“A’ sera quanno ‘o sole se nne
trase
e dà ‘a cunzegna ‘a luna p’’a
nuttata
lle dice dinto ‘a recchia: “I’
vaco ‘a casa:
t’arraccumanno tutt’’e
nnammurate”.
(Totò).
Quando ti trovi nel profondo sud
dell’Italia non puoi dare nulla per scontato, operazioni altrove semplici come
fare benzina, chiedere un’informazione o prelevare denaro contante con un
bancomat non sono affatto agevoli; mi aggiravo, come Leopardi, d’in su la vetta
della torre antica, quella dell’orologio nella piazza principale del mio paese
d’origine in Sicilia, un posto le cui coordinate geografiche sono più a sud di
Tunisi, per cui un tunisino mi può dare del terrone senza che io possa
replicare, in cerca di un bancomat funzionante.
Era già il terzo che provavo
inutilmente, “potremmo vivere di turismo” dicono qui i politici, “potremmo
vivere di turismo” assentono tutti gli altri, ma se un turista non può nemmeno
prelevare i soldi da spendere dovrai accontentarti di vivere di funghi di
carrubo, perché il turista andrà a spenderli altrove.
Una volta sarei entrato in banca,
avrei chiesto gentilmente perché in tutta la piazza, in tutto il centro
cittadino, i bancomat sono fuori uso, seguono forse la politica dell’austerity,
dovrò barattare qualcuno dei miei averi in cambio di prodotti e servizi,
l’orologio in cambio di un pasto, il cellulare in cambio del lettino e
dell’ombrellone, la cintura per un caffè?
Oppure trovare un amico che
conosca qualche impiegato di banca che ti permetta di prelevare all’interno dei
loro uffici la somma che ti serve, ma questi sono sistemi per me inconcepibili,
mafia travestita da amicizia, servizi scontati in qualsiasi paese civile che
diventano favori per cui tu dovresti poi sdebitarti con l’amico intermediario e
con gli impiegati dell’istituto bancario che per negligenza o per non so quale
politica dimenticano di rendere funzionante il loro bancomat.
Altra soluzione sarebbe quella di
entrare con un passamontagne, mitraglietta in pugno e fare una rapina: “Dammi
250 euro, tutti in banconote di piccolo taglio e non segnate, subito!”; sarebbe
la soluzione migliore se non fosse che non ho né la mitraglietta, né il
passamontagne, e per procurarmeli dovrei avere dei soldi e poi fa caldo già
senza, figuriamoci con il passamontagne.
Mentre accarezzo il desiderio che
un attentato terroristico faccia saltare in un unico falò tutte le banche del
paese e passi a fil di spiedo tutti gli impiegati superstiti, ecco che lei mi
appare mentre esce dalla porta d’ingresso dell’ultima banca, come la madonna di
Medjugorje apparse a Paolo Brosio per la prima volta.
Un arioso vestito estivo lungo
quasi fino ai piedi, bianco e azzurro, un paio di sandali, una borsa di pelle a
tracolla che viste le dimensioni potrebbe servire anche come valigia per viaggi
brevi, a chiunque meno che ad una donna, uno sfiziosissimo cappello panama
color panna, occhiali scuri modello calabrone, che ti cancellano tutta la parte
superiore del volto, eccetto un triangolino di fronte, il naso, le labbra e il
mento.
Mi riconosce immediatamente, si
toglie gli occhiali così che posso vedere la sorpresa e la gioia di vedermi nei
suoi occhi, mi abbraccia con trasporto, anch’io dopo una lieve esitazione la
riconosco … chi penserebbe che questa splendida donna un tempo era interessata
a me, chi ci crederebbe vedendoci, perché a guardarla così non ci credo nemmeno
io.
“È una vita che non ci
vediamo!”, già, una vita, quante volte l’ho sentito dire, quante vite
interrotte, spezzate, quanti rapporti umani lasciati cadere senza una parola
perché io sono andato altrove, inseguendo altre vite, altri rapporti che nel
momento di partire ancora non conoscevo?
Non sto a raccontarle le mie
vicissitudini col bancomat, sarebbe capace di trascinarmi in banca e muovere le
sue conoscenze per risolvere il problema, voglio solo godermi questo incontro
inatteso senza lasciare che alcuna cosa si intrometta fra me e lei: la invito a
prendere un caffè insieme … qualche spicciolo dovrei ancora averlo, e dopo
chiederò la carità sui gradini della chiesa madre.
Già, ma dove? La piazza è piena
di bar, e io non ne conosco più nessuno, sono diventato un turista nel mio
paese di origine, non mi guardo più intorno come una volta cercando qualche
volto noto, delle persone più giovani di me non conosco più quasi nessuno, sono
per me tutte facce nuove e sconosciute, di tanto in tanto mi capita di
incontrare qualcuno che conosco e che si ricorda di me.
Una volta in piazza non ci si
poteva sbagliare, c’era la Pasticceria Negroamaro, buono il caffè, buona la
colazione, ottimi i dolci di ogni tipo; è stato il primo molti anni fa ad i
piantare in quel paese la migliore scuola di pasticceria della zona, anche
dalla città e dai dintorni venivano ad assaggiare le nostre granite, le torte,
le cassate.
In molti si sono formati in quel
laboratorio di pasticceria, poi hanno aperto la loro bottega personale, e c’è
stato un periodo in cui in qualsiasi posto tu andassi ti saresti trovato
sicuramente bene; adesso Negroamaro in piazza non c’è più, mi dicono fallito,
investimenti sbagliati, cattiva gestione, figli e nipoti non all’altezza dei
genitori, va a sapere, non li conosco.
Anche le altre pasticcerie della
vecchia guardia non esistono quasi più o esiste soltanto il nome, quelle in cui
non potevi sbagliarti, dal laboratorio annesso al bar veniva fuori un odorino
di dolci ed un aroma di caffè celestiale, ti veniva spontaneo fare una pausa
qualunque cosa tu stessi facendo, anche se andavi di fretta.
Oggi dai bar non viene fuori
quasi nessun profumo, o senti quello del vetril che rende splendenti le
vetrine, lucenti il banco e i tavolini … mi guardo intorno un po’ smarrito, sto
per dirigermi in una direzione, ma lei dolcemente intreccia il suo braccio con
il mio e mi guida altrove.
È bello ritrovare persone
piacevoli come lei, è bello godersi alcuni istanti di beatitudine in deliziosa
compagnia, è bello sorseggiare (tre sorsi non uno di più per un siciliano) un
ottimo caffè che è quasi crema e potresti stare anche qualche minuto in attesa
che lo zucchero si decida a scendere nel fondo della tazzina.
Parliamo di tante cose, saltando
di qua e di la, liberamente, senza difese, senza protezione, con un’attenzione
minima al possibile giudizio negativo del nostro interlocutore, cosa alquanto
rara in Sicilia dove l’immagine che gli altri hanno di me è molto importante e
dove essere approvati è più importante dell’essere liberi.
Non provo nemmeno a tentare di
pagare il conto, lei ha già fatto cenno alla donna che sta alla cassa e che è
venuta a salutarla, so già che sarebbe inutile; mi da il suo numero di telefono
personale e un biglietto rigido di colore rosso in cui c’è il nome del suo
locale e una scritta a grandi caratteri: SESAMO, accompagna questo semplice
gesto con: “Vienimi a trovare” e non serve aggiungere altro, so che le farebbe
immensamente piacere se lo facessi.
“Non ti puoi sbagliare … al
chilometro x della statale … subito dopo la curva … la strada che si inerpica …
è enorme ed è la zona più illuminata di tutta la collina …”, queste indicazioni
mi da il mio più caro amico d’infanzia per trovare il posto di cui lei è
proprietaria, poi quasi a scusarsi aggiunge: “Non ci sono mai stato, abbiamo
solo fatto un sopralluogo esterno qualche volta”, così capisco che è un posto
in cui ci si diverte, ed è difficile divertirti portandoti dietro tua moglie e
i tuoi figli.
Non mi sa dire esattamente cos’è,
come potrebbe definirlo, non è una discoteca di antica tradizione, nemmeno una
di quelle enormi che trovi alla Marina di Ragusa, a Rimini o, prima ancora, ad
Ibiza, non è un Night, perché è enorme, non un Resort perché pur avendo le
camere lavora di più con avventori di passaggio che con i residenti, e spesso i
residenti non sono vacanzieri, ma persone troppo sfinite o che hanno bevuto
troppo per mettersi alla guida o, semplicemente, qualcuno che vuole stare comodo
per una notte.
Qualsiasi categoria è obsoleta e
non riesce a definire cosa lei con i suoi soci sono riusciti a realizzare in
quell’angolo di Sicilia, qualcosa che non c’era e adesso c’è; qualche giorno
dopo decido di incontrarla di nuovo, parcheggio in una immensa spianata, tiro
fuori SESAMO da mostrare a quei due pilastri palestratissimi con vaghe
sembianze umane e qualcosa di gorillesco (sta a vedere che è vero che l’uomo
discende dalla scimmia) che presiedono all’ingresso e sono dentro.
Ho la sensazione che uno come me,
con i jeans, la camicia di lino e un paio di scarpe anonime, una volta si
sarebbe detto uno che veste non firmato, oggi non possiamo sfuggire alle firme,
siamo tutti siglati ed approvati da qualcuno, al supermercato vendono calze di
cotone firmate a mazzi da tre in offerta perenne, ma non firmato dai nomi
giusti, non l’avrebbero fatto entrare senza SESAMO… e mi sento quasi Ali Babà.
Ma dove vai senza calzare almeno
un paio di Tod’s ai piedi, senza i jeans e la cintura Dolce & Gabbana, senza
la corona d’alloro di Fred Perry, il giocatore di polo che agita la sua mazza
di bambù in sella al suo cavallo di Ralph Lauren, o il bassottino di Harmont
& Blaine o senza il coccodrillo di Lacoste?
Mi guardo un po’ intorno, è
davvero enorme, ti ci perdi dentro, decido di chiedere a qualcuno e il posto
più vicino è il bar alla mia destra, dico al cameriere (altra denominazione
sorpassata, questi sono barmen, hanno studiato in scuole apposite, inventano
cocktails e sono capaci di servirti impeccabilmente ogni tipo di bevanda; di
comprenderti e di anticipare ogni tuo desiderio molto più del tuo
psicoanalista… e poi questo quasi sicuramente indossa le Tod’s e un paio di
jeans Armani armeno) che la sto cercando, lui mi chiede chi sono, è molto
gentile e professionale, manda la ragazza che è con lui a cercarla, mi chiede
di attenderla li e se desidero qualcosa…sono sbalordito, mi sembra di essere in
Alto Adige e non in Sicilia.
Non attendo molto che lei scenda
dalle scale, come una dea, con un abito scollatissimo e molto lungo, dei tacchi
altissimi e uno spacco posteriore vertiginoso, chi immaginerebbe in questo
momento che questa donna sia la stessa ragazza che ho conosciuto io molti anni
fa in jeans, scarpe da tennis, felpa e giubbotto di jeans sempre aperto?
Mi abbraccia con un sorriso,
intreccia il suo braccio col mio, mi fa fare un giro su noi stessi mostrandomi
con la mano tutto ciò che ci circonda, con l’orgoglio di chi ha creato lei
tutto ciò che vedo, poi mi conduce sopra, per quelle scale da cui è scesa; li
ci sono gli uffici, mi indica, ed è la zona dei tanti salottini privati, per
chi vuole conversare senza essere infastidito dalla musica.
Da alcuni puoi dominare gran
parte del locale, l’ingresso, la pista da ballo principale, la piscina
all’aperto la in fondo, i due bar laterali, altri salottini in basso il
ristorante in fondo, non c’è molta gente, è quasi deserto anzi, ma è ancora
presto se consideriamo che inizia ad affluire gente solo dopo la mezzanotte e
sono appena scoccate le ventidue.
Ci sediamo in un piccolo
salottino centrale, la visuale è splendida, le poltrone confortevoli, tutto
quanto è di buon gusto e ti da subito l’impressione di calore e di intimità,
c’è una punta di lusso sfarzoso, ma mai urlato, mai volgare, quanto basta per
comprendere che non sei in uno dei soliti locali e farti sentire un
privilegiato.
Lei chiama una ragazza e le dice
qualcosa che non riesco a sentire, subito dopo la stessa ragazza arriva con una
bottiglia di champagne e un cestello col ghiaccio, sta per aprirla, ma lei con
un cenno la congeda, si alza ed è lei a far esplodere il tappo e a servirmi
quel nettare in un flûte, poi serve se stessa e brindiamo alla fortuna che ha
fatto incrociare di nuovo i nostri passi … pare piacevolmente impressionata da
questa formula di augurio che mi è venuta, le piace, la ripete come una formula
magica e tintinna nuovamente il suo bicchiere contro il mio.
Mi dice che ha chiesto di me a
tutti coloro che incontrava e che pensava non avessero interrotto i contatti
con me, ai miei più cari amici, tramite loro aveva mie notizie e mi inviava i
suoi saluti, anche a me giungeva qualche eco della sua vita, ma è più piacevole
ascoltarla direttamente dalle sue labbra.
“Volevamo fare qualcosa di
diverso, soprattutto io, Piero X lo conosci vero? Era qualche anno più avanti a
noi al liceo, quando noi eravamo al secondo anno lui era al quinto … si è
laureato in giurisprudenza, suo padre avvocato l’ha quasi preteso, col massimo
dei voti, poi sembrava volersi riposare dallo sforzo e il padre non ha
obiettato, era giovane, era giusto che si divertisse un po’ prima di calcare le
sue orme. Solo che lui è entrato nel mondo del divertimento e c’è entrato per restarci,
conosceva molte persone, era in grado di spostare qualche centinaio di amici il
venerdì e il sabato sera in un locale o in un altro, era simpatico a tutti e a
molti non pare vero di conoscere qualcuno che sappia sempre suggerirti quali
sono i posti più alla moda, quelli che non puoi fare a meno di frequentare,
quelli dove va la gente che conta. In breve faceva il PR e ha continuato a
farlo con successo finché io non gli ho suggerito di dirottare tutte le sue
amicizie in un locale suo invece che in quello degli altri; l’idea gli è
piaciuta ed è anche servita per indorare la pillola a suo padre, che credeva
che PR fosse uno sberleffo e non un lavoro serio, mentre imprenditore e
proprietario di un locale, di una attività, era per lui meno infamante. Maria
Cristina Y, conosci anche lei, testarda, battagliera, determinata, non potevamo
iniziare nulla senza di lei, è sua fin dall’inizio, dall’acquisto del terreno,
l’abilità nel districarsi nella palude burocratica di chi voglia intraprendere
qualsiasi cosa e suo è il buon gusto della scelta di mobili, arredamento, dettagli,
rilievi, particolari di quasi tutto ciò che vedi. Poi, se te la ricordi, ti
verrà sicuramente in mente che quando voleva qualcosa si batteva fino alla fine
per ottenerla, un’ottima qualità che ci ha permesso di risolvere molti
problemi, ma in altri casi se sei da sola non è un problema, se sei in società
devi comprendere che ciò che tu desideri devi farlo diventare una proposta e
non un ordine come succedeva a lei. In alcuni casi Piero ed io le siamo andati
dietro senza fermarla, anche se non eravamo d’accordo, abbiamo perso dei soldi
dietro ad alcuni suoi progetti catastrofici, ma gli affari andavano bene e non
ci hanno danneggiato molto, ciò che era insopportabile era il suo atteggiamento
di imposizione delle sue idee, soprattutto il suo concetto di lusso, lei lo
avrebbe spalmato ovunque come fosse cera, io trovo che il lusso eccessivo dia
l’impressione di distacco e di freddezza, che allontana le persone invece che
avvicinarle. Così lei è giunta alla conclusione che era il caso che iniziasse
qualcosa per conto suo, in modo da realizzare pienamente le sue idee senza
incontrare ostacoli, e ci ha offerto di rilevare e sue quote: adesso Piero ed
io siamo soci a metà”.
Chiunque veda questo posto si
farà l’idea che le persone che l’hanno pensato, voluto e realizzato siano
persone eccezionali, ma non riuscirà mai a comprendere quanto; è praticamente
impossibile per qualcuno che non sia in odore di mafia (che non si tratti cioè
di un modo come un altro per riciclare denaro di provenienza sporca) realizzare
un progetto di questa portata in Sicilia.
Il dialogo fra me e lei scorreva
liscio come quello champagne, eravamo al secondo o già al terzo calice? Lei era
nel suo regno, tutto intorno parlava di lei, era perfettamente conosciuta e
riconosciuta da tutti, dipendenti e clienti, è naturale che fosse completamente
a suo agio, ma anche così non è scontato per niente, a volte tratti di affari
con gente molto furba ed esperta, puoi essere a tuo agio quanto vuoi ma è
meglio stare attenta, altre volte tratti con persone prive di scrupoli che ti
fanno delle proposte che tu devi valutare molto bene prima di accettarle o di
rifiutare, è molto raro e dunque prezioso trovare qualcuno con cui puoi essere
te stessa fino in fondo, qualcuno che conosce in te la ragazza in jeans e felpa
e la sa tirare fuori.
Per ciò che mi riguarda, era una
vita che non frequentavo locali simili, ho perso ogni simpatia per i locali
notturni, eccetto alcuni che fanno della buona musica dal vivo, perché non mi
trovo più a mio agio con i locali molto affollati, con gente dallo sguardo
perso nel vuoto, con l’espressione della disperazione che emerge persino
dall’etichetta di una giacca o di un abito da sera, dalla pessima musica che
trasmettono.
Eppure li stavo bene, non per il
posto certo, non per la musica che fino a quel momento almeno era gradevole (un
funk elettronico molto raffinato), e nemmeno per lo champagne di ottima qualità
(anche se non saprei dire cosa stavo bevendo), stavo bene con lei e riuscivo
persino ad estraniarmi da tutto il resto: avremmo potuto essere su una panchina
ai giardinetti con una birra in due, sulla sella della moto in fondo al
lungomare o in un tratto poco illuminato della spiaggia su un telo da mare, non
sarebbe cambiato nulla.
Ricordo ancora la faccia
preoccupata e divertita insieme del mio migliore amico che mi chiedeva se fossi
cieco, se doveva inoltrare domanda per la pensione per un non vedente o per un
incapace di intendere e volere; che altro doveva fare quella povera ragazza per
farmi capire che era interessata a me?
Veniva già mattina e pomeriggio
nella spiaggia frequentata da noi, lei e la sua amica non si erano mai viste da
quelle parti, prendeva per asciugarsi solo il mio telo da mare, mi trascinava
in acqua quando non volevo, o a giocare a pallavolo, poi si mettevano in
topless (negli anni 80 era molto di moda) seguite immediatamente dalle altre e
la partita diventava davvero uno spettacolo, mi schizzava d’acqua e quella
volta che è uscita dall’acqua e si è distesa completamente su di me che ero
girato di schiena, la ricordavo?
Come avrei potuto dimenticarla,
sento ancora l’acqua gelida in contrasto con la mia pelle che aveva assorbito
il calore del sole, sento l’umido che le colava dal corpo e bagnava anche me,
sento la morbidezza del suo corpo che premeva sul mio, in particolare il suo
seno sulla mia schiena.
E allora, che stai aspettando,
che un’orchestra sinfonica ti faccia
l’accompagnamento musicale? L’hanno capito persino gli scogli ormai che è li
per te. E oltre agli scogli me ne ero accorto anch’io a dire il vero che lei mi
stuzzicava, e in tutti i modi anche, sarebbe bastato prenderle una mano e
stringergliela, o quando mi trascinava in acqua farla cadere su di me, o
baciarla all’improvviso, o qualunque altra cosa mi fosse venuta in mente
all’istante, per unire la sua vita alla mia.
Invece al mio amico, sconcertato
per questa mia seraficità, ho replicato semplicemente: “Non mi piace”, ma senza
tanta convinzione e senza guardarlo negli occhi, lui non riusciva a credere
alle sue orecchie: “Non ti piace? Stai scherzando? Cosa le manca? Ma hai visto
che belle portogalle (portualle) che
ha, non ti viene voglia di accarezzarle, di afferrarle, di stringerle? Credi
che le donne siano tutte uguali, tutte con un seno così? E quando ti ricapitano
belle uguali?
“Non mi piace”, gli ripetevo, “e
non per le portogalle, ha i dentoni davanti che sembra un castoro”.
“I dentoni? – ripeteva lui
esterrefatto - Ma che ti importa dei dentoni, tu non farla ridere”.
Non si dava pace e molto
probabilmente partecipava in prima persona, da amico era contento come se
capitasse a lui se mi capitava qualcosa di positivo, più di qualche volta,
quando era nella facoltà di poterlo fare, mi aveva agevolato in tutti i modi e
io avevo fatto altrettanto, solo che faticava a capire che ciò che lui
considerava positivo o bello non è detto lo fosse anche per me.
C’erano due motivi
fondamentalmente che mi allontanavano da lei e dalle sue portogalle, il primo
che lei era una compagna di classe, e questo era già un deterrente per
qualsiasi rapporto, non accadeva quasi mai che sbocciasse l’amore fra compagni
nella stessa classe e nella mia è successo solo una volta e i due interessati
hanno dovuto attendere dopo il diploma per mettersi insieme e poi sposarsi,
prima sono stati cinque anni a guardarsi a distanza.
Perché la convivenza uccide
l’amore, anche il più solido degli amori quando devi dividere il bagno diventa
guerra, continue battaglie come al risiko per occupare gli sportelli degli
armadi, per non perdere territori, per mettere le tue bandierine su qualcosa
come accade quando a Risiko conquistavi la Jacuzia o la Kamčatka.
I giovani che provano a convivere
prima di sposarsi sono dei folli, così come lo erano i giovani che si sposavano
e mettevano su casa in comune; bisognerebbe abitare ciascuno per conto proprio
e vedersi solo se se ne ha voglia e per appuntamento, e non bisognerebbe mai e
poi mai essere costretti a condividere un bagno con una donna.
L’altro motivo era più banale, la
scuola stava finendo, presto sarebbero “scesi” i turisti, ciò significava
almeno due mesi e mezzo di possibili avventure; io non sono portato per le
storie prosaiche, già quando la temperatura esterna si faceva mite io iniziavo
a fantasticare grandi storie romantiche con esotiche principesse provenienti da
Biella, Alessandria, Busto Arsizio o Abano Terme, che parlavano con accenti
stranieri fra il bergamasco antico e il caucasico. La compagna di classe
avrebbe potuto essere bella e prosperosa come Sophia Loren o Silvana Mangano e
non sarebbe riuscita a trattenermi.
“Ma quando ti ricapitano?”,
insisteva lui col cipiglio di chi ti da un ultimatum; già, quando mi ricapitano
… adesso mi ricapitano, proprio in questo momento, in questo istante, disteso
in questa poltrona, sorseggiando champagne dal flûte che ho in mano, a pochi
centimetri di distanza, coperte, sebbene molto poco, ma perfettamente
intuibili, ci sono le stesse identiche portogalle di più di trenta anni fa, che
respirano come allora, che sono belle come allora, forse anche più belle … lo
sapevo che aveva ragione Nietzsche col suo eterno ritorno.
E mi viene in mente, chissà
perché, quell’estate trascorsa in Camargue in Francia, quando con i miei amici
di allora c’eravamo addentrati fin nel Medoc in cerca di vino, rosso
naturalmente, ma il viticultore presso cui ci eravamo fermati per gli assaggi
volle per prima cosa e a tutti i costi farci assaggiare uno champagne di sua
produzione e tirò fuori tante coppe quanti eravamo.
I miei amici, tutti veneti e
qualche lombardo, si stupirono per la scelta dei calici, ma il francese non se
ne diede per inteso e ci spiegò che la scelta del flûte era per i francesi
sbagliata, era meglio servire lo champagne in una coppa: primo perché il vino
in questo modo poteva sprigionare tutto il suo perlage senza trattenerlo come
fa costretto dentro un flûte, e secondo perché la coppa è essenziale oltre che
per contenere lo champagne, anche come sistema di misura del seno femminile,
essa ne decreta non solo la giusta dimensione, ma anche la giusta forma perché
un seno sia considerato bello.
Suggestivo, certo, ma che ne sa
un francese, e del Medoc perdipiù, di portogalle? Non possiamo davvero credere
che la parola “portogalle” riferita alle arance siciliane più grosse, più belle
e più succose, derivi davvero dal francese: “Pur toi” (portuà), secondo la
leggenda che vuole che i francesi di Carlo D’Angiò regalassero arance alla
popolazione del sud Italia conquistato, accompagnando il gesto con
quest’esclamazione. Semmai erano i francesi a regalare a loro stessi le nostre
arance, e allora la parola avrebbe un senso.
Né possiamo dar credito alla
leggenda secondo cui portogalle deriverebbe dal termine greco πορτοκάλι
(portokáli), che indica l’arancia, perché l’arancio, come tutti gli agrumi di
base (arancio amaro, limone, mandarino), furono importati in Sicilia e nel sud
della Spagna dagli arabi, i greci antichi non li conoscevano e non li
conoscevano nemmeno i bizantini almeno non prima di averli conosciuti dagli
arabi stessi. Dunque, portokalì è quasi certamente il corrispettivo greco di un
termine che preesiste, i greci si sarebbero adeguati ad una parola presistente
traducendola soltanto nei loro caratteri cirillici.
Molto più probabilmente, la
qualità di arance bionde grosse e dolci che conosciamo attualmente, furono
diffuse in tutta Europa dai mercanti portoghesi fra il XV° e il XVI° secolo, le
attuali varietà siciliane del tarocco, del sanguinello e del moro, sono incroci
fra il ceppo arabo e le tarsie portoghesi, mentre il termine portogalla ormai
in disuso, è servito a definire per secoli l’arancia in generale.
Eccole qui le “portogalle”, altro
che “quando ti ricapitano”, tutto ciò che è importante nella vita di una
persona ritorna infinite volte e ciclicamente bussa alla sua porta, certo non
potrei dire che fossero mie, nel senso che non avrei potuto disporne a mio piacimento,
ma già anche allora, tanti anni prima non furono mie, quindi ritornavano
esattamente ciò che erano state, il passato non torna per darti un’altra
possibilità, perché tu concluda ciò che avevi iniziato, perché tu scriva un
finale diverso e più degno alla tua storia, il passato ritorna per ciò che è
stato: ciò che era importante allora è importante ora, ciò che avvenne allora
avviene ora.
Ma in un dialogo libero di questo
tipo c’è spazio perché anche i suoi desideri antichi possano essere espressi, e
non soltanto il mio, al terzo flûte mi dice candida: “Sai, nelle ore di
matematica, quando interrogava, speravo sempre che chiamasse te”, la guardo
sconcertato, tenuto conto che la matematica non era la mia materia preferita:
“Mi volevi così male?”, “No, affatto, è che … come dire … matematica era
l’unica materia in cui ti dovevi alzare ed andare alla lavagna … si, insomma,
mi piaceva guardarti il culo mentre scrivevi … avevi il più bel culo della
nostra classe, forse dell’intero istituto!” … cose così ti lasciano senza
parole, poi abbiamo riso come matti.
Sono andato via subito prima che
il locale si riempisse, uscendo c’era già la coda all’ingresso, con una bella
sensazione di aver ritrovato una persona che ha fatto parte della mia vita
anche se incidentalmente e di essere ritornato in contatto con questa parte
della mia vita che ho sempre considerato superficiale, non importante… vite
spezzate e riannodate altrove, con altre persone…si riannodano all’improvviso e
per alcuni istanti, per riperdersi o per ritrovarsi.
Chissà come sarebbe cambiato il
nostro colloquio di quella sera, il nostro incontro in generale, se allora
molti anni fa le cose fossero andate diversamente, avrei anche potuto
realizzare come era accaduto quella sera che lei aveva un bel paio di
portogalle, ma la constatazione finiva li, perché puoi anche apprezzare un bel
seno se lo vedi, ma nessuna ha un seno più bello della donna che ami.
Non sarebbe stato più soltanto lo
sguardo o il pensiero ad essere ridestati, si sarebbe svegliata certamente
anche la memoria tattile, la memoria olfattiva, oltre a tutta una serie di
ricordi emotivi, i polpastrelli, la coppa delle mani avrebbero rievocato la
pienezza e la morbidezza di quei seni, sarei stato nuovamente invaso dal
ricordo delle zaffate di odore dell’eccitazione, la sua, la mia, la sua sulla
mia, avrei riascoltato l’ansimare unisono dei nostri corpi, avrei forse fatto
il paragone fra quel seno acerbo e sodo e questo che vedevo adesso da donna
matura.
Il tatto conserva memoria di ciò
che incontra, di ciò che tocca, di ciò che accarezza, abbiamo in archivio una
banca dati degli odori, fin da subito, appena venuti al mondo, sapremmo
riconoscere l’odore del seno materno ad occhi chiusi, pure dormendo, e considerando che ciascuno di noi possiede
un odore unico, considerando che i vari stati d’animo mutano il nostro odore,
ciascuno di noi possiede più caselle dell’FBI per schedare tutte le persone con
cui entra in contatto e tutte le loro variazioni.
La pelle conserva memoria degli
eventi, che siano traumi o carezze, ricorda la mano o l’oggetto che gliele ha
prodotte: diversi anni fa ebbi un incidente in moto, stupidamente sul
lungomare, non so ancora come possa essere accaduto, non andavo veloce per
fortuna, sabbia, olio per terra? Fatto sta che una lieve frenata mi ha fatto
slittare la moto, sono caduto pesantemente sul lato destro e, non avendo il
casco integrale, mi sono spaccato il mento che sanguinava al punto che
l’incidente sembrava ben più grave, tanto è vero che mi hanno fatto passare avanti
in pronto soccorso e che mi hanno dato diversi punti per chiudere la ferita.
Ora, a distanza di anni, se mi
lascio crescere la barba, una linea bianca ripercorre l’antica ferita, su quel
tratto lacerato la pelle ricorda e i peli crescono bianchi da allora, in
memoria del trauma subito; anche una carezza lascia il segno, puoi anche
dormire, ma se a sfiorati è la mano che desideri, mugoli di piacere, se invece
è una mano estranea ti svegli …
Ciò che è finito è finito, ciò
che non è mai iniziato non è iniziato, lasciare aperto il finito, riprenderlo
da dove l’abbiamo lasciato, tentare di dare un corso diverso a ciò che è stato
è sempre una follia, è inseguire il “fantasma”, dare consistenza a ciò che non
ha mai avuto sostanza, e non può prenderla adesso dal nulla; i desideri sono
tessuti dai sogni, sono sospesi nell’etere e si nutrono di nuvole e nembi che
si trasformeranno in tempesta.