Esistono parole che hanno fatto il loro ingresso nel lessico italiano da pochi decenni, ma che conosciamo e usiamo regolarmente dall'età della ragione con l'inconscia impressione che siano sempre esistite. Ve ne presento alcune in questo intervento.
Cellulare: esiste da tempo come aggettivo, riferito ad ogni cosa che abbia attinenza ad una cella o cellula; così si chiama biologia cellulare quella che studia le cellule viventi e furgone cellulare quello che trasporta i detenuti durante i trasferimenti da una prigione all'altra; in questo caso è spesso usato in forma sostantivata sottintendendo il termine furgone e chiamandolo semplicemente cellulare.
Lo stesso avviene per il telefono cellulare, tanto che negli ultimi decenni il termine cellulare è diventato sinonimo di telefono mobile.
Il nome deriva dal fatto che la copertura del territorio da parte dei segnali radio che permettono il funzionamento dei telefoni è realizzata da una serie di celle adiacenti, ciascuna servita da una stazione ricetrasmittente.
Fantascienza: compie adesso sessant'anni questo vocabolo, coniato da Giorgio Monicelli – fratello maggiore del più famoso regista Mario e nipote dell'editore Arnoldo Mondadori – che fu il primo curatore della collana I romanzi di Urania, il cui primo numero uscì in edicola il 10 Ottobre 1952.
La parola italiana traduce i termini inglesi scientifiction e science-fiction, entrambi coniati negli anni '20 da Hugo Gernsback, fondatore della rivista americana Amazing Stories, comunemente considerata la prima rivista di fantascienza al mondo.
Il termine inventato da Monicelli diventò in breve tempo popolarissimo, soppiantando Scienza Fantastica proposto qualche mese prima da Lionello Torossi, direttore dell'omonima rivista nata nell'Aprile 1952 (che è quindi a tutti gli effetti la prima rivista italiana specializzata nel genere), ma che cessò le pubblicazioni dopo appena un anno.
Robot: anche se molti di ostinano a pronunciarla robò alla francese, questa parola deriva dal termine ceco robota che significa lavoro pesante o anche schiavitù; compare per la prima volta nel romanzo I robot universali di Rossum dello scrittore ceco Karel Čapek, ed è entrata invariata in tutte le lingue europee, diffondendosi in breve grazie anche ai racconti di Isaac Asimov e ai film Metropolis di Fritz Lang e Il pianeta proibito di Fred McLeod Wilcox, in cui compare il simpatico Robby the Robot che negli anni '50 diventerà popolarissimo, tanto che ne verranno prodotti numerosi esemplari giocattolo per i bimbi di tutto il mondo.
Benché i robot di Čapek fossero in realtà uomini artificiali, il termine robot (il sinonimo italiano automa ha avuta scarsa fortuna ed è praticamente in disuso) viene oggi utilizzato per indicare prevalentemente dispositivi meccanici – non necessariamente antropomorfi – in grado di sostituire l'uomo in svariate operazioni; per indicare esseri organici artificiali come quelli di Čapek si ricorre ai termini androide o replicante, quest'ultimo inventato dallo scrittore Philip K. Dick e reso famoso dal film Blade Runner. Più recentemente si è diffuso anche cyborg, che indica un essere parzialmente meccanico e parzialmente organico.
Software: è un evidente prestito dall'inglese questa parola, nata all'incirca durante la seconda guerra mondiale e diffusasi a partire dagli anni '50 di pari passo con la diffusione dell'informatica.
Di per sé non ha nessun significato, ed è un neologismo anche in inglese, foggiato per imitazione del termine hardware, che propriamente significa ferramenta (alla lettera merce dura); per analogia con software (merce tenera) si cominciò ad indicare la parte non solida dell'informatica, cioè la programmazione, designando invece hardware il macchinario connesso ai computer.
Un saluto dal vostro
Cosimo Piovasco di Rondò