I precedenti post dedicati ad approfondimenti (più o meno seri) sull'etimologia di termini comunemente usati sono stati particolarmente graditi dai miei lettori; da ciò incoraggiato, vi presento un'altra puntata, con qualche termine malizioso...
Goldone: soprattutto nel nord dell'Italia è un termine volgare che indica il preservativo maschile, o profilattico che dir si voglia; i genovesi invece dicono gondone con la enne al posto della elle, ma i due termini, benché somiglianti, sembrano avere etimologia diversa.
Genova è stata per lungo tempo la città più anglosassone d'Italia, e l'espressione gondone (in dialetto gundùn) deriva probabilmente, per assonanza, dal termine inglese condom.
Più controversa l'origine di goldone: c'è chi dice che i soldati statunitensi abbiano fatta conoscere agli italiani, subito dopo la liberazione, la marca di preservativi Gold One, da cui sarebbe nato il termine; secondo altri, però, tale marca non è mai esistita. Più probabile, quindi, che il termine derivi dal nome del fondatore, negli anni '20, dell'azienda bolognese Hatù, storica e più famosa marca italiana di profilattici, il commendator Franco Goldoni.
Zebedei: in espressioni come non mi rompere gli zebedei, grattarsi gli zebedei ed altre, il termine assume l'ovvio significato di testicoli; ma perché, poi?
Zebedeo è un nome proprio e si riferisce ad un personaggio biblico, padre di due apostoli, Giacomo il maggiore e Giovanni l'evangelista; appare bizzarro che due personaggi considerati santi dal cristianesimo siano diventati icona di un'espressione scurrile, ma una spiegazione c'è: sia nei passi del vangelo che li nominano, sia nelle numerose rappresentazioni pittoriche di Gesù coi dodici apostoli, i fratelli zebedei appaiono quasi sempre in coppia, e generalmente uno alla destra di Gesù e l'altro alla sua sinistra; e notoriamente l'espressione andare sempre in coppia si riferisce anche ai testicoli; inoltre secondo alcuni (secondo altri invece no, ma non sono riuscito a definire univocamente la questione) Giacomo e Giovanni sarebbero stati addirittura gemelli; e un termine derivato dal greco per indicare i gemelli è didimi, che nella lingua italiana – se pur poco usato – è sinonimo di testicoli.
Val la pena ricordare inoltre che un'altra espressione di uso comune è rompere i santissimi; non è escluso che l'origine possa essere la stessa, anche se è ugualmente probabile che possa derivare dal considerare i testicoli l'organo più sacro del corpo maschile.
Grilletto: trasparente l'identificazione del (o della: i linguisti non si sono ancora messi d'accordo se il termine sia di genere maschile o femminile) clitoride femminile col dispositivo di sparo delle armi da fuoco, sia per la forma sia per il sottinteso di qualcosa che si aziona col dito.
Da notare inoltre come da sempre il termine pistola sia considerato come simbolo fallico, tanto che nel dialetto milanese pistola equivale a pirla, ed entrambi significano membro virile, benché siano usati principalmente in senso traslato, come insulto nei confronti di una persona sciocca. Inoltre con pistolino si identifica il pene dei bambini.
Fica: originariamente designava il frutto del fico, secondo la consuetudine che nomina al maschile l'albero e al femminile il frutto dello stesso (pero-pera, arancio-arancia, melo-mela, castagno-castagna); la sua diffusione come termine volgare per rappresentare l'organo genitale femminile ha creato una sorta di tabù linguistico probabilmente unico, sicché il fico è l'unico frutto che mantiene il genere maschile come l'albero relativo.
Nelle lingue – così come nei dialetti italiani – dove il termine scurrile è indicato da una parola diversa, il frutto del fico mantiene però il femminile come tutti gli altri: ad esempio in francese la figue e in genovese a figa non hanno alcun risvolto osceno.
Nonostante il termine sia scurrile è stato più volte usato anche nella letteratura colta: in particolare Dante, nel canto XXV dell'Inferno, rese famoso il gesto di far la fica, ossia chiudere il pugno col pollice che spunta tra indice e medio, in segno di spregio o di insulto, rappresentando così il blasfemo Vanni Fucci:
Al fin de le sue parole il ladro
le mani alzò con ambedue le fiche,
gridando: "Togli, Dio, ch'a te le squadro!"
Un saluto e un sorriso dal vostro
Cosimo Piovasco di Rondò