizio dicembre e il mio babbo pedalava di buona lena, sia per combattere il freddo che per coprire più in fretta il lungo tratto di strada tra la nostra casa e la pineta.
Missione albero di Natale. Non essendoci abeti nella nostra campagna, in pineta avrebbe certamente trovato quanto di più simile. Individuata una pianta di ginepro non troppo grande e non troppo piccola l’aveva prelevata e dopo averla fissata alla bicicletta era ripartito alla volta di casa, attento a non incappare nel guardiano della pineta che oltre a sequestrargli la pianta gli avrebbe comminato una salata multa.
Arrivato a casa era la mamma che aveva il compito di addobbare l’albero, operazione non troppo impegnativa perché pochi erano gli addobbi a disposizione: qualche pallina di vetro colorato, una cascata di fili luccicanti e il bel puntale di vetro da fissarsi con grande cautela in cima all’albero. Era un albero senza pretese, ben lontano da quelli di oggi, traboccanti di luci, lustrini e colori, ma rallegrava la nostra casa di povera gente col suo fresco profumo di resina ed era quanto bastava a rendermi felice.
Nel tempo intercorrente all’arrivo del Natale l’alberello si arricchiva di altri addobbi “mangerecci”: caramelle, torroncini e cioccolatini avvolti in cartine colorate, boeri di cioccolata col cuore di liquore e di ciliegia nel loro tipico incarto rosso luccicante, arance e mandarini; contributo del babbo che la sera andava al circolo a giocare a carte e rinunciava al suo caffè in favore dei dolcetti per l’albero di Natale. Forte era la tentazione (a cui qualche volta cedevo) di prelevarne uno ma, chissà perché, la mamma era un cerbero che se ne accorgeva sempre. Solo il giorno di Natale mi era permesso di mangiare qualche dolcetto prelevato dall'albero.
Missione albero di Natale. Non essendoci abeti nella nostra campagna, in pineta avrebbe certamente trovato quanto di più simile. Individuata una pianta di ginepro non troppo grande e non troppo piccola l’aveva prelevata e dopo averla fissata alla bicicletta era ripartito alla volta di casa, attento a non incappare nel guardiano della pineta che oltre a sequestrargli la pianta gli avrebbe comminato una salata multa.
Arrivato a casa era la mamma che aveva il compito di addobbare l’albero, operazione non troppo impegnativa perché pochi erano gli addobbi a disposizione: qualche pallina di vetro colorato, una cascata di fili luccicanti e il bel puntale di vetro da fissarsi con grande cautela in cima all’albero. Era un albero senza pretese, ben lontano da quelli di oggi, traboccanti di luci, lustrini e colori, ma rallegrava la nostra casa di povera gente col suo fresco profumo di resina ed era quanto bastava a rendermi felice.
Nel tempo intercorrente all’arrivo del Natale l’alberello si arricchiva di altri addobbi “mangerecci”: caramelle, torroncini e cioccolatini avvolti in cartine colorate, boeri di cioccolata col cuore di liquore e di ciliegia nel loro tipico incarto rosso luccicante, arance e mandarini; contributo del babbo che la sera andava al circolo a giocare a carte e rinunciava al suo caffè in favore dei dolcetti per l’albero di Natale. Forte era la tentazione (a cui qualche volta cedevo) di prelevarne uno ma, chissà perché, la mamma era un cerbero che se ne accorgeva sempre. Solo il giorno di Natale mi era permesso di mangiare qualche dolcetto prelevato dall'albero.
La mattina del 6 gennaio l’albero era misteriosamente scomparso lasciando tutto il suo contenuto commestibile dentro la calza della Befana.
Ma questa è un'altra storia ...
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