Quando in campo musicale ricorre il termine Toccata, penso che - giustamente - tanti l'associno prima di tutto a Bach, a cominciare dalla sua "Toccata e Fuga in re minore BWV 565", certo la più famosa ma non l'unica creazione del compositore strutturata in tal modo.
Ce ne sono infatti molte altre: provate ad ascoltare, per esempio, la BWV 540 in Fa Maggiore o la BWV 564 in Do Maggiore - che, tra l'altro, ai due movimenti canonici inframmezza eccezionalmente un incantevole Adagio - e avrete un'idea della sua funzione.
Con questo termine s'intende infatti un brano introduttivo, una composizione strumentale vivace e movimentata, una sorta di brillante pezzo di bravura costruito con scale e arpeggi in cui gli esecutori possono dar prova della loro abilità e - appunto - della bellezza del loro tocco.
Nata nel periodo rinascimentale prima per fiati e successivamente per liuto, la Toccata viene poi scritta per clavicembalo e in seguito per organo.
Ma è l'epoca barocca a darle il maggiore risalto, sia per le numerose creazioni bachiane, sia per il suo stile libero e quasi improvvisativo, simile a una sorta di antico e fantasioso ricercare che prelude alla Fuga, ma talora indipendente da essa e più vicina a un tema con variazioni.
Ricordo, tra le altre, le Toccate di Buxtehude, di Alessandro Scarlatti ma soprattutto - conosciutissima - quella di Paradisi, resa poi celebre del vecchio intervallo televisivo ed eseguita all'arpa.
Il periodo romantico vede invece un uso meno frequente di questa forma musicale, anche se nel corso dell'Ottocento non mancano esempi tra i quali la Toccata dalla "Sinfonia n.5 in fa minore op.42" di Charle-Marie Widor, brillante pezzo organistico eseguito spesso durante i matrimoni reali.
Proprio della fine dell'Ottocento - precisamente del 1895 - è il brano di oggi col quale dò il benvenuto in questo blog al compositore e organista francese Léon Boellmann (1862 - 1897). Si tratta della Toccata che questa volta non apre, ma conclude la sua "Suite gothique op.25".
Perlomeno nella parte iniziale, non è un brano dalle sonorità luminose e festanti come quello del contemporaneo Widor, anche se qualche punto di contatto non manca. Questo di Boellmann infatti si apre nella tonalità di do minore su di un tema semplice e un po' cupo che va ripetendosi, ora suonato dalla pedaliera mentre la tastiera fa da accompagnamento, ora viceversa.
Gli aspetti che mi affascinano maggiormente sono quattro: prima di tutto la straordinaria energia sprigionata da queste note, poi il ritmo spesso variato. Si potrebbe dire infatti che il brano non abbia particolare sviluppo, ma alterni momenti diversi con variazioni più che altro ritmiche. Ora infatti si dipana a somiglianza di una marcia cadenzata dove accordi e tema sono scanditi con regolarità sulla prima nota di ogni quartina; ora invece il tema s'innesta sulla terza nota delle varie quartine creando così una sorta di sfasatura ritmica che - a mio modesto avviso - è il bello di questa creazione.
Il terzo elemento che mi ha colpito è la successione di cromatismi che modulano su altre tonalità a 2.16 dall'inizio. Infine, la bellissima conclusione dove, dopo che la melodìa in minore viene ripresa a ottave sulla pedaliera, si passa progressivamente ad un brillante e fragoroso accordo di Do Maggiore che tutto illumina con la sua energia!
Un pezzo affascinante e insieme impegnativo che, come la maggioranza delle composizioni organistiche, non solo richiede il tocco giusto, ma anche perfetta sincronia tra tastiere e pedaliera.
Buona visione e buon ascolto!
(La foto è presa dal web. Per chi volesse seguire il brano sullo spartito, questo è il link: https://www.youtube.com/watch?v=XzU5xbZ4QEA )