“All’Unita’, mi capitava di rado di fare la notte come redattore capo o redattore capo aggiunto.
Cercavo di evitare perché la notte era l’unico momento libero che avevo (di solito staccavo verso le 10 se non c’erano imprevisti che nel settore spettacoli/cultura erano piuttosto rari) e riuscivo spesso a farlo perché ero inviato da qualche parte.
Una delle notti che non sono riuscito ad evitare fu quella in cui venne fuori, come dal nulla, l’elenco della P2. All’ora di cena, le telescriventi cominciarono a vomitare una interminabile lista di nomi, tutti membri di una loggia massonica deviata soprannominata P2. I nomi erano quelli di Licio Gelli, Angelo Rizzoli, Silvio Berlusconi, Maurizio Costanzo, Fabrizio Cicchitto, ma anche Claudio Villa, Guido Oddo, e un’infinita’ di altri.
Nessuno di noi in servizio quella notte sapeva molto di massoneria regolare, figurarsi di massoneria deviata. E ci rendemmo presto conto che anche addentrarsi nel labirinto delle deduzioni non sarebbe servito a molto. Ci chiedevamo tutti cosa cazzo potesse tenere insieme il grande editore Rizzoli o il palazzinaro rampante Berlusconi con il reuccio della canzone Claudio Villa o l’affettato commentatore del tennis in RAI Guido Oddo. Eppure, tutti questi signori facevano parte di un gigantesco complotto contro lo Stato e contro la Democazia.
Non ci veniva in mente niente, ma veramente niente di niente.
Ci attaccammo ai telefoni, ma alla Direzione del PCI nessuno rispondeva. Cominciammo a scrivere articoli e a progettare titoli mano a mano che nuovi nomi arrivavano. Buttammo nel cestino non so più quanti pezzi, quanti titoli, quante pagine già pronte. Finimmo per uscire in modo generico, sgomento, balbettante. Alle 5 del mattino, con tutti i giornali già in viaggio verso le edicole, finalmente un autorevole dirigente del PCI rispose al telefono. Era Ugo Pecchioli, il nostro ministro ombra degli interni come si usava dire all’epoca. Quando gli chiedemmo cosa diamine fosse questa faccenda della P2, lui rispose semplicemente “Non ne sappiamo un cazzo”.
Poco dopo, azzannando un cornetto in un bar della stazione con un collega frastornato quanto me, mi resi conto che io ero improvvisamente deceduto e con me tanti compagni come me che avevano dato l’anima per costruire, dalla fine degli Anni Sessanta in poi, un’Italia migliore.
Era il 21 maggio del 1981. Due mesi dopo, lasciai il giornale non avendo la più pallida idea di dove andare. Mi offrirono Parigi, New York, una poltrona a RAI 3, sei mesi di ferie. Rifiutai qualunque cosa, anche la (invero modesta) liquidazione. Continuarono a chiedermi perché me ne andassi. Non seppi mai fornire una risposta degna di questo nome.”
David