Gli Stati Uniti, con le dovute differenze fra i vari Stati che ne fanno parte, i differenti livelli di sensibilità, di acculturazione e di intelligenza personale, sono una Nazione la cui cultura è nel complesso aberrante, malata, completamente folle e che da molto tempo gravita sull’orlo di un baratro che risucchierà non soltanto loro, i loro nemici, i loro alleati, ma, molto probabilmente il mondo intero.
Fin dalle sue origini l’America (meglio le Americhe, gli Stati uniti in particolare) è stata il più grande opportunità dell’umanità di autorigenerarsi e di cambiare in meglio, il più splendido e grandioso esperimento di genetica sociale che la terra ha mai visto, dopo l’incontro fra l’Homo Sapiens e il Neanderthal.
La gente del Vecchio Mondo, inglesi, francesi, spagnoli, portoghesi, italiani, russi, slavi, africani deportati per farne schiavi nelle piantagioni, incontrano un’altrettanta varietà di popoli che risiede già in quel continente e che ha già sviluppato una cultura altrettanto (se non di più) sofisticata, cultura che però non è sfociata nello sviluppo della tecnologia, una tecnologia che ci metteva in grado di navigare attraversando le vaste distese oceaniche, e in particolare la tecnologia che da la morte, come la produzione di potenti armi da fuoco, oltre alle superbe armi da taglio e alle armature di protezione di cui disponevano già i primi conquistadores.
I primi a poggiare il piede sul Nuovo Continente (“nuovo” per noi, ovviamente, perché per chi ci abitava era la loro terra da sempre), erano convinti di stare in paradiso; erano circondati da una natura incontaminata, i cui colori erano sgargianti, le cui dimensione delle montagne, dei fiumi, delle praterie, delle piante, di alcuni animali, erano enormi, spaventose, meravigliose.
L’accoglienza dei nativi era stupefacente e spettacolare, almeno agli inizi, poi col precipitare degli eventi gli indigeni divennero sospettosi, in molti casi facevano buon viso a cattivo gioco, sperando così di non contrariare i nuovi arrivati, in altri casi si ribellarono, venendo falcidiati dalle spaventose armi degli invasori.
Avrebbe potuto nascere una nuova civiltà, superiore a tutte quelle sorte nel vecchio mondo, un crogiolo di genti diverse, di culture diverse, che avrebbero potuto collaborare insieme, scambiare ciascuna con tutte le altre le proprie vette sapienziali, la propria visione del mondo, fondare una nuova società sul rispetto reciproco, tanto più che non esistevano (allora) limiti alle risorse disponibili, e tutti quanti avrebbero potuto vivere nell’abbondanza.
Ma così non è stato, a ben guardare possiamo dire che per secoli si è riversata in America tutta la feccia dell’Europa e del vecchio mondo, disadattati, fanatici, assassini, delinquenti, ladri, marioli di ogni risma, avventurieri, persone senza scrupoli, gente che si portava addosso una grande voglia di riscatto e gente tendente all’utopia, al distacco delle cose concrete.
Questi ultimi, spesso appartenenti a sette religiose puriste, sono stati i più nocivi: basta dare un’occhiata a ciò che accadde a Salem in Massachussetts nel 1692 per rendersi conto di cosa può fare una comunità che si ispira ad elevati principi religiosi, che in pratica si traducono in una forte tendenza al conformismo e in particolari condizioni, se ritengono non basti la costrizione forzata, possono decidere di eliminare, con fuoco, con l’impiccagione o con qualunque altro mezzo, chiunque rivendichi autonomia e libertà.
Si tratta di una cultura che ha raggiunto un equilibrio molto precario (quanto sia precario questo equilibrio l’abbiamo visto di recente, quando una folla di facinorosi armati ha assaltato Capital Hill, la sede del Congresso degli Stati Uniti, dove hanno sede i due rami del Parlamento americano).
Se volete un paragone storico eccovelo: nel 1789 i citoyens parisiennes assaltarono la fortezza della Bastiglia, per rifornirsi d’armi per affrontare l’esercito si dice, ma anche perché era più facile assaltare una prigione che una caserma piena di soldati armati, in effetti questo era allora la Bastiglia, una prigione che in quel momento segregava solo sette prigionieri: quattro falsari, un libertino e due malati mentali, e da questo scalcagnato assalto scoppiò il finimondo a Parigi, in Francia, nel resto d’Europa e nel mondo intero, dal momento che venne scardinata definitivamente l’idea che qualcuno potesse detenere il potere assoluto per diritto di nascita e per volontà divina.
Immaginate ora il senso simbolico che ha l’assalto al Campidoglio americano, quella sorta di guerra civile, per quanto ridicola, a cui tutto il mondo ha assistito: forse non ce ne siamo resi conto, forse non vogliamo renderci conto e continuare a dormire sulle nostre convinzioni più inveterate, ma il bufalo americano pitturato, il tizio che trascinava la colonna in legno con i microfoni e salutava sorridente il fotografo che lo stava immortalando, e tutte le altre centinaia di imbecilli che sventolavano bandiere americane, gli altri che mostravano orgogliosi i cimeli di cui erano riusciti ad impadronirsi …: hanno sancito in maniera definitiva la fine dell’egemonia statunitense nel mondo, che in fondo è durata solo una manciata di anni, dal crollo dell’URSS nel 1991 fino all’elezione di Donald Trump.
Si tratta di una cultura che piuttosto che svilupparsi e crescere (come cultura, perché come zone di influenza ed economicamente è cresciuta eccome, così come si è sviluppata enormemente la tecnologica bellica, esplosa come un cancro metastatico, che non è più possibile combattere né frenare), si è contratta, raggrinzita, rattrappita, prugnarinsecchita come il viso di qualcuno il cui intervento di chirurgia estetica è andato male, o come quello di chi l’intervento è andato bene, ma solo qualche anno dopo, quando i tessuti sintetici e posticci cedono e i lineamenti del volto diventato un’unica linea di frana.
Le caratteristiche proprie del disagio, presenti da sempre, si stanno acuendo, la loro intensità lambisce sempre di più la soglia critica, talvolta debordano, una per volta, perché quando deborderanno tutte insieme, allora sarà la catastrofe: una sete sconfinata di potere e di ricchezze che sanciscano un benessere superiore a quello di chiunque altro, una rapacità e una tendenza al saccheggio e alla rapina che si manifestano sia all’interno del proprio territorio, in cui ciascuno tenta di accaparrarsi qualcosa a scapito di altri, sia all’esterno, in cui si saccheggiano altri stati e popolazioni, si cerca il dominio assoluto dovunque ci sia una convenienza, la completa e totale mancanza di scrupoli in cui l’unico scopo è l’utile e l’unico vero Dio il denaro (anzi, il dollaro),
Fin qui abbiamo descritto qualcosa che sta a metà fra un narcistista (“maligno” avrebbe aggiunto Otto Kernberg) e un disturbo antisociale di personalità; ma ciò che completa l’opera, la caratteristica peggiore e la più peculiare è l’ideazione paranoidea, dettata dall’imperativo di sentirsi i migliori, i più buoni, i più puri, il che non lascia scampo al fatto che tutto ciò che è peggiore, cattivo e impuro si trovi all’esterno, e questo fatto di vedere il mondo popolato da gente inquietante mette gli statunitensi sempre sull’avviso, sempre e letteralmente col dito sul grilletto.
La loro ideazione paranoidea non è frutto soltanto di proiezioni verso l’esterno, a lungo andare ha finito per diventare realtà, stanno sulle palle a talmente tanta gente, hanno piegato, umiliato, sconfitto, fregato, rapinato e saccheggiato così tanta gente e tanti popoli, che hanno più nemici o pseudo-amici che amici veri e propri.
E se all’inizio si tentava di colpirli per interposta persona, colpendo terroristicamente i loro alleati e sodali più deboli, chi li sosteneva o chi ci faceva affari insieme, privilegiando i collaborazionisti interni che erano considerati alla stregua di traditori, si è passato proprio al colpirli nel loro stesso territorio, apertamente e platealmente con l’attacco alle torri gemelle del 2001.
In fondo il terrorismo antiamericano è cresciuto e si è migliorato con gli anni, da bande di disperati che progettavano attacchi suicidi per colpirli indirettamente a bande molto meglio organizzate che li colpiscono a casa loro e molto agevolmente, a un vero e proprio esercito ben armato e ben organizzato (l'Isis) che ha occupato territori strategici per gli interessi statunitensi e che sta tentando di organizzarsi in un vero e proprio stato islamico con ciò che rimane delle rovine di Iraq, Afghanistan e Siria, con l’appoggio dell’Iran e di chiunque abbia voglia di dare loro una lezione.
La paranoia, unita al calcolo e ad un vero e proprio delirio di onnipotenza, ha travolto (o tentato di travolgere) chiunque osasse opporvisi, hanno massacrato i nativi americani, non hanno avuto scrupoli a sfruttare fino allo sfinimento i discendenti degli africani deportati in quelle terre perché fungessero da schiavi e li arricchissero a bassissimo costo, in pochi decenni hanno minato l’equilibrio climatico con lo sfruttamento intensivo e l’inquinamento sistematico di acqua, aria e suolo, hanno portato ai minimi termini la fauna selvatica per profitto o per pura sete di sangue nel veder morire animali, nel sentire di essere padroni assoluti della vita e della morte di un essere vivente, si sono intromessi con le armi, appoggiati o meno dell’ombrello dell’ONU (ormai diventato solo una foglia di fico o qualcosa di cui più nessuno si aspetta più niente) negli affari di altri stati sovrani modificando il corso dei loro eventi e imponendo soluzioni a loro più convenienti, anche quando non lo erano affatto per quei popoli.
Da noi hanno appoggiato le cosiddette “stragi di Stato”, alleandosi a politici fantocci che facevano i loro interessi e di cui finanziavano la campagna elettorale, con i servizi segreti deviato o non, con esponenti stragisti dell’estrema destra e con la mafia, a cui hanno fornito supporto logistico, economico, bellico e di qualsiasi altro tipo (l’esplosivo usato a Piazza della Loggia, a Piazza Fontana, sul treno Italicus, nella Stazione di Bologna, nell’attentato di Capaci e in quello di via D’Amelio era in dotazione Nato, provenienza USA).
E non è credibile che i picciotti di Totò Riina, nonostante il parere contrario di Michele Santoro, giornalista che ho sempre apprezzato ma non in questo caso, potessero organizzare un’esplosione così complessa, così calcolata, che riuscissero a trovare tutto quell’esplosivo, che riuscissero a maneggiarlo senza danni, che azionassero il detonatore al momento opportuno.
I disastri accaduti dopo, nel corso degli attentati successivi lo dimostrano, se con Falcone e Borsellino la mafia corleonese fosse stata davvero in grado da sola di progettare quei due attentati, non si spiega perché quelli del 93 sono un disastro sotto ogni punto di vista: quello di Firenze in via dei Georgofili (adiacente agli Uffizi) e quello romano nelle due chiese di San Giorgio al Velabro e di San Giovanni in Laterano, sono assurdi sotto ogni punto di vista, se volevano colpire gli edifici ci sono riusciti solo in parte e se volevano fare delle vittime avrebbero potuto impegnarsi di più.
Un sicuro fallimento, invece e per fortuna, furono l'attentato fallito a Maurizio Costanzo, il cui detonatore, per grave imperizia fu azionato in ritardo, e pure quello allo Stadio Olimpico, dove una Lancia Thema imbottita di tritolo e tondini di ferro (segno che volevano fare più danni e più vittime possibili) doveva esplodere a fine partita, al passaggio del pulman dei Carabinieri, quando i tifosi uscivano dallo stadio, in quell'occasione il telecomando non funzionò e la strage non ebbe più luogo.
È lecito pensare che contro Falcone e Borsellino, affinché le cose andassero per il loro verso, ci fossero esperti dei servizi americani sul logo ad istruire o addirittura ad azionare il detonatore al momento giusto, ed è altrettanto lecito ritenere che negli ulteriori attentati, in cui si nota una certa imprecisione e approssimazione, se non proprio un fallimento, fossero solo mafiosi a metterli in atto, magari convinti di aver imparato la lezione.
L’Italia era strategica nel corso della guerra fredda, era al confine fra Est e Ovest, ma non è solo per quello che era importante, aveva il partito comunista più grande e d’Europa, alla Casa Bianca temevano una deriva verso l’unione sovietica, che i comunisti potessero travolgere uno qualsiasi dei nostri debolissimi governi balneari, poco amati persino da coloro che li avevano votati, o con un golpe, una vera rivoluzione nello stile sovietico, oppure con elezioni democratiche.
La paranoia, il senso di accerchiamento, che aveva assalito i popoli germanici e che era sfociata in due sanguinose guerre mondiali che hanno sgretolato il primato economico-tecnologico e culturale del Vecchio Continente, sostituito prima da un dominio bipolare (anche in senso clinico del termine) fra USA e URSS, poi dal 1991 solo dai primi, che però hanno risvegliato la voglia di riscatto dei popoli islamici, dell’attuale Russia, dell’India e della Cina.
L’equilibrio è di nuovo precario, di nuovo tutto è in gioco, se l’URSS si è ridimensionata nella Russia attuale, gli USA dal Vietnam sono andati incontro ad una sconfitta dietro l'altra, ad una catastrofe dietro l'altra (le ultime in ordine di tempo sono state l'abbandono di Iraq, Siria e Afghanistan, con la coda fra le gambe).
Ma non hanno perso del tutto l’illusione di essere sempre i più forti e la loro la posa da spacconi e da smargiassi; l’elezione di Donald Trump ha fugato ogni dubbio sul loro declino, quando mai uno così avrebbe potuto fregiarsi del titolo di Presidente se avesse trovato una Nazione che gode di ottima salute democratica.
Trump alla Casa Bianca ha tolto il velo negli occhi di chiunque e chiunque oggi vede che il re è nudo e che il colosso è solo un cavallo di cartone, come quelli che venivano costruiti in cartapesta durante le feste paesane, e poi bruciati sul rogo propiziatorio a fine festa.
Chiunque può notare che l’esibizione muscolare di Biden nel corso della guerra in Ucraina, oltre ad essere scriteriata e senza alcun senso applicata ad una guerra in corso, è un’occasione per gli Stati Uniti e per Biden in particolare, già alla canna del gas come presidente e in procinto delle temute elezioni di medio termine, per tentare di risollevare le sue sorti personali, quelle del suo partito e di confermare agli americani che sono ancora il paese più potente al mondo, questione che non è così scontata se lo slogan elettorale di Trump (che fra l’altro è uno slogan risalente a Ronald Reagan nel 1980) è ancora: make America great again … se dobbiamo farla grande di nuovo vuol dire che al momento non lo è.
Biden sta soffiando sul fuoco, e noi tutti allineati in fila per due (il 2% con il quale stiamo aumentando le spese militari e l’azzeramento dell’Iva sulle armi vendute) con lui, è inconcepibile che nel corso di una guerra sanguinosa e distruttiva che dura ormai da più di tre mesi a parlare siano solo i falchi e si insista a sostenere la follia bellica di Zelens’kyj che si dice convinto di poter vincere questa guerra se ha l’appoggio dell’Occidente.
Non sono io, fortunatamente, a dover decidere se arrendersi o combattere di fronte all’invasione russa, molto probabilmente se ritenessi di una qualche utilità, anche solo simbolica, potrei condividere lo spirito combattivo del popolo ucraino e lo scatto d’orgoglio del loro presidente, non credo che potrei mai adattarmi a vivere sottomesso ai russi o che potrei mai accettare che possano distruggere e depredare impunemente il mio paese, però certo qualsiasi cosa scegliessi, lo farei con la consapevolezza del rischio di sottrarmi alla padella russa per finire nella brace americana .. e invocare un nuovo piano Marshall per ricostruire l’Ucraina, se e quando si sottrarrà all’invasione russa, è da folli, così come è da folli un eventuale ingresso nella Nato, che in genere vuole dire mettersi sotto il mantello degli USA e accettare di condividere in parti uguali i costi di ogni impresa per ricavarne le briciole.
Qualcuno mi ha fatto notare che gli USA sono i principali investitori di armi e tecnologia della Nato, è vero, verissimo, ma i danni collaterali delle operazioni che essi fanno si riversano più su di noi che su di loro: pensate soltanto agli innumerevoli profughi della loro politica estera predatoria e guerrafondaia, pensate alla marea attuale di Ucraini che sta assorbendo l’Europa e che non sfiora minimamente gli americani.
Con la guerra fredda è cessata anche ogni utilità della Nato, non ha alcun senso un’alleanza stretta per fronteggiare i nemici comuni soprattutto se la parte del leone la fanno gli americani, non ha alcun senso asservirsi all’America se non c’è alcun pericolo di attacco diretto da parte di altri stati, al contrario, gli attacchi ci arrivano proprio perché facciamo parte della Nato: pensate agli attacchi terroristici di matrice islamica che abbiamo subito come conseguenza delle guerre che gli Stati Uniti hanno arbitrariamente inflitto al mondo, stati islamici in primo luogo, è ovvio che i terroristi islamici abbiano poi colpito i complici dei loro aggressori, proprio nella misura in cui la complicità è stata maggiore (l’Italia è stata risparmiata per il contributo esclusivamente simbolico).
Servirebbe piuttosto una Comunità Europea più forte, più coesa, che avochi a sé un’economia davvero collettiva, una politica estera, di difesa e sanitaria comuni, anche l’attenzione all’ambiente, al turismo, la salvaguardia del patrimonio culturale e le politiche energetiche dovrebbero essere comuni e tanti altri aspetti della vita di una comunità davvero coesa, e ciò per poter parlare con una voce sola ed eliminare una volta per tutte le beghe interne a stati e partiti.
Non esistono più fari ideologici, perché non esistono più le ideologie, il comunismo, il socialismo, il capitalismo, il liberalismo, il nazionalsocialismo come dittatura fondata sul narcisismo e sulla paranoia, il fascismo come dittatura paternalistica, sono morti ed hanno lasciato solo macerie.
Il loro posto è stato preso da un nichilismo utilitaristico che fa leva sull'interesse e sulla paura, sul bastone e la carota; oggi i nostri politici, i politici di tutto il mondo non possiedono più programmi di ampio respiro, anzi non costruiscono più programmi perché il loro intento è quello di intercettare quanti più consensi possibile, e un programma ben strutturato sarebbe d'intralcio, agitano piuttosto lo spettro della paura, individuano uno o più nemici, spesso fittizi, li descrivono come molto pericolosi, e si ergono a baluardo contro di loro.
A fianco a questa polarità, cercano di blandirci con quanto sarebbe conveniente per noi offrire il potere a loro, ci promettono meno tasse, meno cavilli burocratici, meno regole, minori possibilità di avere guai con la giustizia, ampia libertà di manovra, minori controlli, uno Stato ridotto al minimo per quanto riguarda i nostri doveri e molto presente, invece, per ciò che riguarda i nostri diritti.
Guardatelo Trump che è risorto in occasione delle strage di Uvalde in Texas, in cui il diciottenne Salvador Ramos ha massacrato a colpi di fucile automatico da guerra due insegnanti e diciannove bambini di una scuola locale, ha dichiarato che sarà per certo il prossimo presidente degli Stati Uniti, e la cosa non mi risuona più come assurda, è anzi altamente probabile se a contrastarlo ci sarà quel tacchino laccato di Biden, o peggio qualche altro coniglio che salterà fuori dal cilindro dei democratici come Hillary Clinton o Dio solo sa chi.
Trump, dal palco tappezzato di sigle RNA (che non è affatto l’acido ribonucleico alla base di alcuni vaccini anticovid, ma la National Rifle Association, che da associazione per appassionati di tiro e di caccia è diventato un potentissimo partito politico in grado di decretare la vittoria o la sconfitta di numerosi aspiranti politici locali e che ha una qualche influenza a livello nazionale), ha dichiarato che: “Contro il male bisogna armarsi”.
Peccato che lui e chi crede il lui non sia consapevole che se si arma diventa egli stesso il male, e che qualcun altro riterrà bene di armarsi contro di lui, in una catena senza fine, se non quella dello sterminio totale dell’umanità; inoltre, perché vedere il male sempre all’esterno, perché il male dovrebbero sempre essere gli altri, perché siamo sbigottiti nell’apprendere che l’Iran vorrebbe dotarsi di armi atomiche, mentre rimaniamo inerti nella consapevolezza che indiani, francesi, russi, nord-coreani, giapponesi e americani ne sono dotati da tempo.
Il possesso e l’uso delle armi per gli americani è un’istituzione, si sentirebbero nudi senza, o privi di un braccio, ed è per questo che è diffuso in tutte le frange della popolazione, ad individui di ogni colore di pelle o politico, dal nord al sud, dall’est all’ovest, fra i ricchi e i poveri, fra gli adulti, gli anziani e fra i giovani minorenni; questi ultimi non possono acquistare alcolici, ma possono acquistare un fucile automatico d’assalto in qualsiasi store cittadino, senza possedere un porto d’armi, senza esibire una tessera di identità, senza specificare l’uso che ne faranno e senza aver superato alcun test che certifichi un minimo di intelligenza o di equilibrio mentale, persino i pregiudicati con problemi pregressi legati all’aggressività possono possedere armi.
Ma le armi che alcuni vorrebbero intensificare paradossalmente ogni qualvolta si verifica una strage, mentre altri vorrebbero regolamentare (nessuno vorrebbe abolirle o accetterebbe un sistema come quello vigente in Italia) la diffusione così capillare, non sono le uniche responsabili delle stragi, le armi sono piuttosto il sintomo di un disagio, così come lo erano le costruzioni di bunker antiatomici durante la Guerra Fredda, come il Maccartismo che negli anni 50 colpì chiunque fosse sospettato di essere comunista o simpatizzante tale, così come lo è la diffusione dei reati che non hanno prevalentemente scopi utilitaristici (come truffe o rapine), ma quelli in cui predomina una violenza cieca e senza scopo.
Negli Stati Uniti nascono e prolificano prima di altri luoghi ogni sorta di assurdità: il suprematismo bianco, il KKK, il terrapiattismo, Q anon, l’insegnamento della creazione dell’universo della Genesi a fianco o al posto delle teorie scientifiche più accreditate e più suffragate, l’orgoglio dell’ignoranza, complottisti, i negazionisti, gli omofobi, i sessisti, fanatici, fondamentalisti, integralisti, protestanti, nostalgici, sciroccati vari e, naturalmente, i nazisti dell’Illinois.
Non si tratta di persone isolate, o disturbate, o poco intelligenti,. o disadattate, si tratta di gente comune che pur vivendo in mezzo agli altri è isolata perché non dialoga più con gli altri, cerca solo conferme e pezzi mancanti per suffragare la propria follia, che accede agli altri tramite supporti elettronici e per mezzo dei social, ciascuno chiuso nella propria casella digitale, ciascuno fornito di identità digitale che spesso cancella o impedisce che si formi un’identità reale, ciascuno con atteggiamento estremamente diffidente verso chiunque altro, ma che abbassa completamente ogni difesa proprio con i cialtroni, gli imbroglioni, i truffatori, i ciarlatani, coloro che tendono a strumentalizzare il prossimo per i propri scopi.
Quella statunitense è una cultura estremamente competitiva, non importa che tu nasca maschio o femmina, fin dalla nascita devi competere con tutti quelli del tuo stesso sesso, con tutti quelli dell’altro sesso, con i giovani e con i vecchi, con i tuoi connazionale e col resto del mondo, l’imperativo è vincere e arrivare secondi è una sconfitta ancora più cocente.
Gli americani credono fermamente al New Deal rooseveltiano, un credo che ha ormai assunto la solennità biblica, che decreta in sostanza che volere è potere, se sei deciso e determinato puoi ottenere tutto ciò che desideri: potere, ricchezze, essere amato e felice, la beatitudine in terra insomma, e si continua a credere a questa cosa, la si ripete in film, libri, pieces teatrali, musical, la respiri leggendo i tabloid, trasuda da tutti i discorsi che un americano riesce ad articolare.
È il perno su cui ruota il suo mondo e non si fa scalfire nemmeno dal fatto che chi è giunto in cima, chi ha avuto successo, chi ce l’ha fatta, non è affatto felice, anzi è più infelice di chi ha ancora la speranza, di chi ancora ci crede.
Mentre lui sa che la in cima non c’è niente e talvolta deve assumere quantitativi industriali di droghe e di farmaci per poter andare avanti, per continuare a sostenere la commedia, per sforzarsi di sorridere, per continuare ad essere d’esempio a chi sta ancora cercando di farsi strada affannosamente e ha bisogno della concretezza di qualcuno che c’è riuscito: dal nulla al tutto, dal lustrascarpe al rockefeller center, dal garage di casa alla Microsoft Corporation o alla Apple, dal dormitorio di Harvard a Facebook, dal campus di Stanford in California a Google, dalla società Odeo sempre in California, a Twitter …
E che ne è di tutti gli altri, di chi non diventa Steve Jobs, Mark Zucherberg, Bill Gates, Henry Ford, Jeff Bezos, Stephen Ross o Elon Musk? Finché sono giovani e si sentono in forze ci credono, credono di potercela fare, poi pian piano si rassegnano a far parte della schiera degli sconfitti, dei perdenti, dei loser, e questo in genere avviene sviluppando il polo depressivo del carattere bipolare che contraddistingue questa cultura, che può passare dalla frenesia più vivace ad una torpidezza catatonica anche nel giro di pochi istanti, oppure compensa accrescendo il narcisismo innato, anch’esso elemento tipico del carattere americano, oppure disgregando e frammentando ulteriormente un’identità fra l’altro già molto fluida, perché un’identità fortemente strutturata sarebbe solo d’intralcio se tutto ciò che vuoi ottenere è il successo pubblico, il pubblico ha tante teste, per riscuotere il plauso di tutti devi possedere tante facce.
Infine, se non ce l’hai innato, impari a diffidare di chiunque, sviluppi un’ideazione paranoidea, chiunque incontri è un rivale da cui guardarti le spalle, perché aspira al tuo stesso posto in paradiso ed è altrettanto privo di scrupoli di te per raggiungerlo, dovrai lottare contro di lui prima o poi con la forza o con l’inganno, dovrai armarti prima che lo faccia lui, dovrai possedere armi più potenti delle sue, non dovrai temere di usarle o di giungere fino alle estreme conseguenze pur di raggiungere il tuo obiettivo.
La rabbia, quella sorda, feroce, terribile è uno scarto di produzione in questo enorme ed aberrante sistema sociale, la rabbia serpeggia, striscia, si insinua negli animi di chi viene battuto, vinto, scavalcato, umiliato, denigrato, beffeggiato, discriminato, bullizzato (chi ha visto Parasite sa di cosa sto parlando, è vero che è un film sudcoreano, ma molti paesi asiatici sono permeati di cultura americana talvolta più della stessa America, dove si è sviluppato qualche elemento critico almeno verso le esagerazioni).
Pare esserci un copione unico e monotono che sta dietro alle stragi nelle scuole o per le strade in America: il perdente che accumula rabbia, si arma e uccide, non importa chi, importa solo che simboleggino la sua sconfitta, e la scuola statunitense e la prima e più cocente fucina di sconfitta, dove i figli dei ricchi e dei potenti hanno successo anche senza meritarlo e tutti gli altri saranno sempre perdenti perché sono nati perdenti e lo saranno sempre qualsiasi cosa facciano … in fondo gli Stati Uniti che passano per essere e credono di essere il Paese con più mobilità sociale, sono in realtà il più immobile, non a caso il loro Parlamento non ha niente di democratico è soltanto un’oligarchia fondata sul denaro e sul potere, spesso dinastica.
In questo momento forse state iniziando a vedermi come il Saverio di Non ci resta che piangere, interpretato da Roberto Benigni, quando voleva fermare Cristoforo Colombo e impedire che scoprisse l’America perché sosteneva che non esiste nessun americano buono in qualsiasi ambito; no, io di americani buoni ne conosco, ne frequento e riesco ad apprezzare alcune produzioni culturali che l’America ha prodotto, dai film, alla musica, ai libri, …, ma si tratta in genere di persone critiche della loro stessa cultura, che remano controcorrente, dei disadattati di successo se vogliamo, ce n’è qualcuno anche nel mio ambito, la psicoanalisi.
Ma il mainsteam lo rigetto in massa, non riesco a condividere la propaganda continua e l’autocelebrazione che si fanno e che pretendono che tutti tributino loro, cerco di vederli per ciò che sono: rapaci e infelici, ed anche molto pericolosi; in fondo poi gli unici che hanno davvero usato l’arma atomica su popolazioni civili sono stati proprio gli americani, e per ben due volte.
Dicono che furono costretti perché altrimenti il Giappone non si sarebbe mai piegato e la fine della guerra sarebbe costata molte vittime fra i soldati USA; io non saprei, l’argomento non mi convince molto, il Giappone era già piegato dall’impossibilità reale di proseguire questa guerra, non aveva più le risorse, gli uomini e le armi per continuarla, non vedo cosa altro avrebbe potuto sparare e come altro avrebbe potuto nuocere ai baldi guerrieri nordamericani.
L’unico motivo che mi viene in mente per darmi conto del perché dell’atomica a Hiroshima e Nagasaki è che gli USA volevano dimostrare a tutti di essere i nuovi padroni del mondo, e di certo il fatto che l’abbiano lanciata contro degli asiatici, considerati musi gialli o scimmie gialle, molto meno che uomini insomma, e il dente avvelenato per Pearl Harbour ha aiutato a giustificare l’uso di un’arma così terrificante (chiedetevi se l'avrebbero usata contro la Germania, piuttosto, eppure li trovarono una forte resistenza fin nelle strade di Berlino), non esiste crimine contro l’umanità prima o dopo il lancio di queste due bombe, che può esservi paragonato.
Forse solo Chernobyl può aspirare ad affiancarvisi, ma Chernobyl fu una disgrazia, per quanto annunciata, per quanto prevedibile, colposa certo, perché se a capo della più grande centrale nucleare nella Russia di allora metti dei gretti e limitati burocrati, spinti da sfrenata ambizione, puoi aspettarti di tutto.
Alla fine del XIX° secolo l’impero austroungarico era un rottame ambulante, un morto che cammina e che ancora incute un certo terrore, era sopravvissuto a Napoleone contro ogni previsione, la Rivoluzione Francese e le guerre napoleoniche avrebbero dovuto spazzar via l’ancient regime, impero austroungarico in vetta, ma insolitamente, finiscono per prevalere al genio del piccolo generale francese, travolto non tanto per le sue idee innovative, quanto dal suo delirio di onnipotenza, vittoria dopo vittoria contro gli eserciti più forti del mondo, anche coalizzati fra di loro, era iniziata a farsi strada nella sua mente l'idea del predominio e dell'egemonia sull'Europa e forse sul mondo intero.
Risollevato contro ogni pronostico dal Congresso di Vienna, l’impero austroungarico si rimette in sesto e marcia bene o male e fra mille difficoltà per diversi decenni ancora, regge agli strappi separatisti di Italia, Ungheria e di altre popolazioni che lo comprendevano, fino a giocarsi la sua ultima carta nel 1914, la Prima Guerra Mondiale fu un test dell’impero austro-ungarico e della Prussia suo alleato per sapere se erano ancora in vita oppure erano già morti da un pezzo.
Scoprirono che era vera la seconda ipotesi, ma essendo già morti non poterono constatarla; fu così che vent’anni dopo un oscuro caporale viennese di nome Adolf Hitler volle di nuovo domandare alla storia se i fasti del Reich Germanico fossero ancora in auge, ancora una volta se la germanicità fosse viva o morta … di certo tutti quei teschi ricamati sulle divise delle SS non dovettero essere di buon augurio: più uccidevano e più decretavano la loro morte, più sterminavano ebrei e più invitavano gli altri a sterminarli.
Alla fine ci si accontentò di renderli innocui, dividendoli in due, pare di raccontare di nuovo quella storia secondo cui Zeus divise in due gli uomini primitivi doppi che stavano diventando troppo arroganti.
Nello stesso modo ciò che resta degli Stati Uniti pare sfidare il mondo per scoprire se sono ancora forti e potenti, oppure sono già soccombenti, se sono ancora vivi oppure sono morti, così sbraitano, minacciano, agitano la coda visto che la testa non fa più paura, temono la rivolta contro di loro, temono il ridicolo, si agitano, annaspano, invece di portare saggezza portano sconforto, invece di pace portano la guerra.
Lo stesso identico discorso si potrebbe fare per Putin, vissuto da burocrate nel KGB quando l’URSS era potente ed incuteva paura, e risvegliatosi nella Russia di Gorbačëv e di Eltsin, che pur essendo ancora un colosso, non incuteva più paura a nessuno; un essere insignificante, un quadro di partito devoluto ai servizi segreti, e neppure a quelli speciali, un burocrate qualunque, che si scopre addosso l’ansia del riscatto, personale e nazionale, dove la vicenda personale si fonde con quella della Nazione e i destini delle due cose si intrecciano indistricabilmente.
Noi, come i Karamazov, siamo in mezzo a due abissi, in balia di due diversi destini che non ci appartengono, proprio come i premier ucraino Zelens’kyj, che deve stare attento a come si muove per non finire dalle fauci del lupo in culo alla balena.
E meno male che c’è Matteo Salvini, che ha deciso di andare a Mosca a parlare con Putin, e forse anche in ucraina da Zelens’kyj, non ha la più vaga idea di cosa dire, non rappresenta nulla e nessuno, non ha argomenti a favore di una pace o abilità nelle trattative, l’unica cosa che può fare è far ridere il mondo intero, come ha già fatto in occasione della sua recente performance in Polonia, forse la soluzione è farli ridere, se ridono non si sparano addosso, se Salvini si fosse trovato in quella scuola in Texas quel ragazzo non sarebbe riuscito a sparare dal troppo ridere.
Forse dovremmo riderci sopra pure su quel cast di fiction Rai che ha messo a ferro e fuoco Stromboli, nemmeno il vulcano aveva creato così tanti danni, il copione prevedeva una casa bruciata, la casa l’hanno bruciata prima che fossero presenti i pompieri che avrebbero potuto creare le condizioni di un fuoco circoscritto (ma anche così, che diamine, ma andatele a girare altrove queste scene, non in un ambiente così a rischio), e con essa hanno bruciato tutta l’isola.
Bellissimo, chi verrà a Stromboli questa estate potrà ammirare i carboni ancora ardenti della fiction Rai, interi costoni di collina completamente arsi e potrà fermarsi a riflettere su quanti anni ci vorranno perché la vegetazione spontanea copra quel disastro e sull’imbecillità umana di funzionari Rai e di amministratori locali che si palleggiano vicendevolmente le responsabilità.
Un encomio speciale va all’attrice cult di questa fiction, tale Ambra Angiolini, la quale, in questo disastro immane per un’isola che vive quasi esclusivamente di turismo e che si troverà spoglia per anni della propria vegetazione, non ha trovato altre parole che dichiarare: “Io in quel momento non ero presente”, che non vuol dire nulla, perché se fossi stata presente lo impedivi? Sembra piuttosto l’ennesima paraculata del guitto atta a conservare intatta la propria immagine che esige che un beniamino pubblico, uno che vive di fiction, non possa essere esente dai buoni sentimenti più in voga sul mercato corrente, primi fra tutti quelli che invocano la preservazione dell’ambiente e l’attenzione per il cambiamento climatico.
Anni fa c’era la corsa ad andare da Padre Pio, che dava patenti di simpatia a chi si sottoponeva a questa penitenza sotto i riflettori, ora non si può prescindere dall’ambiente; in realtà, a giudicare dalle loro tristi vite, se ne fregano altamente dell’ambiente e di Padre Pio e continueranno a fare atto di fede per qualsiasi cosa li renda anche solo un po’ simpatici al pubblico e continueranno a fregarsene anche di questa.
Le misere vite ed opere di funzionari, registi, attori, sceneggiatori e dirigenti RAI non basteranno a risarcire quell’isola qualunque cosa facciano, così come la famiglia Benetton e affini non potrà mai risarcire le 42 persone morte sul ponte Morandi e così come Putin, Biden, Zelens’kyj e gli attuali leader della comunità europea non potranno mai risarcire i morti ucraini e lo stupro del loro territorio.
✱ IL TITOLO DEL POST E ALCUNE DELLE FOTO DI CITTADINI AMERICANI ARMATI SONO STATE PRESE DAL SITO DI GABRIELE GALIMBERTI.