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sabato 28 gennaio 2017

Talenti precoci

Resto sempre molto ammirata quando - leggendo le biografie dei compositori più famosi - scopro quanto il loro genio si sia manifestato precocemente e in taluni casi addirittura nel corso dell'infanzia.
A questo proposito, tutti ricordiamo in primo luogo Mozart, ma insieme a lui potremmo citare parecchi altri musicisti sia antichi che moderni.

A meravigliarmi, tuttavia, non è tanto la loro capacità di suonare con maestria già dalla giovanissima età.
Anche se non tutti, molti compositori del passato crescevano in un ambiente nel quale l'educazione alla musica era parte di una cultura e di una consuetudine radicata. Inoltre, alcuni appartenevano a vere e proprie generazioni di musicisti e ciò favoriva il loro apprendimento fin da piccoli.
E del resto anche oggi, nonostante il contesto perlomeno in Italia sia molto diverso, potremmo citare tanti giovani solisti dal talento precoce, per non parlare di ciò che accade all'estero - soprattutto in Estremo Oriente - dove le scuole di musica formano veri e propri bambini prodigio.

A stupirmi, dicevo, non è tanto l'abilità nel suonare i vari strumenti, ma la capacità creativa davvero straordinaria per dei giovanissimi, se pensiamo che - solo per citarne alcuni - Chopin ha composto la sua prima polacca a sette anni (!) e Schubert e Mendelssohn hanno scritto le loro prime sinfonie tra i quindici e i sedici anni.  
Comporre infatti, traducendo in un'efficace e corrispondente scrittura musicale ciò che l'ispirazione suggerisce, non è cosa da poco
Facciamo l'esempio del pianoforte.
Detto in parole povere, non si tratta solo di inventarsi una melodia e cercarne il canto sulle note della mano destra. Ma l'essenziale è armonizzarla con accordi della mano sinistra che a quelle note diano espressione e sviluppo, come un discorso costituito da singole frasi musicali collegate da opportuni passaggi armonici.
Una musica infatti - così come la troviamo su di uno spartito - va letta certamente in orizzontale seguendo la voce del soprano, che è la melodia suonata dalla mano destra per intenderci. Ma l'armonia nasce anche dalla sua composizione in verticale, cioè dagli accordi della mano sinistra formati delle altre voci (basso, tenore e contralto) che a quella del soprano danno sostegno e spessore, esattamente come avviene in un coro polifonico.

Ora, se consideriamo che i vari passaggi armonici non vanno disposti a caso, ma seguono precise regole e relative eccezioni, comprendiamo quanto l'aspetto tecnico del lavoro compositivo sia tutt'altro che semplice. 
E se poi la musica non è destinata a un solo strumento, ma a un'intera orchestra, la cosa si fa ancora più complicata 
Certo, per chi frequenta il conservatorio, tutto ciò è pane quotidiano e l'applicazione di tali regole diventa facile e immediata
Ma se a comporre musiche di una certa complessità è....un bambino? 
Che conosca i fondamenti dell'armonia o che a suggerirglieli sia l'intuizione, è comunque segno di un talento che stupisce.

Tutto questo discorsino per dire che oggi vi propongo il terzo tempo - "Sarabanda sentimentale" - della "Simple Symphony per orchestra d'archi op.4" di Benjamin Britten (1913 - 1976), scritta nella versione definitiva a ventun anni, ma già abbozzata dal musicista inglese a dodici se non prima!!!
In calce alla partitura si trova infatti la seguente didascalia:
 
«Questa Simple Symphony è interamente basata su materiale di opere che il compositore ha scritto tra i nove e i dodici anni. Sebbene lo sviluppo di questi temi sia in molti punti abbastanza nuovo ci sono vaste sezioni dell'opera che sono tratte totalmente dai pezzi precedenti».

Vaste sezioni, dunque, totalmente prese da pezzi precedenti!...
si resta davvero ammirati, soprattutto se si osserva la foto in alto che della sinfonia riporta l'apertura del primo movimento in tutta la sua ampiezza orchestrale.
Ma del terzo tempo che ho scelto per voi oggi, a colpirmi è anche la forza drammatica insieme alla straordinaria dolcezza che, qua e là, può riportarci a certe atmosfere di Mahler.
Intensa e dolente la melodia iniziale, non priva di tratti angosciosi sottolineati dal contrabbasso quasi fosse il rintocco di una campana a morto, eppure capace di aprirsi alla luce risolvendosi gradatamente in passaggi di più lieve e assorta intimità.
Il secondo tema che prende il via a 3,00 dall'inizio è infatti un movimento soavissimo, segnato dal passaggio dal tono minore al maggiore e scandito dai pizzicati: davvero semplice - se vogliamo - nel suo sviluppo lineare al limite della prevedibilità, e tuttavia di straordinaria dolcezza.
E nonostante il brano si muova sul ritmo di una sarabanda - cioè, sia pur lenta, di una danza - la mia impressione è che, in certi passaggi, sia più simile a una ninna-nanna: carezzevole, dolce, luminosa, intima, tesa a dissolvere i toni drammatici dell'esordio in una rasserenante e rarefatta atmosfera di pace. 
Una ninna-nanna che possiamo dedicare ai morti e ai vivi, al passato e al presente, dolcissima, soave, soffusa di luce...proprio come l'anima di un bambino!

Buon ascolto!

sabato 22 dicembre 2012

Verso Natale

Mi ha sempre affascinato nell'arte medioevale sia romanica che gotica, quella nutrita serie di simboli di cui essa è intessuta, segno che i costruttori del passato - come spesso anche oggi i contemporanei - non lasciavano nulla al caso, assegnando ad ogni modulo compositivo un suo preciso significato soprattutto se si trattava di edifici religiosi.

Dalla posizione del fonte battesimale ad un quadriportico, da un matroneo a una cripta o alle decorazioni di un capitello, ogni parte della chiesa aveva una sua ragion d'essere che non nasceva solo dalla fantasia e dal gusto dell'architetto o scultore, ma anche da ciò che quella parte doveva significare nell'insieme della costruzione. Come gli affreschi che narravano la storia sacra erano infatti la cosiddetta "Bibbia dei poveri", così era anche per architettura e scultura: dovevano parlare.

Nel gotico per esempio, esprimono leggerezza e tensione verso l'infinito i ritmi ascensionali, le vetrate che sostituiscono la muratura continua con il loro caleidoscopio di colori, ma anche le mille decorazioni che hanno arricchito soprattutto le grandi cattedrali, facendo letteralmente fiorire la pietra.

Tra queste, i rosoni hanno spesso attirato la mia attenzione sia per la loro bellezza che per il loro significato simbolico. 
Al di là della stilizzazione del fiore - la rosa - con i suoi petali e della forma circolare che può richiamare il sole nei suoi molteplici aspetti vitali, l'immagine mi colpisce anche per un altro motivo.
Se pure non è così in tutti gli edifici, tuttavia in molti casi il rosone si trova inscritto in una cornice quadrata, come nella foto in alto che riporta quello del famosissimo Duomo di Orvieto, opera dell'Orcagna che risale alla seconda metà del Trecento. Qui infatti il cerchio, simbolo dell'infinito, è inserito in un quadrato, simbolo del finito, come a dire che il tempo di Dio si inscrive in quello dell'uomo, il divino entra nell'umano, il celeste nel terrestre, la perfezione nel limite; come a significare il mistero dell'Incarnazione, la Bellezza che s'innesta ed esplode all'interno della nostra storia di tutti i giorni. 

Mi sembra interessante ricordarlo proprio ora che ci avviciniamo al Natale perchè è bello sapere che, in tante opere d'arte del passato - e non solo - siamo circondati da segni e geometrie non casuali, ma ricche di rimandi a una dimensione più alta. Ed insieme è scoprire come linee e forme, volumi e superfici modellati dagli artisti ci accompagnano col loro affascinante linguaggio, quasi anche dalle pietre s'innalzi una lode colma di stupore per il mistero che si compie. 

Così, mi piace commentare quest'immagine con una famosa melodia che celebra il Natale. Si tratta di "Balulalow", canto di antica tradizione scozzese su testo dei fratelli Wedderburn, ripreso da Benjamin Britten (1913 - 1976) all'interno della composizione "A Ceremony of Carols op.28", per coro e arpa in dodici movimenti. "Balulalow" ne costituisce il quinto, una dolce ninna-nanna per il Bambino Gesù, al quale - come dice il testo - l'uomo prepara una culla nella propria anima. 
Un po' come quel quadrato che con il proprio limite e la propria finitudine incornicia il movimento infinito del cerchio, quasi a custodirne la perfezione e il prezioso splendore.

Buon ascolto !