domenica 29 gennaio 2017

SENZA MEMORIA E SENZA DESIDERIO 6








“A’ sera quanno ‘o sole se nne trase

e dà ‘a cunzegna ‘a luna p’’a nuttata

lle dice dinto ‘a recchia: “I’ vaco ‘a casa:

t’arraccumanno tutt’’e nnammurate”.

(Totò).









Quando ti trovi nel profondo sud dell’Italia non puoi dare nulla per scontato, operazioni altrove semplici come fare benzina, chiedere un’informazione o prelevare denaro contante con un bancomat non sono affatto agevoli; mi aggiravo, come Leopardi, d’in su la vetta della torre antica, quella dell’orologio nella piazza principale del mio paese d’origine in Sicilia, un posto le cui coordinate geografiche sono più a sud di Tunisi, per cui un tunisino mi può dare del terrone senza che io possa replicare, in cerca di un bancomat funzionante.

Era già il terzo che provavo inutilmente, “potremmo vivere di turismo” dicono qui i politici, “potremmo vivere di turismo” assentono tutti gli altri, ma se un turista non può nemmeno prelevare i soldi da spendere dovrai accontentarti di vivere di funghi di carrubo, perché il turista andrà a spenderli altrove.

Una volta sarei entrato in banca, avrei chiesto gentilmente perché in tutta la piazza, in tutto il centro cittadino, i bancomat sono fuori uso, seguono forse la politica dell’austerity, dovrò barattare qualcuno dei miei averi in cambio di prodotti e servizi, l’orologio in cambio di un pasto, il cellulare in cambio del lettino e dell’ombrellone, la cintura per un caffè?

Oppure trovare un amico che conosca qualche impiegato di banca che ti permetta di prelevare all’interno dei loro uffici la somma che ti serve, ma questi sono sistemi per me inconcepibili, mafia travestita da amicizia, servizi scontati in qualsiasi paese civile che diventano favori per cui tu dovresti poi sdebitarti con l’amico intermediario e con gli impiegati dell’istituto bancario che per negligenza o per non so quale politica dimenticano di rendere funzionante il loro bancomat.

Altra soluzione sarebbe quella di entrare con un passamontagne, mitraglietta in pugno e fare una rapina: “Dammi 250 euro, tutti in banconote di piccolo taglio e non segnate, subito!”; sarebbe la soluzione migliore se non fosse che non ho né la mitraglietta, né il passamontagne, e per procurarmeli dovrei avere dei soldi e poi fa caldo già senza, figuriamoci con il passamontagne.

Mentre accarezzo il desiderio che un attentato terroristico faccia saltare in un unico falò tutte le banche del paese e passi a fil di spiedo tutti gli impiegati superstiti, ecco che lei mi appare mentre esce dalla porta d’ingresso dell’ultima banca, come la madonna di Medjugorje apparse a Paolo Brosio per la prima volta.









Un arioso vestito estivo lungo quasi fino ai piedi, bianco e azzurro, un paio di sandali, una borsa di pelle a tracolla che viste le dimensioni potrebbe servire anche come valigia per viaggi brevi, a chiunque meno che ad una donna, uno sfiziosissimo cappello panama color panna, occhiali scuri modello calabrone, che ti cancellano tutta la parte superiore del volto, eccetto un triangolino di fronte, il naso, le labbra e il mento.

Mi riconosce immediatamente, si toglie gli occhiali così che posso vedere la sorpresa e la gioia di vedermi nei suoi occhi, mi abbraccia con trasporto, anch’io dopo una lieve esitazione la riconosco … chi penserebbe che questa splendida donna un tempo era interessata a me, chi ci crederebbe vedendoci, perché a guardarla così non ci credo nemmeno io.

“È una vita che non ci vediamo!”, già, una vita, quante volte l’ho sentito dire, quante vite interrotte, spezzate, quanti rapporti umani lasciati cadere senza una parola perché io sono andato altrove, inseguendo altre vite, altri rapporti che nel momento di partire ancora non conoscevo?

Non sto a raccontarle le mie vicissitudini col bancomat, sarebbe capace di trascinarmi in banca e muovere le sue conoscenze per risolvere il problema, voglio solo godermi questo incontro inatteso senza lasciare che alcuna cosa si intrometta fra me e lei: la invito a prendere un caffè insieme … qualche spicciolo dovrei ancora averlo, e dopo chiederò la carità sui gradini della chiesa madre.

Già, ma dove? La piazza è piena di bar, e io non ne conosco più nessuno, sono diventato un turista nel mio paese di origine, non mi guardo più intorno come una volta cercando qualche volto noto, delle persone più giovani di me non conosco più quasi nessuno, sono per me tutte facce nuove e sconosciute, di tanto in tanto mi capita di incontrare qualcuno che conosco e che si ricorda di me.

Una volta in piazza non ci si poteva sbagliare, c’era la Pasticceria Negroamaro, buono il caffè, buona la colazione, ottimi i dolci di ogni tipo; è stato il primo molti anni fa ad i piantare in quel paese la migliore scuola di pasticceria della zona, anche dalla città e dai dintorni venivano ad assaggiare le nostre granite, le torte, le cassate.









In molti si sono formati in quel laboratorio di pasticceria, poi hanno aperto la loro bottega personale, e c’è stato un periodo in cui in qualsiasi posto tu andassi ti saresti trovato sicuramente bene; adesso Negroamaro in piazza non c’è più, mi dicono fallito, investimenti sbagliati, cattiva gestione, figli e nipoti non all’altezza dei genitori, va a sapere, non li conosco.

Anche le altre pasticcerie della vecchia guardia non esistono quasi più o esiste soltanto il nome, quelle in cui non potevi sbagliarti, dal laboratorio annesso al bar veniva fuori un odorino di dolci ed un aroma di caffè celestiale, ti veniva spontaneo fare una pausa qualunque cosa tu stessi facendo, anche se andavi di fretta.

Oggi dai bar non viene fuori quasi nessun profumo, o senti quello del vetril che rende splendenti le vetrine, lucenti il banco e i tavolini … mi guardo intorno un po’ smarrito, sto per dirigermi in una direzione, ma lei dolcemente intreccia il suo braccio con il mio e mi guida altrove.

È bello ritrovare persone piacevoli come lei, è bello godersi alcuni istanti di beatitudine in deliziosa compagnia, è bello sorseggiare (tre sorsi non uno di più per un siciliano) un ottimo caffè che è quasi crema e potresti stare anche qualche minuto in attesa che lo zucchero si decida a scendere nel fondo della tazzina.

Parliamo di tante cose, saltando di qua e di la, liberamente, senza difese, senza protezione, con un’attenzione minima al possibile giudizio negativo del nostro interlocutore, cosa alquanto rara in Sicilia dove l’immagine che gli altri hanno di me è molto importante e dove essere approvati è più importante dell’essere liberi.

Non provo nemmeno a tentare di pagare il conto, lei ha già fatto cenno alla donna che sta alla cassa e che è venuta a salutarla, so già che sarebbe inutile; mi da il suo numero di telefono personale e un biglietto rigido di colore rosso in cui c’è il nome del suo locale e una scritta a grandi caratteri: SESAMO, accompagna questo semplice gesto con: “Vienimi a trovare” e non serve aggiungere altro, so che le farebbe immensamente piacere se lo facessi.









“Non ti puoi sbagliare … al chilometro x della statale … subito dopo la curva … la strada che si inerpica … è enorme ed è la zona più illuminata di tutta la collina …”, queste indicazioni mi da il mio più caro amico d’infanzia per trovare il posto di cui lei è proprietaria, poi quasi a scusarsi aggiunge: “Non ci sono mai stato, abbiamo solo fatto un sopralluogo esterno qualche volta”, così capisco che è un posto in cui ci si diverte, ed è difficile divertirti portandoti dietro tua moglie e i tuoi figli.

Non mi sa dire esattamente cos’è, come potrebbe definirlo, non è una discoteca di antica tradizione, nemmeno una di quelle enormi che trovi alla Marina di Ragusa, a Rimini o, prima ancora, ad Ibiza, non è un Night, perché è enorme, non un Resort perché pur avendo le camere lavora di più con avventori di passaggio che con i residenti, e spesso i residenti non sono vacanzieri, ma persone troppo sfinite o che hanno bevuto troppo per mettersi alla guida o, semplicemente, qualcuno che vuole stare comodo per una notte.

Qualsiasi categoria è obsoleta e non riesce a definire cosa lei con i suoi soci sono riusciti a realizzare in quell’angolo di Sicilia, qualcosa che non c’era e adesso c’è; qualche giorno dopo decido di incontrarla di nuovo, parcheggio in una immensa spianata, tiro fuori SESAMO da mostrare a quei due pilastri palestratissimi con vaghe sembianze umane e qualcosa di gorillesco (sta a vedere che è vero che l’uomo discende dalla scimmia) che presiedono all’ingresso e sono dentro.

Ho la sensazione che uno come me, con i jeans, la camicia di lino e un paio di scarpe anonime, una volta si sarebbe detto uno che veste non firmato, oggi non possiamo sfuggire alle firme, siamo tutti siglati ed approvati da qualcuno, al supermercato vendono calze di cotone firmate a mazzi da tre in offerta perenne, ma non firmato dai nomi giusti, non l’avrebbero fatto entrare senza SESAMO… e mi sento quasi Ali Babà.

Ma dove vai senza calzare almeno un paio di Tod’s ai piedi, senza i jeans e la cintura Dolce & Gabbana, senza la corona d’alloro di Fred Perry, il giocatore di polo che agita la sua mazza di bambù in sella al suo cavallo di Ralph Lauren, o il bassottino di Harmont & Blaine o senza il coccodrillo di Lacoste?

Mi guardo un po’ intorno, è davvero enorme, ti ci perdi dentro, decido di chiedere a qualcuno e il posto più vicino è il bar alla mia destra, dico al cameriere (altra denominazione sorpassata, questi sono barmen, hanno studiato in scuole apposite, inventano cocktails e sono capaci di servirti impeccabilmente ogni tipo di bevanda; di comprenderti e di anticipare ogni tuo desiderio molto più del tuo psicoanalista… e poi questo quasi sicuramente indossa le Tod’s e un paio di jeans Armani armeno) che la sto cercando, lui mi chiede chi sono, è molto gentile e professionale, manda la ragazza che è con lui a cercarla, mi chiede di attenderla li e se desidero qualcosa…sono sbalordito, mi sembra di essere in Alto Adige e non in Sicilia.








Non attendo molto che lei scenda dalle scale, come una dea, con un abito scollatissimo e molto lungo, dei tacchi altissimi e uno spacco posteriore vertiginoso, chi immaginerebbe in questo momento che questa donna sia la stessa ragazza che ho conosciuto io molti anni fa in jeans, scarpe da tennis, felpa e giubbotto di jeans sempre aperto?

Mi abbraccia con un sorriso, intreccia il suo braccio col mio, mi fa fare un giro su noi stessi mostrandomi con la mano tutto ciò che ci circonda, con l’orgoglio di chi ha creato lei tutto ciò che vedo, poi mi conduce sopra, per quelle scale da cui è scesa; li ci sono gli uffici, mi indica, ed è la zona dei tanti salottini privati, per chi vuole conversare senza essere infastidito dalla musica.

Da alcuni puoi dominare gran parte del locale, l’ingresso, la pista da ballo principale, la piscina all’aperto la in fondo, i due bar laterali, altri salottini in basso il ristorante in fondo, non c’è molta gente, è quasi deserto anzi, ma è ancora presto se consideriamo che inizia ad affluire gente solo dopo la mezzanotte e sono appena scoccate le ventidue.

Ci sediamo in un piccolo salottino centrale, la visuale è splendida, le poltrone confortevoli, tutto quanto è di buon gusto e ti da subito l’impressione di calore e di intimità, c’è una punta di lusso sfarzoso, ma mai urlato, mai volgare, quanto basta per comprendere che non sei in uno dei soliti locali e farti sentire un privilegiato.

Lei chiama una ragazza e le dice qualcosa che non riesco a sentire, subito dopo la stessa ragazza arriva con una bottiglia di champagne e un cestello col ghiaccio, sta per aprirla, ma lei con un cenno la congeda, si alza ed è lei a far esplodere il tappo e a servirmi quel nettare in un flûte, poi serve se stessa e brindiamo alla fortuna che ha fatto incrociare di nuovo i nostri passi … pare piacevolmente impressionata da questa formula di augurio che mi è venuta, le piace, la ripete come una formula magica e tintinna nuovamente il suo bicchiere contro il mio.

Mi dice che ha chiesto di me a tutti coloro che incontrava e che pensava non avessero interrotto i contatti con me, ai miei più cari amici, tramite loro aveva mie notizie e mi inviava i suoi saluti, anche a me giungeva qualche eco della sua vita, ma è più piacevole ascoltarla direttamente dalle sue labbra.








“Volevamo fare qualcosa di diverso, soprattutto io, Piero X lo conosci vero? Era qualche anno più avanti a noi al liceo, quando noi eravamo al secondo anno lui era al quinto … si è laureato in giurisprudenza, suo padre avvocato l’ha quasi preteso, col massimo dei voti, poi sembrava volersi riposare dallo sforzo e il padre non ha obiettato, era giovane, era giusto che si divertisse un po’ prima di calcare le sue orme. Solo che lui è entrato nel mondo del divertimento e c’è entrato per restarci, conosceva molte persone, era in grado di spostare qualche centinaio di amici il venerdì e il sabato sera in un locale o in un altro, era simpatico a tutti e a molti non pare vero di conoscere qualcuno che sappia sempre suggerirti quali sono i posti più alla moda, quelli che non puoi fare a meno di frequentare, quelli dove va la gente che conta. In breve faceva il PR e ha continuato a farlo con successo finché io non gli ho suggerito di dirottare tutte le sue amicizie in un locale suo invece che in quello degli altri; l’idea gli è piaciuta ed è anche servita per indorare la pillola a suo padre, che credeva che PR fosse uno sberleffo e non un lavoro serio, mentre imprenditore e proprietario di un locale, di una attività, era per lui meno infamante. Maria Cristina Y, conosci anche lei, testarda, battagliera, determinata, non potevamo iniziare nulla senza di lei, è sua fin dall’inizio, dall’acquisto del terreno, l’abilità nel districarsi nella palude burocratica di chi voglia intraprendere qualsiasi cosa e suo è il buon gusto della scelta di mobili, arredamento, dettagli, rilievi, particolari di quasi tutto ciò che vedi. Poi, se te la ricordi, ti verrà sicuramente in mente che quando voleva qualcosa si batteva fino alla fine per ottenerla, un’ottima qualità che ci ha permesso di risolvere molti problemi, ma in altri casi se sei da sola non è un problema, se sei in società devi comprendere che ciò che tu desideri devi farlo diventare una proposta e non un ordine come succedeva a lei. In alcuni casi Piero ed io le siamo andati dietro senza fermarla, anche se non eravamo d’accordo, abbiamo perso dei soldi dietro ad alcuni suoi progetti catastrofici, ma gli affari andavano bene e non ci hanno danneggiato molto, ciò che era insopportabile era il suo atteggiamento di imposizione delle sue idee, soprattutto il suo concetto di lusso, lei lo avrebbe spalmato ovunque come fosse cera, io trovo che il lusso eccessivo dia l’impressione di distacco e di freddezza, che allontana le persone invece che avvicinarle. Così lei è giunta alla conclusione che era il caso che iniziasse qualcosa per conto suo, in modo da realizzare pienamente le sue idee senza incontrare ostacoli, e ci ha offerto di rilevare e sue quote: adesso Piero ed io siamo soci a metà”.

Chiunque veda questo posto si farà l’idea che le persone che l’hanno pensato, voluto e realizzato siano persone eccezionali, ma non riuscirà mai a comprendere quanto; è praticamente impossibile per qualcuno che non sia in odore di mafia (che non si tratti cioè di un modo come un altro per riciclare denaro di provenienza sporca) realizzare un progetto di questa portata in Sicilia.

Il dialogo fra me e lei scorreva liscio come quello champagne, eravamo al secondo o già al terzo calice? Lei era nel suo regno, tutto intorno parlava di lei, era perfettamente conosciuta e riconosciuta da tutti, dipendenti e clienti, è naturale che fosse completamente a suo agio, ma anche così non è scontato per niente, a volte tratti di affari con gente molto furba ed esperta, puoi essere a tuo agio quanto vuoi ma è meglio stare attenta, altre volte tratti con persone prive di scrupoli che ti fanno delle proposte che tu devi valutare molto bene prima di accettarle o di rifiutare, è molto raro e dunque prezioso trovare qualcuno con cui puoi essere te stessa fino in fondo, qualcuno che conosce in te la ragazza in jeans e felpa e la sa tirare fuori.

Per ciò che mi riguarda, era una vita che non frequentavo locali simili, ho perso ogni simpatia per i locali notturni, eccetto alcuni che fanno della buona musica dal vivo, perché non mi trovo più a mio agio con i locali molto affollati, con gente dallo sguardo perso nel vuoto, con l’espressione della disperazione che emerge persino dall’etichetta di una giacca o di un abito da sera, dalla pessima musica che trasmettono.

Eppure li stavo bene, non per il posto certo, non per la musica che fino a quel momento almeno era gradevole (un funk elettronico molto raffinato), e nemmeno per lo champagne di ottima qualità (anche se non saprei dire cosa stavo bevendo), stavo bene con lei e riuscivo persino ad estraniarmi da tutto il resto: avremmo potuto essere su una panchina ai giardinetti con una birra in due, sulla sella della moto in fondo al lungomare o in un tratto poco illuminato della spiaggia su un telo da mare, non sarebbe cambiato nulla.

Ricordo ancora la faccia preoccupata e divertita insieme del mio migliore amico che mi chiedeva se fossi cieco, se doveva inoltrare domanda per la pensione per un non vedente o per un incapace di intendere e volere; che altro doveva fare quella povera ragazza per farmi capire che era interessata a me?









Veniva già mattina e pomeriggio nella spiaggia frequentata da noi, lei e la sua amica non si erano mai viste da quelle parti, prendeva per asciugarsi solo il mio telo da mare, mi trascinava in acqua quando non volevo, o a giocare a pallavolo, poi si mettevano in topless (negli anni 80 era molto di moda) seguite immediatamente dalle altre e la partita diventava davvero uno spettacolo, mi schizzava d’acqua e quella volta che è uscita dall’acqua e si è distesa completamente su di me che ero girato di schiena, la ricordavo?

Come avrei potuto dimenticarla, sento ancora l’acqua gelida in contrasto con la mia pelle che aveva assorbito il calore del sole, sento l’umido che le colava dal corpo e bagnava anche me, sento la morbidezza del suo corpo che premeva sul mio, in particolare il suo seno sulla mia schiena.

E allora, che stai aspettando, che un’orchestra sinfonica  ti faccia l’accompagnamento musicale? L’hanno capito persino gli scogli ormai che è li per te. E oltre agli scogli me ne ero accorto anch’io a dire il vero che lei mi stuzzicava, e in tutti i modi anche, sarebbe bastato prenderle una mano e stringergliela, o quando mi trascinava in acqua farla cadere su di me, o baciarla all’improvviso, o qualunque altra cosa mi fosse venuta in mente all’istante, per unire la sua vita alla mia.

Invece al mio amico, sconcertato per questa mia seraficità, ho replicato semplicemente: “Non mi piace”, ma senza tanta convinzione e senza guardarlo negli occhi, lui non riusciva a credere alle sue orecchie: “Non ti piace? Stai scherzando? Cosa le manca? Ma hai visto che belle portogalle (portualle) che ha, non ti viene voglia di accarezzarle, di afferrarle, di stringerle? Credi che le donne siano tutte uguali, tutte con un seno così? E quando ti ricapitano belle uguali?

“Non mi piace”, gli ripetevo, “e non per le portogalle, ha i dentoni davanti che sembra un castoro”.

“I dentoni? – ripeteva lui esterrefatto - Ma che ti importa dei dentoni, tu non farla ridere”.









Non si dava pace e molto probabilmente partecipava in prima persona, da amico era contento come se capitasse a lui se mi capitava qualcosa di positivo, più di qualche volta, quando era nella facoltà di poterlo fare, mi aveva agevolato in tutti i modi e io avevo fatto altrettanto, solo che faticava a capire che ciò che lui considerava positivo o bello non è detto lo fosse anche per me.

C’erano due motivi fondamentalmente che mi allontanavano da lei e dalle sue portogalle, il primo che lei era una compagna di classe, e questo era già un deterrente per qualsiasi rapporto, non accadeva quasi mai che sbocciasse l’amore fra compagni nella stessa classe e nella mia è successo solo una volta e i due interessati hanno dovuto attendere dopo il diploma per mettersi insieme e poi sposarsi, prima sono stati cinque anni a guardarsi a distanza.

Perché la convivenza uccide l’amore, anche il più solido degli amori quando devi dividere il bagno diventa guerra, continue battaglie come al risiko per occupare gli sportelli degli armadi, per non perdere territori, per mettere le tue bandierine su qualcosa come accade quando a Risiko conquistavi la Jacuzia o la Kamčatka.

I giovani che provano a convivere prima di sposarsi sono dei folli, così come lo erano i giovani che si sposavano e mettevano su casa in comune; bisognerebbe abitare ciascuno per conto proprio e vedersi solo se se ne ha voglia e per appuntamento, e non bisognerebbe mai e poi mai essere costretti a condividere un bagno con una donna.

L’altro motivo era più banale, la scuola stava finendo, presto sarebbero “scesi” i turisti, ciò significava almeno due mesi e mezzo di possibili avventure; io non sono portato per le storie prosaiche, già quando la temperatura esterna si faceva mite io iniziavo a fantasticare grandi storie romantiche con esotiche principesse provenienti da Biella, Alessandria, Busto Arsizio o Abano Terme, che parlavano con accenti stranieri fra il bergamasco antico e il caucasico. La compagna di classe avrebbe potuto essere bella e prosperosa come Sophia Loren o Silvana Mangano e non sarebbe riuscita a trattenermi.

“Ma quando ti ricapitano?”, insisteva lui col cipiglio di chi ti da un ultimatum; già, quando mi ricapitano … adesso mi ricapitano, proprio in questo momento, in questo istante, disteso in questa poltrona, sorseggiando champagne dal flûte che ho in mano, a pochi centimetri di distanza, coperte, sebbene molto poco, ma perfettamente intuibili, ci sono le stesse identiche portogalle di più di trenta anni fa, che respirano come allora, che sono belle come allora, forse anche più belle … lo sapevo che aveva ragione Nietzsche col suo eterno ritorno.







E mi viene in mente, chissà perché, quell’estate trascorsa in Camargue in Francia, quando con i miei amici di allora c’eravamo addentrati fin nel Medoc in cerca di vino, rosso naturalmente, ma il viticultore presso cui ci eravamo fermati per gli assaggi volle per prima cosa e a tutti i costi farci assaggiare uno champagne di sua produzione e tirò fuori tante coppe quanti eravamo.

I miei amici, tutti veneti e qualche lombardo, si stupirono per la scelta dei calici, ma il francese non se ne diede per inteso e ci spiegò che la scelta del flûte era per i francesi sbagliata, era meglio servire lo champagne in una coppa: primo perché il vino in questo modo poteva sprigionare tutto il suo perlage senza trattenerlo come fa costretto dentro un flûte, e secondo perché la coppa è essenziale oltre che per contenere lo champagne, anche come sistema di misura del seno femminile, essa ne decreta non solo la giusta dimensione, ma anche la giusta forma perché un seno sia considerato bello.

Suggestivo, certo, ma che ne sa un francese, e del Medoc perdipiù, di portogalle? Non possiamo davvero credere che la parola “portogalle” riferita alle arance siciliane più grosse, più belle e più succose, derivi davvero dal francese: “Pur toi” (portuà), secondo la leggenda che vuole che i francesi di Carlo D’Angiò regalassero arance alla popolazione del sud Italia conquistato, accompagnando il gesto con quest’esclamazione. Semmai erano i francesi a regalare a loro stessi le nostre arance, e allora la parola avrebbe un senso.

Né possiamo dar credito alla leggenda secondo cui portogalle deriverebbe dal termine greco πορτοκάλι (portokáli), che indica l’arancia, perché l’arancio, come tutti gli agrumi di base (arancio amaro, limone, mandarino), furono importati in Sicilia e nel sud della Spagna dagli arabi, i greci antichi non li conoscevano e non li conoscevano nemmeno i bizantini almeno non prima di averli conosciuti dagli arabi stessi. Dunque, portokalì è quasi certamente il corrispettivo greco di un termine che preesiste, i greci si sarebbero adeguati ad una parola presistente traducendola soltanto nei loro caratteri cirillici.

Molto più probabilmente, la qualità di arance bionde grosse e dolci che conosciamo attualmente, furono diffuse in tutta Europa dai mercanti portoghesi fra il XV° e il XVI° secolo, le attuali varietà siciliane del tarocco, del sanguinello e del moro, sono incroci fra il ceppo arabo e le tarsie portoghesi, mentre il termine portogalla ormai in disuso, è servito a definire per secoli l’arancia in generale.

Eccole qui le “portogalle”, altro che “quando ti ricapitano”, tutto ciò che è importante nella vita di una persona ritorna infinite volte e ciclicamente bussa alla sua porta, certo non potrei dire che fossero mie, nel senso che non avrei potuto disporne a mio piacimento, ma già anche allora, tanti anni prima non furono mie, quindi ritornavano esattamente ciò che erano state, il passato non torna per darti un’altra possibilità, perché tu concluda ciò che avevi iniziato, perché tu scriva un finale diverso e più degno alla tua storia, il passato ritorna per ciò che è stato: ciò che era importante allora è importante ora, ciò che avvenne allora avviene ora.








Ma in un dialogo libero di questo tipo c’è spazio perché anche i suoi desideri antichi possano essere espressi, e non soltanto il mio, al terzo flûte mi dice candida: “Sai, nelle ore di matematica, quando interrogava, speravo sempre che chiamasse te”, la guardo sconcertato, tenuto conto che la matematica non era la mia materia preferita: “Mi volevi così male?”, “No, affatto, è che … come dire … matematica era l’unica materia in cui ti dovevi alzare ed andare alla lavagna … si, insomma, mi piaceva guardarti il culo mentre scrivevi … avevi il più bel culo della nostra classe, forse dell’intero istituto!” … cose così ti lasciano senza parole, poi abbiamo riso come matti.

Sono andato via subito prima che il locale si riempisse, uscendo c’era già la coda all’ingresso, con una bella sensazione di aver ritrovato una persona che ha fatto parte della mia vita anche se incidentalmente e di essere ritornato in contatto con questa parte della mia vita che ho sempre considerato superficiale, non importante… vite spezzate e riannodate altrove, con altre persone…si riannodano all’improvviso e per alcuni istanti, per riperdersi o per ritrovarsi.  

Chissà come sarebbe cambiato il nostro colloquio di quella sera, il nostro incontro in generale, se allora molti anni fa le cose fossero andate diversamente, avrei anche potuto realizzare come era accaduto quella sera che lei aveva un bel paio di portogalle, ma la constatazione finiva li, perché puoi anche apprezzare un bel seno se lo vedi, ma nessuna ha un seno più bello della donna che ami.

Non sarebbe stato più soltanto lo sguardo o il pensiero ad essere ridestati, si sarebbe svegliata certamente anche la memoria tattile, la memoria olfattiva, oltre a tutta una serie di ricordi emotivi, i polpastrelli, la coppa delle mani avrebbero rievocato la pienezza e la morbidezza di quei seni, sarei stato nuovamente invaso dal ricordo delle zaffate di odore dell’eccitazione, la sua, la mia, la sua sulla mia, avrei riascoltato l’ansimare unisono dei nostri corpi, avrei forse fatto il paragone fra quel seno acerbo e sodo e questo che vedevo adesso da donna matura.

Il tatto conserva memoria di ciò che incontra, di ciò che tocca, di ciò che accarezza, abbiamo in archivio una banca dati degli odori, fin da subito, appena venuti al mondo, sapremmo riconoscere l’odore del seno materno ad occhi chiusi, pure dormendo,  e considerando che ciascuno di noi possiede un odore unico, considerando che i vari stati d’animo mutano il nostro odore, ciascuno di noi possiede più caselle dell’FBI per schedare tutte le persone con cui entra in contatto e tutte le loro variazioni.

La pelle conserva memoria degli eventi, che siano traumi o carezze, ricorda la mano o l’oggetto che gliele ha prodotte: diversi anni fa ebbi un incidente in moto, stupidamente sul lungomare, non so ancora come possa essere accaduto, non andavo veloce per fortuna, sabbia, olio per terra? Fatto sta che una lieve frenata mi ha fatto slittare la moto, sono caduto pesantemente sul lato destro e, non avendo il casco integrale, mi sono spaccato il mento che sanguinava al punto che l’incidente sembrava ben più grave, tanto è vero che mi hanno fatto passare avanti in pronto soccorso e che mi hanno dato diversi punti per chiudere la ferita.
Ora, a distanza di anni, se mi lascio crescere la barba, una linea bianca ripercorre l’antica ferita, su quel tratto lacerato la pelle ricorda e i peli crescono bianchi da allora, in memoria del trauma subito; anche una carezza lascia il segno, puoi anche dormire, ma se a sfiorati è la mano che desideri, mugoli di piacere, se invece è una mano estranea ti svegli …

Ciò che è finito è finito, ciò che non è mai iniziato non è iniziato, lasciare aperto il finito, riprenderlo da dove l’abbiamo lasciato, tentare di dare un corso diverso a ciò che è stato è sempre una follia, è inseguire il “fantasma”, dare consistenza a ciò che non ha mai avuto sostanza, e non può prenderla adesso dal nulla; i desideri sono tessuti dai sogni, sono sospesi nell’etere e si nutrono di nuvole e nembi che si trasformeranno in tempesta.