parlerei a que’ duo che insieme vanno
e paiono sì al vento esser leggieri.
Ed egli a me: – Vedrai quando saranno
più presso a noi; e tu allor gli prega
per quell’amor che i mena, e quei verranno.
Sì tosto come il vento a noi li piega,
mossi la voce: – O anime affannate,
venite a noi parlar, s’altri nol niega.
Quali colombe dal disio chiamate,
con l’ali alzate e ferme, al dolce nido
vengon per l’aer dal voler portate;
cotali uscir dalla schiera ov’è Dido,
a noi venendo per l’aer maligno
sì forte fu l’affettuoso grido.
– O animal grazioso e benigno,
che visitando vai per l’aer perso
noi che tignemmo il mondo di sanguigno,
se fosse amico il re dell’universo,
noi pregheremmo lui della tua pace,
poiché hai pietà del nostro mal perverso.
Di quel che udire e che parlar ti piace
noi udiremo e parleremo a vui,
mentre che il vento, come fa, si tace.
Siede la terra, dove nata fui,
sulla marina dove il Po discende
per aver pace co’ seguaci sui.
Amor, che a cor gentil ratto s’apprende,
prese costui della bella persona
che mi fu tolta, e il modo ancor m’offende.
Amor, che a nullo amato amar perdona,
mi prese del costui piacer sì forte
che, come vedi, ancor non m’abbandona.
Amor condusse noi ad una morte;
Caina attende chi vita ci spense.
Queste parole da lor ci fur porte.
Da che io intesi quelle anime offense,
chinai il viso, e tanto ‘l tenni basso,
finché il poeta mi disse: – Che pense?
Quando risposi, cominciai: – O lasso,
quanti dolci pensier, quanto disio
menò costoro al doloroso passo.
Poi mi rivolsi a loro, e parlai io,
e cominciai: – Francesca, i tuoi martiri
a lagrimar mi fanno tristo e pio.
Ma dimmi: al tempo de’ dolci sospiri,
a che e come concedette amore,
che conosceste i dubbiosi desiri?
Ed ella a me:– Nessun maggior dolore,
che ricordarsi del tempo felice
nella miseria; e ciò sa il tuo dottore.
Ma se a conoscer la prima radice
del nostro amor tu hai cotanto affetto,
farò come colui che piange e dice.
Noi leggevamo un giorno per diletto
di Lancillotto, e come amor lo strinse:
soli eravamo e senz’alcun sospetto.
Per più fiate gli occhi ci sospinse
quella lettura, e scolorocci il viso:
ma solo un punto fu quel che ci vinse.
Quando leggemmo il disiato riso
esser baciato da cotanto amante,
costui, che mai da me non fia diviso,
la bocca mi baciò, tutto tremante.
Galeotto fu il libro e chi lo scrisse;
quel giorno più non vi leggemmo avante.
Mentre che l’uno spirto questo disse,
l’altro piangeva sì che di pietade
io venni men così com’io morisse;
e caddi, come corpo morto cade.
(Inferno, V, 73/142)
Buon ascolto dal vostro
Cosimo Piovasco di Rondò