domenica 31 dicembre 2017

Buon Anno !!!

Giusto de' Menabuoi: "Dio benedice il creato" - Padova, Battistero.
Alla fine di un anno, la musica insieme alla liturgia intona - o dovrebbe intonare - il tradizionale "Te Deum"
Ma mentre navigavo su youtube, cercandone una versione tra i vari brani di Verdi, Haydn, Mozart e Charpentier, mi sono lasciata prendere invece dallo splendore di un altro pezzo, ed è proprio questo che voglio condividere con voi oggi.
 
Non è propriamente un "Te deum", ma sempre un inno di ringraziamento che - da quanto mi par di capire - più che alla fine dell'anno solare, si cantava al momento del raccolto, tant'è vero che il titolo prende spunto dal Salmo 65 (vv.10 e 12) dove risuona la lode a Dio per lo splendore e la fecondità della campagna. Tuttavia mi è parso adatto anche alla conclusione di un anno e, al tempo stesso, come brano augurale per quello nuovo.

Si tratta dell'inno "Thou Visitest the Earth" del compositore inglese Maurice Greene (1696 - 1755).
Il pezzo mi ha subito affascinato perché arieggia una melodia che mi sono accorta di conoscere, qualcosa che ho scoperto essere depositato nel profondo della mia memoria, come in un misterioso fondale marino dal quale improvvisamente è affiorato. Dopo le prime battute, mi sono ritrovata infatti a cantarne l'aria col solista e poi col coro sull'eco di reminiscenze lontane, lontanissime, soprattutto da 1,40 dall'inizio fino alla conclusione.

Stante il fatto che del suo autore - contemporaneo di Haendel e di Bach - ignoravo l'esistenza fino a pochi giorni fa, non so proprio come possa ritrovare in me le sue note. Dove ho già sentito questa musica?
Non ad un concerto, lo escludo. È piuttosto qualcosa che ascoltavo abitualmente. Forse avevo il brano in qualche vecchia compilation su audiocassetta, di quelle che mi creavo artigianalmente ai tempi dell'università o poco dopo, registrando spesso i brani dalla radio così come capitava, talora senza riuscire neanche a scoprirne l'autore. Musiche ascoltate e riascoltate fino a consumare il nastro...
Ma è probabile che qualche passaggio di questa splendida melodia riecheggi anche in altri musicisti del periodo barocco, da Haendel a Rameau.
E - guarda caso - proprio in Rameau, precisamente nella parte finale del famosissimo "Hymne à la nuit" a lui attribuito, è possibile ritrovare alcuni passaggi pressocchè identici.

Ma il brano di Greene mi prende anche per il suo ritmo molto simile a quello di una danza. Del resto non è raro che - in passato - gli inni di carattere religioso prendessero spunto da danze profane. E mi pare ben si adatti al tema del ringraziamento un testo che inneggia a Dio che visita la terra, la benedice e corona l'anno con i suoi benefici. Parole e note che - sia nel canto iniziale del solista che nella successiva ripresa da parte delle quattro voci del coro - ci allargano il cuore dandoci respiro e serenità. 
Ci conducono infatti ad intuire la forza della benedizione divina che, lungi dall'essere qualcosa di estraneo o lontano, somiglia piuttosto ad un sorriso, ad uno sguardo pieno di benevolenza e incoraggiamento, tanto vicino da essere intrecciato alla nostra vicenda quotidiana.
Un sorriso che suscita in noi speranza, colmandoci di una leggerezza gioiosa e ben augurale anche per l'anno che verrà.

Buon ascolto e Buon Anno!

lunedì 25 dicembre 2017

Buon Natale !!!






















 
Caravaggio (1571 - 1610) : "Adorazione dei pastori" (part.)
Messina, Museo Regionale.

Johann Sebastian Bach (1685 - 1750) : "O Little One Sweet" ("O Jesulein süß BWV 493")

mercoledì 20 dicembre 2017

"A passi tardi e lenti..."

Nel mio viaggio di musica in musica, anche oggi desidero soffermarmi su Vivaldi con un altro Adagio
Non è tratto - questa volta - da un concerto dedicato al Natale, ma è un pezzo a mio avviso ancora più affascinante per la luminosità dell'oboe solista e il suo dolce inanellarsi di note. 
Così, non ho resistito al desiderio di condividerlo subito qui con voi.

Si tratta del secondo movimento, "Adagio", dal "Concerto in Fa maggiore per oboe, archi e basso continuo RV 458".
A sedurmi è stato il suo incedere lento, scandito dagli accordi introduttivi con un andamento riposante che allarga il respiro e ci accompagna con un passo che ha il ritmo dell'anima.
Anche qui il tono è assorto e contemplativo come nel pezzo della scorsa settimana. Ma se quello era meno movimentato e - a parte pochi interventi del violino - la melodia coincideva esattamente con l'impianto armonico, in questo brano sono le variazioni dell'oboe a costruire il tema, disegnando un'aria essenziale ed espressiva d'incomparabile luminosità.

Ogni volta che ascolto Vivaldi, resto meravigliata dalla fantasia e varietà dei suoi adagi, peraltro numerosissimi, che vanno a scandagliare gli anfratti più segreti dell'anima traendone ora nostalgia e sgomento, ora dolcezza e luce con intensità sempre nuova.
E per contro, mi vengono in mente le parole attribuite a Stravinsky che, proprio parlando di lui, avrebbe detto:
"Vivaldi chi? Quello che scrisse ottocento volte lo stesso concerto?".
Su quell'ottocento le fonti sono discordi, ma la battuta - anzi battutaccia - se da un lato riconosce nel compositore veneziano la presenza di uno stile inconfondibile, dall'altro lo accusa di essersi irrimediabilmente ripetuto.
Naturalmente non è così. Infatti, per quanto la musica dei vari autori presenti caratteri distintivi ricorrenti e spesso ben riconoscibili, quella che talora sembra pura e semplice ripetizione, in realtà non lo è quasi mai. 
È invece l'impronta della loro anima, il canto che percorre le loro note come un fiume sotterraneo, o come l'alba di ogni nuovo giorno simile alla nostra quotidiana dimensione esistenziale. Il sole sorge sempre, ma non c'è mattino uguale al precedente per il cielo, la stagione, l'atmosfera e soprattutto per il clima interiore che viviamo e di cui esso si carica.

Qual è allora il clima predominante di questo brano? 
A me pare sia quello di un dialogo con se stessi in solitudine e in meditazione, di un cammino "a passi tardi e lenti" - avrebbe detto il Petrarca - nel quale seguire il respiro della propria interiorità. 
E proprio questo tornare a se stessi non può non riportarmi ad altri pezzi del periodo barocco: per esempio, alla celeberrima "Aria" di Bach dalla "Suite n.3 per orchestra BWV 1068", o all'altrettanto famoso "Adagio per oboe e archi" di Benedetto Marcello per quanto la sua tonalità - re minore - si carichi di intensa malinconia. 
Ma pur con lo stesso passo scandito da un senso di profonda quiete, il fa maggiore del brano di Vivaldi ci regala una melodia più luminosa e sognante, come percorressimo un sentiero nella neve, pervasi da una serenità senza tempo, mentre lo sguardo accarezza il paesaggio circostante marezzato dalla luce del mattino.

Buon ascolto!

giovedì 14 dicembre 2017

"Riposo" vivaldiano

C. Monet: "Neve ad Argenteuil"
Mi accade ogni tanto - e credo di averlo detto già in passato - di provare nostalgia per quegli autori che magari, per un certo periodo di tempo, ascolto più raramente di altri o non pubblico qui.

Capita infatti che, per quanto l'ispirazione della maggioranza dei compositori si dispieghi in una molteplicità di sfaccettature, dopo una lunga frequentazione, ciascuno finisca per rivestire per noi un significato particolare, quasi le sue note si identificassero con qualche momento della nostra vita e con esse si creasse una sorta di familiarità e vicinanza d'anima. Ebbene, mi capita talora - e penso sia così un po' per tutti - di avere nostalgia proprio di tale vicinanza che la musica sa regalare tanto intensamente, come se ci si potesse immergere nelle emozioni o nelle atmosfere che essa evoca.
Per questo, dopo diversi mesi, desidero tornare oggi ad Antonio Vivaldi e al fascino delle sue creazioni con un brano brevissimo, ma a mio avviso molto suggestivo, tratto da uno dei vari pezzi scritti in occasione del Natale.

Tutti sappiamo che i concerti del compositore veneziano - per la loro attitudine descrittiva e per l'armonia imitativa che talora li contraddistingue - hanno spesso titoli quasi programmatici a cominciare dalle "Quattro stagioni". Ma se proseguiamo nella nostra ricerca troviamo anche "La caccia", "Il corneto da posta", "La tempesta di mare", "Il gardellino", "La notte", "Il Gran Mogul". E poi ancora "Il sospetto", "L'amoroso", "L'inquietudine" o "Il favorito", solo per citarne alcuni. Titoli che si riferiscono alla natura e insieme all'indole dell'uomo.
Ma quello che mi ha colpito in particolare - e da cui è tratto il brano di oggi - è il "Concerto in Mi maggiore RV 270 per violino e archi" intitolato "Il riposo" e - come si legge in alcuni testi - scritto "per il Santissimo Natale".

Mi piace molto che qui Vivaldi abbia associato il Natale all'idea del riposo, forse perchè questa ricorrenza - e soprattutto il periodo che la precede - è ormai caratterizzata da un fermento che, se da un lato può essere piacevole o elettrizzante, dall'altro ci allontana dal vero significato della festa e in fondo da noi stessi.
A mio avviso, non c'è niente come la musica che sappia riportarci al clima giusto, introducendoci al tempo natalizio con la distensione dell'ascolto e il riposo della contemplazione.
Allora quello che vi propongo è il secondo movimento del concerto, l' "Adagio".

Brevissimo, il brano è uno di quei magici pezzi di transizione tra l'Allegro iniziale e quello finale, in cui Vivaldi è maestro nel creare un'aura di meditazione o di nostalgia che resta volutamente in sospeso, come in attesa.
Non ci sono luci sfolgoranti o colorate, nessun tocco di vivacità, ma tinte smorzate e lievi, adatte ad un clima assorto come quello - per esempio - di chi si prepara a contemplare il sonno di Gesù Bambino nella mangiatoia.
Ma anche se il suo ritmo non è quello di una pastorale come i pezzi più celebri di Haendel e di Corelli, questo Adagio si addentra nel nostro cuore con uguale dolcezza e con un incedere lento il cui tema coincide con l'impianto armonico del brano. Sono pochi, intensi ed essenziali accordi quelli che ci avvolgono e che, con il loro riverbero, ci immergono in un'atmosfera di una rara intimità, simile a quella del dipinto di Monet nel riquadro. 
Insieme a queste note infatti, la suggestione della neve, che si fonde col grigiore del cielo e il silenzio della campagna, ci induce a vivere dentro e a cercare qualche momento di tranquilla solitudine.
Un riposo contemplativo che abita prima di tutto nell'anima e nel cuore della musica.

Buon ascolto!

giovedì 7 dicembre 2017

Nel segno della gioia

E' sempre bello constatare che, in ogni settore professionale, se un lavoro viene svolto con competenza e passione, prima o poi diventa fonte di gioia non solo per coloro che ne sono i destinatari, ma prima di tutto per chi lo realizza.

Quando la qualità dell'impegno è alta, si arriva infatti a un punto in cui la fatica, la perseveranza, la pazienza necessarie ad apprendere un'abilità, lasciano spazio alla gioia e talora anche al divertimento. Non perchè la fatica scompaia, ma perchè viene superata dal piacere stesso del lavoro, dalla soddisfazione di vedere un oggetto che prende forma dalle nostre mani, dal gusto di trasmettere una passione, dal desiderio di ricercare il meglio e via dicendo. Se poi tale lavoro non è individuale ma coinvolge un gruppo, allora, come a volte capita che aumentino i problemi, altrettanto però può moltiplicarsi la gioia.

Il mondo della musica non fa eccezione, anzi, è forse uno degli esempi più significativi a questo riguardo. Molteplici infatti sono le difficoltà che deve affrontare chi si appresta a suonare uno strumento non da semplice dilettante. Ma proprio la musica diviene poi sorgente di quell' entusiasmo che sgorga spontaneo dall'anima di un solista o di un'intera orchestra, quando si riesce ad interpretare una partitura lasciandosi catturare dal suo splendore. 
L' emozione che ne deriva è tale da contagiare gli altri, come spesso si osserva non solo nel clima delirante di un concerto rock, ma anche nella partecipazione appassionata di un direttore d'orchestra, di un solista o di un gruppo corale. Si vive infatti la musica dal suo interno e tale contatto vivo - e in qualche modo ri-creativo - genera un gusto impagabile.

Per questo, oggi vi propongo un video dove tale sapore interpretativo è tangibile sull'onda di un pezzo di Ludwig van Beethoven e di una solista d'eccezione.
Si tratta del terzo movimento, "Rondò: molto allegro", dal "Concerto per pianoforte e orchestra in Si bemolle maggiore n.2 op.19", qui mirabilmente interpretato da Martha Argerich.
Fin dalle prime battute, è lei a dominare, con la sua espressione grintosa e in apparenza un po' corrucciata, con quello sguardo talora obliquo ma in realtà concentratissimo, attenta e al tempo stesso quasi noncurante, energica e dolce, strepitosa signora del pianoforte che padroneggia al pari di un direttore d'orchestra.
Festoso e scattante, concitato e leggero, il "Rondò" di Beethoven sembra costruito appositamente per esaltare le doti e il virtuosismo di chi suona. 
Le mani della pianista si muovono infatti con precisione e una sicurezza quasi spregiudicata anche sui trilli e i passaggi più veloci. Mani un po' tozze, a dire il vero, in apparenza non particolarmente affusolate e delicate come quelle di altri solisti, ma capaci di un tocco che nasce da un talento innato, come se la musica fosse parte di lei, ricamata nel suo dna.
E alla sua strepitosa bravura, si unisce un gusto interpretativo evidente anche dalla sua espressione: ora serissima e assorta, ora divertita e segnata da un sorriso che affiora lieve a sottolineare i passaggi più gioiosi e giocosi del brano, mentre i cenni del capo ne seguono il ritmo.

Una Argerich briosa e trascinante come questa musica di Beethoven, tanto da coinvolgere il direttore, gli orchestrali, il pubblico in sala e arrivare fino a noi che - dietro lo schermo di un computer - osserviamo col cuore attento. Anche noi destinatari di tale gioia.

Buona visione e buon ascolto!