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domenica 14 giugno 2009

Un critico intermittente

Stamattina mi son svegliato con un'idea: fare il critico militante. Per criticare che? Beh, il mondo com'è e in cui vivo, le cose che mi circondano, per provare a dipanare la matassa di fili che legano la mia esistenza ad altre esistenze, ad altri fatti che non siano miei. Ma ho altresì pensato che per fare il critico militante occorre, necessariamente, un certo impegno e subito sono entrato in crisi. M'è tornato in mente, a proposito d'impegno, un titolo di uno spettacolo di Gaber: «Dialogo tra un impegnato e un non so». E io non so chi sono, o meglio: mi sono accorto che sono solo un misero intellettuale disfatto che ha fatto divorziare, dentro sé, pensiero e azione; sono solo un misero poetucolo pitocco di provincia (allitero bene, vero?) che si è chiuso nella propria fantasia e minima intelligenza e che ha occhi troppo spesso incantati all'orizzonte per accorgersi che sta inciampando; io sono un mezzo uomo che esaurisce la propria vita spirituale dentro l'esercizio di attività intellettuali astratte, a volte remote e prive di qualsiasi nesso con la realtà; io sono uno spiantato, uno letterato che ha provato inutilmente a mettere in pratica la propria passione, ma che ben presto si è accorto che tali passioni è preferibile esaurirle sulla pagina o su questo schermo; io sono un prodotto bastardo del mio tempo: un antifascista naturale, frutto casuale dei geni di chi ha fatto la Resistenza, ma che, tuttavia, non osa resistere appieno per timore della specie da cui spesso e volentieri si vorrebbe allontanare, diventare altro.
Perché io non mi appartengo, non ho alcuna appartenenza. Io non educo, non costruisco, non cerco devoti ammiratori, non fo nulla affinché l'uomo si diriga verso un futuro migliore o diverso. Io mi disfo nelle pagine degli altri, nei pensieri sublimi che tanta parte della nostra storia letteraria (in senso lato) ha espresso. Io vorrei essere solo quel pensiero, quell'intuizione, quel lampo, quel brivido lungo la schiena che ti fa fratello di chi pensa e tiene dritta la spina dorsale dell'umanità.
No, dunque. Nonostante le buone intenzioni io non farò il critico militante. Io mi traggo in disparte, rifiuto l'agone, ho il magone. Io concepisco il mio minimo dovere di esistere solo come spettatore. Certo, avrò occasione ancora d'indignarmi, di aver voglia di prender le armi contro il mare di guai e, combattendo, finirli. Ma sarà solo un grido afono il mio, un soffocato vaffanculo.

domenica 7 giugno 2009

Un sano esibizionismo



Riflessioni a margine di un post di Malvino.

Ma non era questa la vera essenza della democrazia? Ossia, che un giorno tutti i cittadini fossero stati coscienti del proprio potere, della propria uguaglianza, della propria libertà? E di cosa si lamentano questi piccoli servi del potere se non rimpiangere i bei tempi andati in cui un'aristocrazia pensava e rifletteva mentre il popolo bue foraggiava le loro facezie?

Il punto fondamentale è che, bene o male, e salvo rare eccezioni, chi si prende la briga di riflettere, commentare, argomentare, discutere, fare agorà, ossia essere vero cittadino è cosa sgradita al potere, a qualsiasi potere, dacché tale cittadino ha preso coscienza, è uscito dalla caverna, dalla “stalla” e si vuole individuo, si vuole re di se stesso, unica cosa legittima e auspicata nei vari regimi democratici.

Il problema è semmai che ancora troppo pochi cittadini pensano, argomentano, sfruttano le meraviglie dell'alfabetizzazione. Pochi sanno in fondo che chiunque può essere intellettuale, basta lo voglia. Chimici, fornai, commessi, maestri, macellai, spazzini, cineasti, assessori, muratori, medici, informatici, agricoltori, commercianti, industriali, operai, telefonisti, vigili urbani, disoccupati, poliziotti eccetera eccetera: tutti siamo intellettuali, tutti possiamo prendere coscienza di questa possibilità. Basta volerlo. Non si corre il pericolo di essere “esibizionisti” a cercare di pensare. Ci si può anche permettere di pensare a cazzo: questo richiede comunque uno sforzo maggiore che nell'esibirlo come il nostro cugino bonobo.



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domenica 24 maggio 2009

A lume spento

Scrive Starobinski in L'invenzione della libertà [citazione tratta da L. Sciascia, La palma va al nord, Gammalibri, Milano 1982]:

«L'uomo dei lumi, nel momento in cui propugna il diritto di opporsi a qualsivoglia autorità, acquisisce il senso della contraddizione. Da quel momento, può anche succedere che si trovi in contraddizione con se stesso: egli diviene, allora, il primo critico delle idee dalle quali è attratto e delle formule che ama, fino al punto di volere tentare l'esperienza del loro contrario».

Vediamo. Domattina, al risveglio, proverò a essere berlusconiano (o clerico-fascista o ateo-devoto, o leghista - per ora limitiamoci alla prima ipotesi). Fedele alla linea del Capo, entrerò in un bar per un caffè e, ai mezzi sorrisi ironici degli astanti sull'attuale, scabrosa, situazione del mio Principale, replicherò con fare capezzoniano; o bondiano; o bonaiutiano; o ghediniano. Meglio ancora sarebbe se restassi in silenzio, sardonico silenzio, giannilettiano. Poi, al lavoro, ai colleghi e alle colleghe che scuoton la testa di fronte a tanto squallore, ribadirò che è tutta una montatura di Repubblica, della Sinistra, dell'ex-fidanzato comunista; dirò che se Silvio non ci fosse bisognerebbe inventarlo, che se non ci fosse non andrei a votare, che è l'unico che può fare le riforme, che è l'unico che può farci contare davvero qualcosa in Europa, che è l'unico dalla parte degli italiani... La sera, al rientro a casa, andrò in bagno, mi laverò le mani e il volto, mi guarderò allo specchio: sempre che lo specchio faccia in tempo a riflettere l'immagine di me stesso offuscata da uno sputo.

Prosegue Starobinski:

«Sotto questa definizione possiamo collocare tutti gli intellettuali: tutti coloro, cioè, che hanno la capacità, i mezzi e il tempo per tener desta la propria intelligenza. Cosa che comporta non il registrare passivamente, ma piuttosto il "criticare" in forma attiva. Vale a dire: tutti gli intellettuali sono stati, o sono, uomini "dei lumi"».

Sì, domani proverò a spengere quel minimo d'intelligenza che possiedo, per vedere l'effetto che fa.