lunedì 27 maggio 2013

VENI, RISI & BISI



È più probabile che le parole di Gaio Giulio Cesare nella più famosa delle sue esclamazioni siano state queste piuttosto che il: “Vini, vidi, vici!” che i suoi storici: Plutarco ne le Vite parallele e Svetonio nella Vita dei cesari, gli fanno pronunciare con molta più solennità.

E, sempre probabilmente, non furono pronunciate durante l’annuncio della straordinaria vittoria riportata il 2 agosto del 47 a.C. contro l'esercito di Farnace II a Zela nel Ponto, ma dopo essersi alzato da tavola ospite dei veneti dell’Armorica (l’attuale Bretagna) che egli aveva conquistato nel 56 a. C. con la vittoriosa battaglia navale di Morbihan.

Che diavolo ci facessero allora i veneti in Armorica è un mistero, come pure è un mistero come diavolo abbiano fatto dopo a trasferire il campanile, il palazzo del Doge, piazza San Marco, il Ponte dei Sospiri, la riva degli schiavoni, il ponte di Rialto, il Danieli e il Cipriani nella laguna dell’alto adriatico dove risiedono tutt’ora … forse percorrendo con le loro gondole i fiumi delle Gallie remando con la forza delle braccia (la famosa voga veneziana con un solo remo), mattone per mattone su e giù per l’Europa.

L’esclamazione entusiastica di Cesare deve essere seguita non alla vittoria ma ad un buon piatto di “risi e bisi”, che è una tipica specialità veneta: si tratta di riso e piselli, che non è un risotto e non è una minestra, perché è troppo liquido per essere il primo ed è troppo denso per essere il secondo, tanto è vero che esiste un’antica disputa se sia meglio mangiarlo col cucchiaio o con la forchetta (per inciso, è un risotto se alla fine il cucchiaio di legno sta dritto in verticale sulla pentola, è una minestra se si affloscia sul bordo).




Sono diverse le città venete che se ne contendono le origini … “Tutti mi chiedono, tutti mi vogliono, donne, ragazzi, vecchi, fanciulle … Ahimè, ahimè, che furia! Ahimè, che folla! Uno alla volta, per carità, per carità, per carità. Uno alla volta, uno alla volta, uno alla volta, per carità! Figaro Son qua! Figaro Son qua! Figaro qua, Figaro la Figaro qua, Figaro la Figaro su, Figaro giù Figaro su, Figaro giù Pronto prontissimo Son come il fulmine, sono il factotum della città della città della città della città della città! Ah, bravo Figaro bravo, bravissimo Ah, bravo Figaro bravo, bravissimo Fortunatissimo Fortunatissimo Fortunatissimo per veritààààààà!”.




A Borso del Grappa, in provincia di Treviso, in primavera spuntano i piselli più dolci, più teneri e più grossi, ma anche Lumignano e le aree limitrofe al comune di Longare, in provincia di Vicenza, dove le coltivazioni sono riparate dai Colli Berici, sono zone particolarmente adatte alla crescita di queste coltivazioni, i cui prodotti vengono però assorbiti per la maggior parte dai ristoratori locali.

In quanto alla produzione del riso, sul delta del Po è documentata dalla metà del ‘400, vi fu introdotta dagli Estensi, signori di Ferrara, che favorirono la bonifica di grandi estensioni palustri; il secondo polo produttivo è la bassa veronese, in particolare il centro di Isola della Scala, Grumolo delle Abbadesse tra Padova e Vicenza (il nome ricorda le monache benedettine che intorno all’anni Mille, mentre tutto il mondo cristiano soggiaceva a timori apocalittici, bonificarono le terre del fiume Tesina e introdussero la coltivazione di questo cereale).




La varietà più caratteristica che si produce in Veneto è il vialone nano, un riso semifino che in cottura si espande assorbendo il sugo e riempiendosi di gusto e per questo è particolarmente adatto per minestre e per risotti, in special modo per la preparazione del risi e bisi. Anche Venezia scende in campo con i suoi colori, la sua storia e la sua tradizione per rivendicare la paternità di questo piatto, se non è possibile prepararlo senza i piselli di Borso o dei Colli Berici, né senza il riso della bassa veronese, vicentina, padovana e rovigina, la prima documentazione certa di questo piatto si ha nella tradizione secondo la quale veniva preparato ogni 25 aprile per la tavola del Doge per festeggiare nientemeno che San Marco, il patrono della città.

Il riso è molto importante in Veneto tanto che un antico proverbio dice: “Risi crui in cesa, riso coto in tola” (riso crudo in chiesa, riso cotto in tavola), comunque sia il riso con i piselli è un piatto di antica tradizione e chiunque l’abbia inventato meriterebbe la menzione d’onore o in alternativa una statua equestre in riva degli Schiavoni a Venezia al posto di quella orribile dedicata a Vittorio Emanuele II, che fu re d’Italia grazie alla mente e agli intrighi di Cavour e al braccio e al coraggio di Garibaldi, mentre lui si occupava di caccia, di donne e di cavalli.

Il veneto è un vero semplificatore, riduce le lettere doppie in singole, a volte elimina proprio delle lettere all’interno di una parola (come nel caso di “tola” al posto di “tavola” … che volete, in val di Susa ci sono i “no-tav” in veneto abbiamo i “no-av”), se proprio si doveva fare un ministro alla Semplificazione bisognava mettere un veneto non un lombardo.




Il lombardo è “bauscia”, uno che si da arie, lo sbruffone, quello che ingigantisce ogni cosa che gli accade per darsi più importanza. Prendete Silvio Berlusconi che ne è l’esemplare più rappresentativo, lo indagano a Milano e lui straparla di complotto dei giudici, di toghe rosse, di persecuzione giudiziaria, non può accettare alcuni giudici della zona in cui risiede gli contestino dei semplici reati … la questura di Milano arresta Ruby per furto e lui è preoccupato che possa parlare e spiattellare tutto sulle orge, il bunga bunga, e del fatto che è minorenne?

Telefona in questura e dice che Ruby è nipote di Mubarak, che manderà una persona di fiducia a prenderla che la consegnerà ad un’altra persona di fiducia (in realtà manda un’igienista dentale, accusata di organizzargli le orge perché la conduca da una prostituta d’alto bordo), in definitiva fa di un problema di sesso, orge e pedofilia un caso di politica internazionale e paventa l’incidente diplomatico. Ma non finisce qui, non così, va molto oltre, magai fosse finita così … il 27 maggio del 2010 314 deputati del PDL votano in Parlamento che Ruby è davvero nipote di Mubarak … il senso del ridicolo era già stato superato prima, qui ho terrore a pensare a cosa abbiamo attraversato …

Con questa scena Berlusconi consegna l’Italia definitivamente al comico del mondo, nessuno potrà più guardarci senza ridere di noi; nessuno sceneggiatore di film comici oggi saprebbe nemmeno immaginarsi una gag così, va oltre ogni immaginazione, bisogna essere particolarmente dotati per pensarla e per realizzarla ricoprendo il ruolo di Presidente del Consiglio, quando tento di spiegarlo ad alcuni miei amici d’oltreoceano non so mai da che parte iniziare per far comprendere un’enormità di questo genere … ma com’è che noi ci siamo abituati a queste assurdità, come facciamo a conviverci, com’è possibile che un tipo così sia ancora fra le scatole, potente e determinante nel decidere sul destino di noi tutti?




Bisognerebbe andare molto indietro nel tempo per trovare qualcosa di simile, a Totò che vende la fontana di Travi a Decio Cavallo, perché i film comici odierni sono in affanno rispetto alla realtà, uno dei film che mi è piaciuto di più, Qualunquemente di Antonio Albanese, era costantemente sottotono, surclassato dalla realtà, anche scene forti come quando Cetto consegna suo figlio come responsabile unico dei suoi illeciti e dunque lo condanna a scontare il carcere al posto suo sottolineando che il carcere fortifica e migliora, per quanto possa far ridere non ha la verve spontanea di un Berlusconi che inventa all’istante le cose più impensate.

E che dire poi della comicità intrinseca di un Bersani e di tutto il Pd che si porta dietro la simpatia che accompagna gli sfigati cronici, tutti coloro che sono destinati a perdere sempre anche quando sembrano ad un passo dalla vittoria, l’ilarità che suscitano tutti coloro che possiedono un autolesionismo patologico, quelli che prendono le torte in faccia, quelli a cui va tutto storto, da Paolino Paperino ai nostri giorni. Come non provare uno spontaneo moto di simpatia per i faccione di Bersani, col suo perenne sfigato, con l’immagine sbiadita in bianco e nero come quei manifesti che sembravano fatti apposta per perdere qualsiasi elezione in un periodo di un nero funereo come quello della attuale crisi economica e come non simpatizzare per Enrico Letta, consegnatosi mani e piedi a Berlusconi in olocausto come già prima aveva fatto Mario Monti, Presidente di un Consiglio dove che decide la musica e le danze è Silvio Berlusconi, che minaccia di farlo cadere ad ogni istante e ricattando tutto l’esecutivo.

Come non provare un minimo di pena per Ignazio Marino, “sostenuto” dal PD alle elezioni comunali di Roma quando vedi le sezioni del partito deserte e sonnecchianti e realizzi che forse Marino avrebbe potuto avere qualche chance se si presentava con una lista civica.




Il veneto, dicevo, semplifica le doppie, elide lettere che trova superflue, ma in alcuni casi abbonda e non lo fa moltiplicando le lettere di una parola, ma ricorrendo al plurale invece del singolare; non vi sarà sfuggito che mentre in tutto il resto dell’Italia il piatto proposto si sarebbe chiamato riso e … in Veneto si preferisce denominarlo “risi” … e in effetti è come se il veneto volesse sottolineare che non si tratta di un singolo chicco di riso, ma di tanti … è un modo per significare abbondanza.

Un veneto non chiederà: “Mi ha cercato nessuno?”, ma: “Me ga’ cercà nisuni?”, e quel “nisuni” vuol dare a intendere che potrebbero cercarlo legioni di individui, non una singola persone come lascia intendere il termine “nessuno” … il “ga’” è voce del verbo avere: mi go’, ti ga’, i ga’ … semplice no, xe venexian par foresti questo!

Il veneto è particolare, tempo fa già vi misi sull’avviso circa il denominare una figlia col nome di Simona, guai a farlo da queste parti, guai alla Simona che si trasferisse in Veneto; non molto tempo fa un conoscente di nome Goffredo ha dovuto cambiar nome … magari in faccia proprio no, perché le ragazze venete sono educate all’ipocrisia, ma non ci voleva molto ad accorgersi che ogni volta che Go’ fredo si presentava una risatina risuonava nel cervello della ragazza che aveva di fronte, e riecheggiava quando questa raccontava il suo incontro alle amiche.

Alla fine Goffredo non ce l’ha fatta più di sentire tutte quelle risatine delle ragazze a cui si presentava, moltiplicate per le loro amiche; chissà perché Fiammetta va bene e Goffredo no, invece! E che diavolo era saltato in mente ai genitori di Goffredo, entrambi veneti, di consegnare il proprio figlio alla barzelletta comune, al riso delle ragazze.




Verrebbe da far pariglia con i “bisi” (i piselli), se non fosse che anche in italiano si preferisce usare il plurale, perché il singolare darebbe adito a troppi fraintendimenti, come già accade a quella fiaba di Hans Christian Andersen, La principessa sul pisello, la storia, cioè di quella principessa a cui non piaceva molto questo legume … poi chissà, col tempo magari avrà cambiato idea, ma nella fiaba viene descritta una notte d’inferno trascorsa da questa povera ragazza a cui nascondono un pisello sotto una serie di 20 materassi, 20 guanciali e 20 cuscini, al di sopra del quale fu preparato il suo giaciglio per la notte.   

Oggi per fortuna le principesse non soffrono più di questa idiosincrasia anderseniana, che per inciso piacque tanto alla futura suocera della principessa, e possono gustare questo piatto prelibatissimo senza tema di rimanere insonni la notte, sono conquiste della civiltà queste.

E già che non esistono più controindicazioni, riporto un antico proverbio veneto che auspica l’abbondanza, infatti, dice: “Ogni riso un biso”, che è come dire: “A ciascun’alma presa e gentil core …” (Dante Alighieri, Vita Nova, III, 10-12); sull’onda di questa abbondanza vi riporto qui di seguito la ricetta così come mi è stata trasmessa da Nonna Papera, molto fedelmente senza aggiungervi né togliervi un chicco di riso, non senza prima introdurvela col le parole del grande Pellegrino Artusi, che essendo romagnolo d’origine e toscano d’adozione privilegia la cucina di queste due regioni, per cui non riporta nel suo famoso libro La scienza in cucina e l'arte di mangiar bene (1891) questa ricetta veneta, ma fra Le minestre asciutte e di magro un risotto con i piselli … che non è la stessa cosa:

“Il riso! Ecco giusto un alimento ingrassante che i Turchi somministrano alle loro donne onde facciano, come direbbe un illustre professore a tutti noto, i cuscinetti adiposi”.




INGREDIENTI:

-          Riso vialone nano 320 gr.;

-          Piselli freschi in baccello 1 kg. Oppure 300 gr di piselli freschi già sgranati;

-          Pancetta magra  o prosciutto cotto 50 gr.;

-          Cipolle bianche 2 grandi;

-          Carota 1;

-          Costa di sedano 1;

-          Burro 40 gr.;

-          Olio d’oliva 3 cucchiai;

-          Grana o Parmigiano 50 gr.;

-          Prezzemolo (quanto basta per la guarnizione);

-          Sale;

-          Pepe nero.





ESECUZIONE:


Ripulite i piselli di eventuali impurità, passateli sotto acqua fresca con tutti i baccelli e metteteli a bagno per mezzora con bicarbonato di sodio; dopo risciacquateli bene, sgranateli e mettete parte dei baccelli in una pentola capiente con una cipolla sbucciata e tagliata grossolanamente, una carota sbucciata e tagliata in tronchetti e la costa di sedano lavata e tagliata anch’essa a tronchetti. Ricoprite tutto con molta acqua fredda, mettetelo su un fornello e lasciatelo per circa due ore dopo la bollitura. In questo modo otterrete un brodo vegetale che alla fine scolerete accuratamente, fate attenzione che per la ricetta ve ne occorrerà circa un litro e mezzo o poco più, quindi se dovesse evaporare troppo o se avete messo meno acqua di quella che vi serve aggiungetela e portate a bollore.

In una pentola antiaderente alta adatta per il risotto fate soffriggere in tre cucchiai d’olio e in metà del burro la seconda cipolla tagliata a dadini piccoli tutti uguali fra di loro, quando prende colore dopo qualche minuto aggiungete la pancetta e i piselli sgranati e continuate a rosolare per più di cinque minuti mescolando di continuo con un cucchiaio di legno, quindi versate dentro il riso che rosolerete a fuoco alto per un paio di minuti perché si tosti.

Quando il riso sarà ben tostato versategli sopra qualche mestolo del brodo che avrete preparato e che starà bollendo su un altro fornello in parallelo col riso; il fuoco di cottura del riso dovrà essere vivace per tutto il tempo previsto, scegliete un fornello di grandezza intermedia e mescolate di continuo versando brodo ogni volta che si asciuga troppo il fondo di cottura.

Ultimate la cottura procedendo in questo modo e mescolando spesso con un cucchiaio di legno, due minuti prima del tempo previsto per la cottura del riso aggiungete il formaggio, un pizzico di sale marino e il rimanente burro e mantecate il riso mescolando fino allo scadere del tempo.

C’è un’antica diatriba nella scelta fra grana padano o parmigiano, a partire dalla menzione che ne fa il Boccaccio (Decameron, VIII, 3) fino ai nostri giorni, fortunatamente noi qui non dobbiamo decidere per l’uno o per l’altro, sappiate solo che le ricette più antiche, la tradizione e la zia Giuseppina non hanno alcun dubbio, ci va il grana, anche perché mentre il parmigiano sarebbe esclusivamente emiliano, la zona di produzione del grana padano è più ampia e comprende regioni come il Piemonte, la Lombardia, il Trentino, il Veneto e l’Alto Adige.




E poi, già il nome in tempi recenti il grana è stato privilegiato qui al nord non tanto in quanto grana, ma per il termine “padano”, c’è stato persino chi, come il sindaco di Varallo Gianluca Buonanno, con logica ferrea ha sentenziato che se esiste il grana padano allora esisterà per forza la Padania, ma alcuni avanguardisti dada difendono il parmigiano a spada tratta uber alles e sono pronti a scavare trincee per difenderne la superiorità.

Il problema non è la scelta in sé del tipo di formaggio, ma la sublime consonanza di gusti fra tutti i commensali, così come il formaggio serve ad amalgamare il risotto, serve ad amalgamare anche la compagnia: se decideste per il parmigiano e nella vostra compagnia a tavola ci fosse un amante del grana, allora si creerebbe un dissidio, una frattura, la tavola penderebbe tutta da un lato e saremmo molto lontani dall’equilibrio perfetto della tavola rotonda di Artù e dei suoi cavalieri.

Pensate poi alle coppie di fidanzati che si stanno formando, talvolta il porre la domanda più semplice: “A te piace di più il grana o il parmigiano?”, eviterebbe matrimoni avventati, unioni infelici e preverrebbe molte separazioni, io l’ho introdotto come piccolo test nel mio lavoro, lo chiedo a chi mi consulta prima di iniziare un’analisi, se mi dovesse dare la risposta “sbagliata” (o meglio, non con sona con i miei gusti) non inizio nemmeno l’analisi, nella sintonia del gusto talvolta ci sono segrete assonanze che servono e che sono essenziali quando si intraprende un lungo cammino insieme, per la vita o con uno scopo terapeutico.

Versatelo nei piatti, guarnitelo con un rametto di prezzemolo e una spolverata di pepe nero macinato al momento. 








Gustatevi questo "fuori onda" di Renato Brunetta ... è dalle piccole cose, dalle banalità, che capisci un uomo spesso, perché un politico quando parla di politica sarà controllatissimo su ciò che dice e su ciò che fa, un uomo abituato a microfoni e telecamere cambia completamente quando è "on air" e quando invece questi strumenti non sono accesi. Allora ... godetevi la "mappazza"!





Ora, provate a pensare che Brunetta invece di "risi" e "bisi" stesse parlando di mettere insieme uomini del PD e uomini del PDL, provate a pensare che la "mappazza" sia l'attuale governo Letta .... provate a pensare .... 

giovedì 23 maggio 2013

SUSSURRI E GRIDA

Giovanni Falcone


Ventuno anni fa sull’autostrada che da Punta Raisi va verso Palermo, nel pressi di Capaci, veniva ucciso Giovanni Falcone, cinquantasette giorni dopo in via D’Amelio veniva eliminato anche Paolo Borsellino; entrambi vengono uccisi in maniera spettacolare, con dosi massicce di tritolo, in entrambi i casi non si elimina chirurgicamente la singola persona, ma si compie una strage, saltano in aria con loro le rispettive scorte e la moglie di Giovanni.

La mafia ha sempre ucciso chi la infastidiva, chi la ostacolava, chi la umiliava, prima e dopo Falcone e Borsellino, se questi due nomi sono diventati il simbolo stesso della lotta contro la mafia lo si deve allo scacco autentico che le inflissero.

Per la prima volta con l’istituzione del “maxiprocesso”, terminato nel dicembre del 1987, 360 dei 475 imputati vennero condannati con pene molto pesanti, fra cui 19 ergastoli comminati a boss di primo piano come Michele Greco, Giuseppe Marchese, Giovan Battista Pullarà e - in contumacia - Salvatore Riina, Giuseppe Lucchese Miccichè e Bernardo Provenzano.

Vennero confiscati, per la prima volta beni e proprietà mafiose intestate a prestanome in Italia e all’estero (con rogatorie internazionali e con accordi fra le polizie che si occupavano di questi crimini di diversi Paesi fra Europa, Stati Uniti e America del Sud).

Avevano compreso molte cose nel pool palermitano che si era costituito per combattere la mafia a cui Falcone e Borsellino appartenevano: la prima era che le informazioni e le indagini devono essere condivise da più persone, in modo tale che l’eliminazione del singolo magistrato non riusciva più a bloccare o a vanificare tutto il lavoro; la seconda era di lanciare un messaggio forte che lo Stato c’era, era efficiente ed era capace di punire dissolvendo quell’aura di impunibilità che si era creata intorno ad alcuni boss mafiosi e che andava a toccare i loro beni (con i quali potevano corrompere chiunque); l’ultima era l’uso dei “pentiti” (c’era stata una feroce e sanguinosa guerra di mafia, che aveva creato degli sconfitti eccellenti, che attendevano solo di essere uccisi dalla mafia vincente, queste persone potevano essere le alleate migliori perché conoscevano fatti, luoghi, persone, segreti e il modo di pensare della mafia).

C’era un’altra cosa che il pool di Palermo aveva compreso, ed era il fatto che la mafia ha dei referenti politici di primo piano che la favoriscono con leggi, con la garanzia di impunità, con appalti e con l’ignorare i crimini da essa commessi che la rete mafiosa si estenda anche nei meandri della struttura burocratica e organizzativa dello Stato e che ne ricava consenso e favori.

Un intrico di poteri che coinvolgeva la mafia siciliana, la banda della Magliana, alcuni discussi banchieri e affaristi internazionali come Sindona e Calvi, alcune banche e i porporati di primo piano come il cardinal Poletti e il Cardinal Marcinkus, quest’ultimo gestiva lo Ior, la Banca Vaticana, attraverso la quale fiumi di denaro di provenienza illecita diventava pulito, spendibile e investibile, che se fosse frutto degli affari più onesti.

Marcinkus, nonostante fosse molto chiacchierato e persino dopo la morte dei due banchieri e di Giorgio Ambrosoli, commissario liquidatore della Banca Privata Italiana di Sindona, non fu mai rimosso: rimase pro-presidente della Pontificia Commissione per lo Stato della Città del Vaticano, su incarico di Giovanni Paolo II, fino al 1990 (anno in cui si dimise), nonostante fosse rimasto invischiato nello scandalo del crack del Banco Ambrosiano e un mandato di cattura emesso nel 1987 dal giudice istruttore del tribunale di Milano, che riuscì ad evitare grazie al suo passaporto diplomatico vaticano.

La mafia uccide Falcone e Borsellino perché non ha alternative per ripristinare quel “rispetto” che si è guadagnata con le armi in pugno e spargendo terrore (oltre che elargendo benefici a chiunque tornasse comodo avere dalla propria parte).


Giovanni Falcone - Paolo Borsellino - Antonino Caponnetto


A più di vent’anni di distanza e dopo una breve lotta contro la mafia che portò all’arresto di Totò Riina e di Bernardo Provenzano cosa rimane del sacrificio della vita stessa di questi due solerti funzionari dello Stato (e di quello di tanti altri che, come loro, credevano in un Paese più onesto dove esistesse il diritto e non l’arbitrio del pensiero mafioso, che favorisce l’amico seppure incapace piuttosto che la persona capace e preparata, anzi quest’ultima se troppo zelante viene persino eliminata, come è accaduto a Falcone e Borsellino, fra i migliori magistrati ad occuparsi di lotta alla mafia).

La mafia facilita l’incapace non solo per dimostrare la propria potenza, mettendo al posto che vuole persone che mai ci sarebbero arrivate da sole o dimostrando che senza rivolgersi a lei non arriverai mai ad ottenere quella cosa, ma perché uno Stato inefficiente è proprio lo Stato ideale dove essa può affondare le sue radici, la mafia e antitetica all’efficienza e al buon funzionamento delle cose.
Dove niente funziona le persone cominciano a rivolgersi altrove per ottenere ciò che desiderano, ma anche ciò che spetterebbe loro per diritto (i diritti diventano favori in uno Stato mafioso), dove niente funziona un incapace, un imbecille, un'oca impennata, possono aspirare a posti e a ruoli di rilievo, ad avere grandi responsabilità e grandi retribuzioni, completamente al di fuori dal loro merito e diventare persino ministri.

Oggi non abbiamo ancora dipanato del tutto i misteri di quelle due morti eccellenti, dopo qualche arresto, ricostruzioni più o meno credibili della dinamica dei delitti, non sappiamo bene chi li ha voluti, come furono possibili, quali innominabili accordi fra lo Stato e la mafia fecero si che si sacrificassero quelle due vite e per cosa.

Il processo per la morte di Borsellino sembra tutto da rifare, è in dubbio anche l’identità degli esecutori materiali e non abbiamo mai saputo l’identità dei mandanti (non l’abbiamo accertata a livello processuale, perché a livello di buon senso ci arriva chiunque a comprendere a chi dessero fastidio questi due magistrati e il loro pool antimafia). Dopo più di vent’anni l’agenda rossa di Paolo Borsellino risulta ancora introvabile, e la sensazione che non si sia voluta trovare ha assunto ormai una certa consistenza; e ci fanno assistere ancora a quelle pagliacciate in cui un filmato la vedrebbe in mano ad un carabiniere, il quale si discolpa dicendo che non sapeva che fosse importante, dopo vent’anni di ricerche, e che alla fine risulta tutta una bufala, perché non era un’agenda, ma un parasole … riuscite a pensare a qualcosa di più assurdo?


Giovanni Falcone e la sua scorta, aeroporto di Roma


La Sicilia, dopo Piersanti Mattarella ucciso dalla mafia nel 1980 e dopo l’indignazione seguita alla morte di Falcone e Borsellino, elegge come presidenti di Regione Totò Cuffaro e Raffaele Lombardo, non vi pare ancora più assurdo della vicenda dell’agenda rossa di Borsellino? Siciliani, ma non vi sono cadute le mani, non vi si sono paralizzate, mentre mettevate la vostra croce nel segreto della cabina elettorale su nomi tanto indegni?

Siamo stati governati da vent’anni da un tizio che, a capo di un partito azienda di persone il cui potere dipende esclusivamente da lui, ha depenalizzato il falso in bilancio, è stato condannato a 4 anni per evasione fiscale in appello, per rivelazione di informazioni coperte da segreto istruttorio relative all'inchiesta Bnl-Unipol (in primo grado è stato condannato a un anno di reclusione) e attende la condanna definitiva, più altre possibili condanne per concussione aggravata e prostituzione minorile, è stato chiesto il rinvio a giudizio per aver corrotto dei sanatori perché passassero nel suo schieramento, per corruzione e finanziamento illecito ai partiti, per compravendita di diritti televisivi, per diffamazione aggravata nei confronti di Antonio Di Pietro, avendo dichiarato che quest’ultimo avesse ottenuto la laurea grazie ai servizi segreti.

E non sto a parlarvi dei moltissimi procedimenti archiviati, prescritti, amnistiati e alle sentenze di assoluzione perché nel frattempo il governo presieduto da Silvio Berlusconi faceva una legge che depenalizzava il reato dell’imputato Silvio Berlusconi.

Tralascio le innumerevoli leggi in materia di giustizia che i solerti avvocati parlamentari al suo servizio hanno elaborato, proposto e fatto approvare per salvare il proprio capo e i suoi amici dai problemi giudiziari in cui può incorrere qualunque “galantuomo”.
Ma è vergognoso tutto questo minacciare Enrico Letta (o meglio, Ricoletta, come viene spesso condensato dai media) di far cadere il governo se non si fa qualcosa di urgente sul fronte della giustizia per arrestare questo accanimento giudiziario che i giudici in un complotto cosmico che va da Palermo, a Milano, passando per Napoli e per Roma, mostrano di avere verso il libero cittadino Silvio Berlusconi, il quale in un complotto cosmico contro se stesso commette dei reati così come respira, e poi commette altri reati per coprire i primi, in una catena che nemmeno la dipendenza da eroina o da alcol è paragonabile.


Marcello Pera, Presidente del Senato celebra Falcone


Avete sentito quella barzelletta, raccontata di recente, del tizio (importa davvero come si chiama? Già solo coprirlo di insulti sarebbe un onore per lui, è soltanto uno dei peones berlusconiani, uno che senza Berlusconi sarebbe nessuno o centomila ...) che in Senato ha proposto un ddl in cui si volevano diminuire notevolmente le pene per i condannati per concorso esterno in associazione mafiosa? Già il “concorso esterno” è difficilissimo da dimostrare, anche se sei testimone di nozze di un boss mafioso nessuno può accusarti di concorso esterno, devi dimostrare con prove inoppugnabili che hai favorito la mafia e che ne hai ricevuto in cambio qualcosa … e, si sa, la mafia non rilascia ricevuto per i favori avuti, né è facile dimostrare che una legge è stata fatta esclusivamente per favorire il mafioso o che quell’appalto fosse truccato.

Tempo prima il ministro alle finanze aveva varato un provvedimento vergognoso, lo “scudo fiscale”, che in sintesi sanava ogni illecito fiscale e permetteva il rientro di capitali italiani all’estero garantendo l’anonimato, la non perseguibilità penale e pagando la sanzione minima (dal 5% al 25%) in caso di scoperta della violazione delle norme sul monitoraggio dei capitali e non intaccando il rendimento fruttato dai capitali all'estero nel periodo in cui non vi sono state pagate imposte dovute in Italia.

Immaginate la gioia dei contribuenti onesti che pagano quasi la metà (in alcuni casi anche più della metà) dei loro ricavi al fisco nel venire a sapere che gli evasori pagheranno una cifra irrisoria per far rientrare il loro capitale, immaginate come verrà rinforzato il senso dello Stato e quello dell’onestà se l’evasore viene premiato e il contribuente onesto beffato e stritolato da un sistema contributivo fra i più elevati in Europa e fra i più squilibrati, immaginate quale grande regalo alla criminalità organizzata, la quale (evasione o no) può far rientrare una massa enorme di capitali illeciti pagando le cifre più basse che si siano mai viste nell’ambito del riciclaggio del denaro sporco e con l’avallo legale dello Stato e di un governo legittimo può investire sul nostro territorio denaro che proviene dal traffico di droga, di armi, e di chissà quale altra attività di questo genere.


Strage di Capaci


Ma, Berlusconi è egli stesso mafia, e non sto parlando di tutti i processi in cui era implicato e che lo vedevano vicino ad ambienti mafiosi, non sto parlando di Mangano, di Dell’Utri, della presunta alleanza con la mafia che avrebbe fatto cessare le stragi e che nel 2001 gli regalò in Sicilia 61 collegi elettorali su 61; no, parlo della situazione anomala che contraddistingue la sua attività politica.

Vedete, quando due uomini discutono per affermare se stessi, il loro diritto, il loro punto di vista, in un Paese democratico con simpatie liberali la consuetudine e il diritto pretenderebbero che avessero lo stesso spazio, le stesse opportunità di partenza e che, in mancanza di un accordo, si ricorra ad un ente super partes per dirimere la questione fra di loro.

La mafia agisce in maniera diversa, se ne frega di partire alla pari con i suoi avversari, di non avere alcun vantaggio, in maniera tale che vengano premiate le ragioni e gli argomenti più solidi oppure la capacità di espressione di uno dei contendenti; la mafia vuole vincere ad ogni costo, ne va della propria sopravvivenza, e per far questo ricorre a qualsiasi cosa, dal ricatto all’intimidazione, e nei casi più estremi può spuntare fuori anche una pistola (o diversi chili di tritolo).

Ora, la “pistola” di Berlusconi è il suo impero economico e mediatico, non s’è mai visto in nessuno dei Paesi civili e democratici che chi possiede un impero economico e una concentrazione di media di quelle proporzioni possa entrare in politica senza che questo non costituisca un problema democratico, e non s’è mai visto nemmeno nelle dittature che un singolo uomo sia proprietario dei media, persino nel fascismo, nel nazismo o nelle peggiori dittature sudamericane o africane era il partito a controllare i media, non il singolo dittatore a possedere televisioni e giornali.


Qual'è la differenza, chiedete? Semplice, nel primo caso un dittatore e il suo partito controllano i media e i cittadini conoscono ciò che oro vogliono che conoscano, nel secondo caso il dittatore oltre all'opinione pubblica controlla anche il suo partito. 
E che dire di quella farsa vergognosa che va sotto il nome di “accordo Stato-Mafia”? Che almeno le quattro principali regioni del sud siano domini mafiosi non credo sia un segreto per nessuno, tutto il sud è tenuto stretto sotto il tallone del bisogno e del sotto-sviluppo, per qualsiasi cosa devi rivolgerti a qualcuno o rischi di non ottenere mai ciò che vorresti, e si sono inventati un mucchio di idiozie finanziate dallo Stato o dalla Comunità Europea che non producono nulla che abbia un vero mercato e che non possono neppure dirsi “servizi” perché servono solo a tenere le persone eternamente precarie, eternamente in stato di bisogno, eternamente sotto scopa per il rinnovo, in una condizione miserevole (perché il compenso mensile è sotto i mille euro mensili) e come bacino di utenza elettorale.


Peppino Impastato


Che la mafia da qualche decennio sia fortemente radicata nel nord del Paese, con appalti e con ogni cosa che si muove e fa muovere denaro soltanto Roberto Maroni fa finta di non saperlo (forse che lui non sappia può raccontarlo ancora a qualche leghista della val Brembana, di quelli che mangiano formaggio di malga e vanno ai raduni a Ponte di Legno con le corna celtiche in testa, uno di quelli che crede ancora che: "La Lega ghe l'ha dür!"), ma se ne accorgerà senza ombra di dubbio come commissario unico dell’expò di Milano del 2015 … e in ogni caso ci rivedremo alla fine del suo mandato come presidente della regione Lombardia.

Se è per questo ormai la mafia fa affari in tutta Europa, investe ovunque riesce ad entrare ed è un interlocutore e un ottimo partner economico in molte zone del mondo: dalle Americhe, all’Africa, all’Asia e in Australia … difficile dunque che si sia fatta intimorire dei leghisti lombardi, fra l’altro sensibili a feste, yacht, diamanti, investimenti africani e lauree senza sudore.


Ilda Boccassini


Ma che ci sia stato nel 1993 un vero e proprio patto, un accordo, fra Stato e Mafia sarebbe davvero vergognoso, anche perché la politica che emerse in quegli anni è la stessa che ci governa il questo momento, significherebbe dire che ci siamo consegnati incaprettati come democrazia alle bombe e all’arroganza dei Riina, dei Provenzano e dei Messina Denaro.

Sarebbe inaccettabile, sarebbe un’onta intollerabile, richiederebbe le dimissioni immediate di chiunque ne fosse coinvolto e lo scioglimento dei partiti che su questo patto si sono costituiti. Si sciolgono comuni per collusione mafiosa, ma uno Stato si può sciogliere per mafia?

Di fronte ad un’accusa così infamante uno Stato serio reagisce non con ulteriore arroganza, la stessa che caratterizza la mafia, non invocando il rispetto per la carica e il ruolo, uno Stato serio reagisce con la trasparenza, se ci sono (e ci sono) fondati motivi per indagare su questo famigerato accordo, bisognerebbe facilitare le indagini, perché un’accusa così va sfatata al più presto, bisognerebbe augurarsi che non corrisponda al vero, bisognerebbe invocare il massimo della trasparenza.

Già è un sospetto forte il fatto che siano intercorse delle telefonate segrete a questo proposito fra Nicola Mancino, all’epoca dei fatti Ministro dell’Interno e che ha di recente rivestito la carica di vicepresidente del Consiglio Superiore della Magistratura, e Giorgio Napolitano, Presidente della Repubblica.

Nel nome della trasparenza più assoluta e data la gravità dell’accusa io avrei declinato alle prerogative della mia carica (al posto di Napolitano) e avrei permesso che queste telefonate fossero di dominio pubblico e, come Presidente del Consiglio Superiore della Magistratura, avrei fatto tutto ciò che è in mio potere perché le indagini procedano e non siano ostacolate da alcuno.


Roberto Scarpinato


Invece, in questo Paese la magistratura viene bollata come complottista ed eversiva, ci si permette di fare manifestazioni in piazza (si porta un intero partito in piazza) per proteste contro una sentenza, si cerca di intimidire in ogni modo, si costruiscono dossier sui singoli magistrati nella speranza di trovare qualche elemento di ricatto, si fanno dichiarazioni avventate, si falsifica la realtà dei fatti e si rende il loro lavoro più complicato possibile, tanto che è difficile istituire un processo che sfocerà in una condanna indipendentemente dall’accertamento della colpevolezza.

Infine, oggi Falcone e Borsellino saranno celebrati in molte città d’Italia, molti degli esponenti delle istituzioni che presiederanno alle celebrazioni saranno gli stessi che in vita li hanno ostacolati o che ostacolano la magistratura e la sua piena autonomia, pensateci quando vi troverete in qualche corteo, in qualche sfilata, in qualcuna di queste celebrazioni o quando vi verrà data notizia di questo carnevale, di questa fiera dell’ipocrisia che è la celebrazione in commemorazione di Falcone e Borsellino.   

La mia solidarietà a Ilda Boccassini, che ha ricevuto numerose lettere minatorie anonime con minacce gravi e nell’ultima due proiettili.



lunedì 20 maggio 2013

Il nuovo analfabetismo

Vi segnalo questo post di Antonio che trovo molto interessante, e vi rimando a lui per inserire i vostri commenti.


venerdì 17 maggio 2013

ACCOPPIAMENTO UMANO E "NORMALE"




Tutte le religioni ci presentano l’uomo come il coronamento del creato, il prodotto divino più riuscito, quello fatto ad immagine e somiglianza di Dio, in alcuni casi l’uomo è lo scopo stesso della creazione, in buona sostanza Dio creerebbe l’uomo perché lo ama: caso unico di amore per ciò che ancora non esiste (tranne forse l’amore della mamma per il suo bambino e l’amore dei novelli innamorati per qualcosa che ancora deve solidificarsi … ma forse tutto l’amore è in gran parte un sentimento verso chi non esiste ancora), mentre l’amore per le nostre stesse creazioni è molto diffuso e si chiama narcisismo. Quest’ultimo è talmente consueto che non è raro che ci innamoriamo di una nostra idea scambiandola per una legge universale o per legge divina, come quando diamo un qualche ordine al mondo microscopico o macroscopico, lo organizziamo secondo regole che ci appaiono immutabili e consonanze sublimi, per poi lodarne Dio o la Natura per la genialità della loro opera, mentre stiamo incensando soltanto il prodotto del nostro pensiero.
I biologi, gli antropologi e gli etologi nei loro trattati ci collocano senza alcun dubbio al vertice della piramide evolutiva, per loro siamo l’essere che più si avvicina alla perfezione e si fa a gara a individuare le differenze fra noi e gli animali e a scoprire quante funzioni abbiamo noi che loro non hanno e non si sognano nemmeno di avere, tutti limiti e baluardi che dovrebbero caratterizzare l’umanità rispetto all’animalità e che poi verranno smentiti da altri biologi, antropologi ed etologi, spostando sempre più in là questo esile confine.




A guardare l’essere umano com’è oggi bisognerebbe essere dotati di una protervia incrollabile per insistere sulla sua superiorità sugli animali, ad un uccello, ad esempio, basta solo una spinta e il dispiegare le sue ali per volare, io dovrei prenotare il biglietto, fare la valigia, andare in aeroporto, eseguire il check-in, imbarcarmi, ricordarmi di comprare la settimana enigmistica e una matita, far finta di seguire la hostess, invece di guardarle il seno, quando mi spiega  quali sono le porte dell’uscita di sicurezza del velivolo e come gonfiare il canotto di salvataggio qualora non mi fossi già spiaccicato al suolo.

Voi direte che così è troppo facile, che si tratta di un esempio scontato, se paragoniamo l’uomo all’uccello per il volo, è ovvio che l’uccello sia più dotato, e allora cambiamo genere e parliamo di approviggionamento del cibo, non si fa altro che ripetere che l’uomo è l’essere più versatile, che più facilmente si è adattato a tutti i tipi di ambiente che ha trovato (infatti lo si trova quasi a qualsiasi latitudine e longitudine, con qualsiasi clima e con qualsiasi tipologia di ambiente geografico: montagne, pianure, mari, paludi).

Dunque se ne deduce che è l’essere che ha più probabilità di sopravvivenza e le prove che sostengono questa ipotesi sembrano essere schiaccianti, poi vai in un comune supermercato (che non dev’essere un ambiente troppo frequentato da biologi e da antropologi, troppo presi dalla tundra tibetana e dalla foresta amazzonica) per renderti conto che l’uomo è l’essere più imbranato che esista.

La frutta e la verdura sono già raccolte, sistemate sui banconi, talvolta anche lavate, basterebbe solo prenderne quanta ce ne serve, pesarla e pagarla, ma non è raro vedere scene ridicole e drammatiche, gente che fa rotolare le mele per terra, che blocca la bilancia per ore paralizzata dai molti tasti da schiacciare, gente che blocca la coda alle casse perché ha dimenticato di pesare le barbabietole.




Anche la carne e il pesce sono nei banchi frigo, pescati o allevati da altri, già morti perché qualcuno si è preso la briga di toglierci anche questo fastidio, puliti, eviscerati, squamati, affettati, fatti a pezzi, pronti per essere cucinati e in molti casi già precotti solo da scaldare (in molti casi è più difficile davvero trovare ad esempio un trancio di pesce crudo surgelato, lo trovi già con le verdure, con le patate, con i piselli, col pomodoro, alle erbe fini, nel saccoccio, all’acqua pazza …), eppure anche così il rischio di sbagliare cottura, di scorticarli malamente e addirittura di non saperli neanche scaldare, rovinandone il sapore e la consistenza, è molto elevato (ho visto io con i miei occhi conservare le banane in frigorifero, il pane conservato in freezer e scaldato nel microonde).

L’uomo moderno vive in appartamenti di forma rettangolare, sempre più piccoli da assomigliare a dei loculi (bisogna pur abituarsi in vista dell’eterno riposo), riscaldati in inverno e refrigerati in estate in modo da avere sempre la stessa temperatura e lo stesso tasso di umidità, in barba alle stagioni, al caldo al freddo, al secco e all’umido, ha la possibilità di illuminare il suo ambiente di vita e di lavoro in ogni momento, in barba alla luce naturale e al buio, alla notte e al giorno, può vedere attraverso una scatola (attualmente qualcosa che assomiglia di più ad una piastrella di varie dimensioni) ciò che accade nel mondo, in barba alle distanze, al vicino e al lontano.

Può ascoltare musica e parole suonate e dette altrove e può mettersi in contatto parlando e scrivendo con altre persone in ogni parte del mondo, rendendo così vicino ciò che è lontano e lontano ciò che è vicino (perché puoi saper tutto sull’Australia, puoi conoscere perfettamente cosa c’è fra la 5ᵃ e la 27ᵃ strada di New York, puoi condividere lo slang, il look, i modi di fare e i gusti musicali dei tuoi nuovi amici giapponesi, puoi intrecciare relazioni con donne di Portland o di Atlanta e con la tua nuova webcam a scansione le loro rughe ti si mostreranno come il Canyon Colorado su Google Earth, o seguire passo passo il lavoro del loro chirurgo plastico come se giocassi al piccolo medico).




Mentre ignori quasi completamente cosa accade nella tua citta, nel tuo quartiere … a meno che non ci sia un immigrato clandestino (non esiste un essere più invisibile di un clandestino: raccoglie i nostri pomodori eppure non esiste, come se colto quel pomodoro si dissolvesse nel nulla ... tranne quando protesta o impazzisce) che gira con una spranga e un piccone e massacra chiunque incontra, ma anche così hai bisogno di vederlo in televisione per crederci, perché se fossi stato presente saresti rimasto indifferente (è strano che quel tizio si sia aggirato tutto quel tempo armato nel quartiere senza che nessuno facesse qualcosa o si sentisse in dovere di avvisare la polizia), o saresti scappato, o avresti abbassato la saracinesca (come hanno fatto in quel bar di Milano, lasciando fuori il loro malcapitato cliente alle prese con Kabobo e la sua furia omicida).


Poi salta fuori un "problema immigrati" che nasconde accuratamente il problema ben più grave di cosa siamo diventati, in quale società stiamo vivendo, come stiamo educando i nostri figli?
Mentre non sai nemmeno che faccia hanno i tuoi vicini di casa e tu e loro vi salutate soltanto nei dintorni della comune abitazione, ma non vi riconoscete neanche qualche metro più in là; mentre non noteresti nemmeno se tua moglie girasse nuda per casa.




Credo che gran parte dell’umanità si estinguerebbe se dovessimo rinunciare alla tecnologia, che oltre a fornirci (o ad imporci) tutta una serie di oggetti inutili come telefoni cellulari, computer, macchine fotografiche, ibridi vari come I-pod, tablet, tv al plasma, sistemi hi fi, ci rende accessibili a prezzi contenuti prodotti alimentari di prima necessità, indispensabili per la nostra stessa sopravvivenza; la tecnica creata dall’uomo per rendergli più confortevole la vita si è impadronita dell’uomo stesso fino ad essere indispensabile e ineliminabile, perché l’uomo con la tecnica ha perso le sue stesse abilità legate alla sua sopravvivenza.

La tecnologia ha reso atrofici e obsoleti per l’uomo gesti naturali come guardare un orizzonte (sempre fissi su un monitor o uno schermo), camminare, sollevare dei pesi, sudare (eccetto che in sauna o in palestra, è ovvio), coltivare, pescare, cacciare, uccidere animali (beninteso per procurarsi da mangiare, non per il gusto di spegnere una vita), … anche pensare, si, anche se può sembrare assurdo l’eccesso di “informazione” non è avere più elementi per poter valutare, ma (come per i pasti pre-cotti) avere già pronta e confezionata l’opinione che fa al caso tuo, quella adatta per te, quella espressa dal ceto sociale con cui ti identifichi, del tuo partito politico, del canale che privilegi per informarti.




Ci sono poeti che fanno poesie per te, pensatori che pensano per te,  musicisti che intonano la colonna sonora di tutti i tuoi momenti (e non è un caso se molte belle canzoni possono andar bene per i tuoi momenti più intimi o per la pubblicità di un prodotto), economisti che si occupano della tua economia, assicuratori che ti assicurano, politici che ti governano, preti che si prendono cura della tua anima e talvolta anche del corpo, ci sono medici che si occupano della tua salute, esperti di coppia, di legami, di matrimonio, che si occupano del tuo rapporto col tuo partner e fanno colare come stille di resina la loro saggezza dalle pagine patinate di una rivista, da un talk show o da Porta a Porta fra un D’Alema e una Santanché, fra i problemi di erezione e quelli dell’immigrazione, fra l’aria di plastica di Taranto e il Plastico di Cogne. 



L’accoppiamento, poi, per l’uomo moderno è ancora più complicato del procacciarsi il cibo, negli animali è tutto più semplice, le femmine di ogni specie hanno un loro periodo di estro, in cui sono disponibili ad accoppiarsi, e lo manifestano con un odore particolare che eccita i maschi, oppure con altri segnali visivi; se sei il maschio di quella specie non ti rimane altro che incrociare le corna con i rivali presenti che ambiscono anche loro al tuo stesso oggetto del desiderio e se vinci la femmina è tua, se perdi ritenta e sarai più fortunato, ma dovrai attendere un nuovo periodo di estro e di fertilità della femmina e dovrai scornarti di nuovo con questi stessi o con altri rivali.

Per gli esseri umani non c’è niente di più complicato che accoppiarsi, perché l’uomo ha perso gli istinti che regolano questa funzione negli animali e li ha sostituiti con consuetudini e rituali culturali: in pratica esistono così tanti modi di accoppiarsi nella specie umana quante sono le culture e le sub-culture esistenti, se a questo aggiungete il fatto che poi ciascuna coppia modula in maniera individuale, intima e personale la propria tradizione culturale e che ciascuna coppia nel tempo matura, evolve e cambia il proprio modo di rapportarsi l’uno con l’altro vi renderete conto che stiamo parlando di un ambito sterminato, in cui il sociale, il culturale, l’umano, il collettivo di gruppo, il duale di coppia e l’individuale si intrecciano e producono così tanti risultati quante sono le coppie in gioco … e a me già gira la testa al solo pensarci, forse sarebbe tutto più semplice se potessimo risolvere la faccenda a cornate.




Immaginate poi quante variabili entrano in quello che io sto definendo come accoppiamento, pensate alla seduzione, alla cosmesi a cui facciamo ricorso, espedienti e astuzie antichissime fin dalla prima donna che si passò sul viso la cenere intenzionalmente e si accorse di essere più appetibile perché diversa o perché i suoi lineamenti risaltavano di più, ne venivano sottolineati, ad esercizi che tornivano braccia e gambe, che scolpivano cosce e glutei, a calzature, drappi e mantelli che innalzavano la statura, allargavano posticciamente le spalle, facevano apparire più imponenti e muscolosi, ai profumi ( … e avete voglia di mettervi profumi e deodoranti, siete come sabbie mobili, tirate giù …), fino ai più moderni oggetti che coprono gli occhi e ci rendono più misteriosi ( … c’è chi si mette degli occhiali da sole per avere più carisma e sintomatico mistero …).

Poi, più recentemente, è saltata fuori la follia dell’amore e del romanticismo e, improvvisamente, una candela non è più uno strumento per illuminare un ambiente, soppiantata dalla luce elettrica, ma diventa oggetto che con la sua luce soffusa crea l’ambiente più adatto perché i sentimenti reciproci possano fare capolino senza essere abbagliati dalla luce artificiale e fredda delle lampade elettriche, dei tubi al neon e dei led.






Quella dell’amore è tutto sommato una follia moderna, per i greci antichi che un uomo potesse amare una donna era un delirio e un’inutile complicazione, Plutarco nel suo Amatorius dovette faticare non poco perché l’amore fra un uomo e una donna trovasse una sua plausibilità e potesse essere oggetto di una discussione simposiale; in precedenza nel dialogo platonico più famoso, il Simposio, si era parlato si di amore, ma si trattava dell’amore per i fanciulli, o più precisamente come l’amore per i fanciulli potesse trasfigurarsi e farsi etereo fino a divenire amore per la Verità e per il Sommo Bene.

Per i greci l’amore non era mai puro, era sempre qualcosa che conduceva a qualcos’altro, anche l’amore per i ragazzi, di cui tanto si parla e ne era intrisa la loro cultura e la loro letteratura era un amore a tempo, durava finché all’eromenos (così era  chiamato il fanciullo amato) non spuntavano i primi peli, insomma fino alla pubertà (pensate, è l’esatto contrario del nostro concetto di pedofilia: per noi l’età adulta dell’amato rappresenta il momento dell’accessibilità piena all’amore, per loro ne era invece la fine), perché oltre quell’età era infamante per un maschio soggiacere in maniera passiva alle voglie dell’erastes (l’amante) e ancora, quest’amore era finalizzato a fare del fanciullo un fiero cittadino ateniese, o spartano, o tebano, o corinzio …, era inserito all’interno di un sistema educativo denominato paideia, che mirava a sviluppare la virtù e l’aretè (l’eccellenza) dell’individuo attraverso l’esempio e l’affetto di un adulto nobile e fiero che guidava i primi passi del fanciullo nell’ambiente della polis.




Seppure le storie d’amore abbiano costellato ogni tempo e siano state tramandate in tutta la loro sublime bellezza e il loro lirismo, è soltanto nel XIX° secolo che il concetto di amore romantico entra non più soltanto nell’immaginario e nella fantasia, ma nella regolazione dei rapporti fra i sessi; una classe sociale intera, la borghesia, si smarca dal concetto di unione e di matrimonio come un contratto vantaggioso, come stipulazione di alleanza fra famiglie e fra clan e come unione finalizzata alla procreazione e a fornire eredi per il patrimonio di famiglia e garanzie per la vecchiaia dei genitori, e legittima l’idea che ci si sposa perché si prova un sentimento reciproco e si aspira alla felicità.




Posta in questi termini, la questione è di una novità assoluta, ogni soddisfazione, ogni felicità, ogni gioia viene cercata nell’ambito del matrimonio, il partner non è più soltanto l’altro pilastro della famiglia, la madre o il padre dei miei figli, ma diventa anche amico, complice, amante .. a lui e con lui si pensa quando si aspira alla propria felicità e ogni escursione, ogni avventura, ogni ricerca del piacere all’esterno della coppia viene fortemente stigmatizzata, mentre in precedenza veniva ignorata o tollerata.

Questo comporta che mentre il precedenza il compito e il ruolo di ciascuno nel matrimonio era più limitato e relativamente semplice, adesso si è complicato all’inverosimile e fa pensare piuttosto che ad un solista virtuoso che trae del suo violino suoni celestiali a quegli artisti di strada con la grancassa appesa a mo’ di zaino dietro le spalle, che con le mani suonano il violino, con la bocca un’armonica, con un piede muovono un filo che batte una bacchetta sulla grancassa e con l’altro piede suonano un tamburo.

Sembra troppo per chiunque, alcuni pensano addirittura che mettere insieme tutte queste cose in gioco nel rapporto fra un uomo e una donna sia innaturale, come contro-natura sia anche la fedeltà assoluta che questo tipo di rapporto sembra richiedere.




E fosse solo questo il problema, all’immane carico con cui si è appesantita la coppia di aspettative, di ruoli e di competenze con cui si sta uccidendo non solo il rapporto sessuale (e si sa, l’amore non vuole pensieri) e lo stesso desiderio (mai in nessun altro tempo abbiamo assistito ad un calo del desiderio così esteso e che colpisce persino i giovani in età prematrimoniale), a questo dobbiamo aggiungere la madre di tutte le tragedie: un uomo e una donna sono troppo diversi fra loro per sposarsi.

Un uomo, anche il più sofisticato, in realtà ha desideri molto semplici, banali, monotoni; un uomo quando dice si vuol dire si, quando dice no vuol dire no … “Ma sia il vostro parlare: Si, si; no, no; quel che vi è di più proviene dal maligno” (Matteo, 5, 37) … anche per questo il cristianesimo sembra più una religione per uomini fatta da soli uomini, se i Vangeli li avessero scritti delle donne le cose sarebbero andate molto diversamente.

Perché quando una donna dice si non è detto che intenda si, a volte è si, altre volte è forse e altre ancora è no; e anche quando dice no può darsi che intenda si ma è anche possibile che sia davvero un no … con buona pace del “maligno” (d'altronde è risaputo che la donna ne sa sempre una più di lui).




Come possono due esseri così dissimili intendersi è un mistero, e infatti la storia ci consegna millenni di fraintendimenti, di esiti che sono sfociati nel comico e nel tragico, di equivoci, di incomprensioni, anche di soluzioni estreme, come società di amazzoni in cui ogni bambino maschio veniva abbandonato o soppresso, e i rapporti con i maschi erano solo sessuali e finalizzati alla procreazione e all’allevamento di altre femmine che sarebbero andate ad infoltire il gruppo; a gruppi militari o religiosi costituiti da soli uomini, al controllo e alla segregazione della donna in appositi spazi come la casa o l’arem, che se da un lato ha permesso alla civiltà romana e a quella turca di conquistare immensi imperi, dall’altro ha affinato la sensibilità della donna, il suo divario dall’uomo e la sua capacità di ordire intrighi.




Il fatto è che per la mente semplice di un uomo che la donna non dia segnali netti di disponibilità come le femmine animali, non emani un odore particolare se non quello dei profumi che usa regolarmente, che non abbia segnali acustici, o visivi e non faccia gesti particolari che possano fungere da segnali, che non abbia nemmeno un libretto di istruzioni accluso, né un dischetto con i drivers e i programmi, è un’autentica tragedia (è per questo poi che il maschio adulto moderno preferisce di gran lunga la play-station ... ti da più soddisfazioni).

Presumo che per una donna, invece, la semplicità del maschio sia invece di una monotonia e di una noia colossale, che inutilmente vada in cerca dell’uomo misterioso, avventuroso, intrigante, interessante, salvo poi scoprire una volta sposato che aveva già in programma di appendere al chiodo la sua “dimensione avventura” per calzare comode pantofole e semplificarsi la vita anelando alle pochissime cose essenziali di cui non può fare a meno: birra, partita e patatine o sesso, droga e rock and roll.

Mentre l’uomo è rimasto in tutto l’arco evolutivo un meccanismo primitivo e primordiale, quasi un organismo unicellulare, che funziona secondo il principio neuronico del tutto o niente o come un sistema diastaltico riflesso, la donna, signori, una donna adulta è una macchina da guerra sofisticatissima, non si conoscono armamenti con maggiore potenziale deflagrante.


Non è un caso che io subisca molto di più il fascino femminile e che non finisco mai di stupirmi di quanto io sia arrendevole al loro charme fin da piccole: le moine di una bambina mi inteneriscono molto di più di quelle di un bambino e finisco per cedere più spesso ai capricci di una bimba che a quelli del suo corrispettivo maschile.  L'altra sera ero a cena qui nella città in cui vivo, nel tavolo vicino c'erano quattro giovani donne (intorno ai 30-35 anni), capita sempre più spesso che gruppi di amiche si incontrino per "raccontarsele" e la scena che vedevo non era diversa da qualsiasi incontro fra maschi ... con qualche eccezione.
Ad un certo punto la più carina delle quattro stava chiedendo qualcosa ad una delle altre e lo faceva molto leziosamente, dispiegando tutte le sue armi seduttive ... vi dico che non soltanto io, ma qualsiasi altro uomo si sarebbe sciolto come un gelato a quelle richieste e al modo in cui venivano poste, l'amica non si è scomposta punto ed è rimasta indifferente alle suppliche, ha fatto una smorfia di contrappunto e ha declinato garbatamente ogni possibilità di coinvolgimento, con un lampo degli occhi che sembrava dire con un sorriso: "Con me non attacca!". 
Oscar Wilde diceva delle donne che sono “sfingi senza enigmi” (ma avrebbe potuto dire anche, producendo lo stesso effetto paradossale, che sono enigmi senza Sfinge), ma diceva anche che le “donne sono fatte per essere amate, non per essere capite” (“Women are meant to be loved, not to be understood”, scrive infatti nella sua poesia The Sphinx del 1894).




Le donne, infatti, sono di chi non le capisce; giovane o vecchio che tu sia non porti mai il problema di capire una donna (a meno che non fai lo psicoanalista e questa donna non sia una tua paziente, in tutti gli altri casi spegni ogni istinto scopofilico e gnoseologico), perché se e quando l’avrai capita  davvero: o scapperai inorridito per ciò che avrai capito, e spento sarà ogni tuo desiderio residuo, oppure sarà lei a scappare, perché si sentirà denudata.

Non correre troppo dietro ad una donna, la donna disprezza l’uomo che le corre dietro, il cane da riporto, uno così una donna se lo gioca (si gioca chiunque, ma quello in poche mosse e senza sforzo), lo tiene come amico, oppure lo sposa, ma non lo ama, non lo desidera, non lo rispetta.

E proprio perché lo disprezza che lo sposa, una donna veramente innamorata è quella che vi lascia, quella innamorata alla follia è quella che vi lascia senza alcuna spiegazione (così non vi viene neanche voglia di cercarla), se le state antipatico vi punta come un setter, se le siete irritante si fidanza con voi, ma solo se vi odia e vi disprezza profondamente accetterà di sposarvi … riuscite ad immaginare un disprezzo maggiore del legare un uomo a sé per tutta la vita con un contratto legale e di ritenerlo responsabile sistematicamente di tutto ciò che vi va storto nella vostra esistenza?

Non ci credete? Se siete a letto nel profondo della notte e un terremoto vi sveglia col letto che balla, il tonfo dei libri che viene giù dagli scaffali, vetri di finestre che tremano, boati paurosi che attraversano il centro della terra, una donna si sveglia e la prima cosa che dice qual'è? “Vuoi smetterla di agitarti così?”. E se le fate notare che c’è il terremoto vi replica: “ E fai qualcosa, no …”. 





P.S. Il termine “normale” usato nel titolo non vuol dire che l’accoppiamento fra un uomo e una donna sia quello normale (in realtà avevo in mente l'istituto universitario patavino di "Anatomia Umana e Normale" ... chissà perché quel normale mi colpì allora e mi è rimasto in mente anche adesso), ho preso questo esempio di accoppiamento eterosessuale perché è quello che più si presta a discuterne con questo tono leggero e frizzante e anche quello che conosco meglio. Per il resto, credo che qualsiasi accoppiamento umano sia normale.