domenica 31 agosto 2008

In Atlantide c'è salvezza



L'America distrugge la vita, ci conserva la libertà. La Russia distrugge la vita e ci toglie la libertà. La Cina gioca con la libertà che ha ucciso, della vita non importandogli niente potrebbe anche lasciarne un resto. Il Giappone distrugge la vita con l'ansia di un primatista. L'Europa tiene alla libertà in quanto permette la distruzione legale della vita. L'Oriente islamico è il braccio, con ben poca mente, di qualsiasi tipo di distruzione. L'Africa distrugge e si fa distruggere pensando che sia il modo migliore di essere liberi. In Atlantide c'è salvezza.


Guido Ceronetti, Pensieri del tè, Adelphi, Milano, 1987, pag.21-22

sabato 30 agosto 2008

Il supremo imperativo categorico e la vecchia regola aurea



Il principio supremo di Kant, il criterio per giudicare tutte le altre massime etiche, è quello che egli chiama "il supremo imperativo categorico". A prima vista, questo imperativo sembra una versione agghindata a festa della vecchia regola aurea.
Regola aurea: "Fa' agli altri quello che vorresti che gli altri facessero a te".
Supremo imperativo categorico: "Agisci in modo che la tua volontà possa istituire una legislazione universale".
Certamente, l'interpretazione di Kant suona decisamente più fredda. Il nome stesso "supremo imperativo categorico" suona, be', tedesco. Ma qui Kant non poteva farci niente: era tedesco.
Eppure, l'imperativo categorico e la regola aurea condividono parecchio dello stesso territorio filosofico:
  • Non sono regole che riguardano una specifica azione, come "Onora il padre e la madre" o "Mangia gli spinaci che hai nel piatto".
  • Invece, entrambi forniscono un principio astratto in base a cui determinare quali azioni specifiche siano giuste e quali sbagliate.
  • In entrambi i casi, questo principio astratto chiama in causa l'idea che tutte le persone abbiano valore quanto voi e me, e così dovrebbero essere trattate moralmente alla stessa stregua di voi e me... in particolare di me.
Ma c'è una differenza fondamentale tra l'imperativo categorico e la regola aurea. La seguente battuta la coglie in pieno:

Un sadico è un masochista che segue la regola aurea.

Nell'infliggere dolore agli altri il masochista fa soltanto quello che richiede la regola aurea: fare quello che vorrebbe fosse fatto a lui, preferibilmente con una frusta. Ma Kant direbbe che in nessun modo il masochista potrebbe sostenere onestamente che l'imperativo categorico "infliggere dolore agli altri" sia una legge universale per un mondo vivibile. Perfino un masochista lo troverebbe irragionevole.
Considerazioni simili portarono il drammaturgo inglese George Bernard Shaw a riscrivere ironicamente la regola aurea:

"Non fare agli altri quello che vorresti gli altri facessero a te: potrebbero avere gusti diversi."

Thomas Cathcart e Daniel Klein, Platone e l'ornitorinco, Rizzoli, Milano, 2007, pagg. 88-89.

venerdì 29 agosto 2008

Un guscio di noce



Le cose dello spirito sono irreversibili, vanno avanti per la loro strada sino alla fine, sino alla fine della notte. Con le spalle al muro, nell'angoscia delle stanchezze, nel grigio del vuoto, leggete Giobbe e Geremia e tenete duro. Formulate le vostre tesi nella maniera più spietata, perché solo le vostre frasi restano a rappresentarvi e a dare la vostra misura quando l'epoca volge al tramonto e mette fine al canto. Ciò che non esprimete non esiste. Vi fate dei nemici, sarete soli, un guscio di noce sul mare, un guscio di noce dal quale si leva un cigolio di suoni ambigui, un battere di denti nel freddo, uno sperduto tremare davanti ai vostri stessi brividi; ma guardatevi dal lanciare un SOS - prima di tutto non vi ode nessuno, e poi la vostra fine sarà dolce dopo tanto navigare.


Gottfried Benn, Pietra, verso, flauto, Adelphi, Milano, 1990, pag. 103

giovedì 28 agosto 2008

Un segno (ovvero, io sto con Malvino)



Eppure basterebbe un gesto, una parola in senso contrario per riportare i propri passi nella giusta direzione.
Io credo che Cristo non approverebbe alcuna parola di ciò che il Papa, suo primo (si fa per dire) rappresentante in terra, dice.
Anche questa è un'occasione perduta, un modo per andare contro il Verbo.
Saranno piccolezze, lo so, saranno questioni collaterali. Eppure.
Eppure mi sembra che questa ri-sacralizzazione del Vangelo, questo rivestirlo d'identità, di appartenenza, di confini, di margini sia un andare contro l'autentico messaggio cristiano.
Io vorrei capire dov'è l'amore nelle parole del Papa, dove il disarmo unilaterale e incondizionato, dove la crocifissione, dove l'ignudarsi definitivo e il ritorno al Figlio dell'Uomo. Troppi, troppi paraventi, troppi interessi, troppe truppe da sfamare e dissetare, troppi che ancora chiedono un segno. Sembra d'essere a Siviglia, ai tempi del Grande Inquisitore.
M'ero illuso, nel corpo e nel volto di Giovanni Paolo II, nella sua sofferenza ostentata, mediatizzata, universalizzata, che la Chiesa fosse nella strada giusta.
Non è stato, non è così. Questo Papa, se avesse un esercito tipo quello russo, avrebbe già invaso il Trentino Alto-Adige, altro che discorsi.

N.B.
Ringrazio Malvino per la segnalazione e per la richiesta di un segno, il suo sì, un segno buono.

mercoledì 27 agosto 2008

La soglia della maturità



Installarsi nella povertà come in un campo di attività nuovo, con l'ardore e la curiosità ingenui del debuttante, richiede molto meno coraggio di quanto molti giovani borghesi non immaginino (...)
Ho pensato più di una volta che potrebbe essere utile descrivere la mia esperienza d'intellettuale disoccupato; che potrebbe essere utile mostrare come si possa uscire dalla città dove si fa "carriera", senza uscire dalla vera vita; e che si può vivere con molto poco senza cessare di vivere pienamente (...)
Ho appreso lentamente ad amare la mia vita, e credo proprio sia una disposizione d'animo ch'essa gradisce. Non che mi ripaghi con una profusione di sorprese: ci sono poche avventure nell'esistenza di un uomo che cerca di possedersi, piuttosto che di sfuggirsi nelle casualità (...)
Non spero più, come a vent'anni, d'incontrare la "realtà" o la "vera vita" in non so quale imboscata del destino, come a dire nel folto di un bosco. Io credo che la realtà è a portata di mano,e non si trova che lì. Si tratta allora soltanto di assicurarsi la presa di questa mano. E' il compito di una certa pazienza, o di una impazienza dominata - e senza dubbio soltanto la povertà poteva utilmente obbligarmici.
Non che io rifugga il rischio. Credo di aver praticato non poco di quello che mi attendeva qui. Ma il rischio autentico e fecondo è quello che non si cerca come una risposta al proprio tedio - e bisognerebbe dire paura - di vivere. Questa maniera romantica e tutto sommato vanitosa di tentare il destino "per vedere", che è la maniera di chi ama la vita intensa, tradisce, credo, compiacimenti assai banali. E il destino risponde a queste sfide, anche quando sono geniali, con enigmi ironici. In fin dei conti, Don Giovanni non comprende nulla delle donne, mentre Napoleone muore ingannandosi sul senso della propria epopea.
Ecco forse il grande rovesciamento che segna la soglia della maturità: è il momento in cui si scopre che il mondo non riserva altre risposte se non quelle che si ha il coraggio di fornirgli. Che non bisogna attendersi nulla se non ciò che gli si può arrecare. Che infine le sole domande reali sono quelle che l'esistenza ci pone, e in nessun modo quelle che noi ponevamo per evitare di rispondere al presente.

Denis de Rougemont, Diario di un intellettuale disoccupato, Fazi, Roma 1997 pag. 113-114

martedì 26 agosto 2008

feulleitton a uso privato



Salgo sulla metro e, dietro di me, sale anche una signora coi pattini in linea e una bambina, anch'essa attrezzata di rotelle e di una carrozzina.
Sono seduto e la metro parte, la donna perde l'equilibrio e cade di schianto tra le mie braccia. Proteggo a fatica lo stomaco e le parti più basse, ed una spontanea madonna m'esce di bocca. Per fortuna siamo a Losanna e nessuno mi conosce e, forse, nessuno capisce. La signora s'affretta a scusarsi; io accetto le scuse e dico: "Si figuri, càpita a tutti di sbilanciarsi e di cadermi sulle palle. Sapesse quanto gente c'è che mi sta sulle palle", continuo, risentito del mondo e del tempo che non faceva altro che piovere. La signora capisce e non capisce il mio stentato francese; comunque comprende il mio stato d'animo e m'offre un caffè da Manora. Prima però, dice, deve accompagnare la figlia al corso di danza; mi chiede se ho la pazienza di aspettarla cinque minuti al bar restaurant all'ultimo piano del centro commerciale. Sì, ce l'ho la pazienza, rispondo. E m'avvio.

(continua)

lunedì 25 agosto 2008

dieci maggio duemilauno



Riflette la mia ombra sul cuscino
la tua ingombra sete di divino.
Giusta causa fu quella di dirti:
Bella, dimentica tutto, voglio rapirti.

Ti porterò su valli diagonali
ad inseguire vita tra i vitigni
e poi su laghi demaniali
a guardar danzare cigni,

cormorani, fenicotteri, strani
aironi, battelli pieni di bandiere.
Vedi: cime innevate; senti: lontani
spari, sassate, museruole nere.

Dei cani uccisi non v'è più traccia.
Non c'è che dire, altro occorre
che disperarsi e far che tacciano
i denti aguzzi di colui che corre

a più non posso e non si ferma
davanti a perdute strade dove ti persi
e dove stringe gole l'ignobile caserma
quando io, tu, gli altri non più diversi

saremo, ma resi disfatti simulacri
d'essere, assetati senza teste,
sepolcri imbiancati e scarni e magri
tagliatori infaticabili di foreste.

Non so più che dirti, solo: ferma, più
non muovere il desiderio infausto
di privilegiare il belzebù
di dare ascolto a questo esausto

rimatore che non trova
serene immagini per descrivere
il perverso disfarsi dell'alcova
del mondo dove tocca vivere.

domenica 24 agosto 2008

Il mio cuore ha le mestruazioni



Lo riconosco francamente: il mio cuore ha le mestruazioni. Tardive e dolorose mestruazioni della mia ebraicità... Il signore che vi vedete passare accanto, spettabili dame e signori, quel signore sui cinquant'anni, in vestito grigio, con occhiali dalla montatura metallica, bastone e stella gialla (che però non vedete, perché la nasconde sotto la sua cartella), quel signore, ecco, ha le mestruazioni. Per favore! Signori giudici, il mio cuore ha le mestruazioni. Deviazioni biologica come incarnazione del principio ebraico, femminile. Notizia sensazionale per i giornali: un signore brizzolato ha i dolori mestruali! La cosa più interessante è che si tratta di un uomo in perfetta salute fisica (a parte un leggero raffreddore), di un uomo nel quale non si è osservata la benché minima alterazione della funzionalità ghiandolare e ormonale. Mestruazioni maschili? No. Principio femminile portato alle estreme conseguenze. Fiore mensile del cuore. Seme di morte.
Weltschmerz.

Danilo Kis, Clessidra, Adelphi, Milano, 1990, pag 64.

sabato 23 agosto 2008

Il pappagallo azzurro



Il pappagallo azzurro rimbalzando
tra i rivoli e tra i sassi dell'acquitrino
spicca volo improvviso al tentativo
mio d'afferrarlo - il senso - e un giacinto
disteso sull'asfalto contrasta
la molle poltiglia spiaccicata, il midollo
di lumache senza casa spietatamente
uccise da ingordi pneumatici
sospinti da mefitiche marmitte catalitiche.

Tu credevi ormai fosse possibile rendere
Grazie alla téchne e all'evoluzione,
oppure bestemmiare questi salti supposti
in avanti, dietro riflessi di frasche splendidi
di acacia - zac! - interrotti, passa lo scooterino
che spande bruciate promiscuità d'olio
e benzene; le vene mie gioiscono tripudio
e grida che il bosco riceve come pioggia
che picchia e s'assorbe dentro il muschio.

Ma cosa, dimmi, cosa questo teschio d'uomo
persevera col suo aspettare sereno domani
che stringe la respirazione di gole sature -
nessuno che si prometta domani l'altro
di campare campane in funzione di festa
anziché il sordo suono del morto che spezza
qualsiasi ebete sorriso si stampi sulle sicurezze
da contocorrente, antifurto, doppia pensione -
e un ferro da stiro ti si pianta nel collo, imbecille.

Fanno, domani, settecentoventottomilasettanta
giorni dopo la venuta del Vero eppure ancora
fatica a penetrare la Grazia e la Sapienza
in questi cuori ormai pronti a tutto purché possa
essere premuto col telecomando e posto sul video
il messaggio e il massacro che da un comodo sofà
vengono metabolizzati con rutto digestivo.
Sì cara, porta un'altra alka seltzer. No,
non ti preoccupare, lo tiro io lo sciacquone dopo.

In via Aghenolfi, all'angolo con via Ferriera
un'estemporanea discarica riflette l'approdo
di questo genere cui anch'io, sereno, faccio
parte, e fiducioso d'essere riciclato in maniera
differenziata: anima, capelli, avambraccio
destro, il sesso canterino, occhi eccetera
sì che nessun gabbiano grasso in primavera
possa spilluzzicare carne e ricordi del transito
d'un io affaticato in attesa di compimento.

Eppure c'è vicino, lo sento, tra quei vetri rotti,
materassi, lattine arrugginite, escrementi, bucce,
assorbenti, cartoni sfatti, cibi avanzati, cerotti
sanguinolenti, briciole di catrame, letame,
cascame e il puzzo che ammorba e respinge
il fuoco della cosa che il bambino cercava attraverso
il verso che faceva acqua, fochino, fochetto.
Ecco, nonostante il freddo settembre che tinge
d'umido il terreno, qui ci si brucia.

Dietro il proprio Volvo rosso un paesaggista
straniero itinerante completa il cassero
tra i cerri nascosto e del campo arato
finge un prato; su in alto, l'alfabeto
dei gracchi suggerisce rime a me
rivolto a percepire prospettive. Un passero
col suo trillo manifesta il suo esserci:
tutto questo come non può piacermi mentre soffro
di automobili domenicali velenosi spruzzi?

Il regista dei sogni questa sera ha girato
una scena speciale ricostruendo, nei minimi
dettagli, la stoffa fiorita del divano sul quale
abbiamo confuso speranze e speso tempo bene
come mai avremmo immaginato di fare, amica.
Ti volti leggera inclinando la mandibola
e il chiaroscuro lascia spazio al piccolo
brufolo maturo, frutto di grassi vegetali,
serpenti industriali di digestione faticosa.

La rosa nascosta dai lussureggianti gialli
e bianchi crisantemi che il nostro simbolismo
scialbo ha relegato alle nostre ossa - la rosa, dicevo,
di serra boccheggia e trasuda pesticidi:
cinque franchi pesanti di cellophane per darti
un segno, un senso melenso di affetto quando
meglio sarebbe stato porgerti un tarassaco,
due foglie di malva, l'ortica, il gelsomino.

Una trappola, un volo, un salto improvviso,
un'uscita nel nulla. E mi dici parole senza
costrutto e pudore. Sai che il vuoto produttivo
e l'orgoglio dello sviluppo acceca e fa brutto
tutto intorno e rende secco e deserto - tace la scienza
schiava e costretta, appiattita dal capitale
mai più libera forse di slanci verso dolci
stelle, là dove l'occhio supera la cupa coltre
e tocca il nero e il blu tersi del firmamento.

Ci volevano diversi, forse, e più pronti a garantire
continuità d'intrapresa e sempre maggiore profitto
per piscine, aeroplani, orologi, cabriolet.
La moltiplicazione dei minuti si riduce a un vago
rincorrere marche in zeppi scaffali e vetrine.
Ma dimmi, sei sicuro che consumare sia l'essenza
della nostra vita? Non conosci quella fonte
minima che zampilla tra felci e cavolacci,
tutt'ombra e frescura, del Coleottero?

Sai perturbare la mia mente ossessivamente,
pioggia, che riempi i fossi e scrosci forte e le acque
fai marrone - e senza, no, di te non si può stare.
Apprezzo poi l'azzurro cristallino screziato
soltanto da alcuni baffi di nubi sfilacciate. Potrò
mai perdonarmi di non aver collezionato,
dipinto i miei cieli esclusivi, i miei tramonti,
raccontato questo mio passaggio a pie' de' monti
reso merto all'Essere com'altrui piacque?

Avrei dovuto volgere altrove lo sguardo
per catturare la scia dei colori di farfalle
istigatrici di tristezza e oscillazioni
e perpetue indecisioni sulla petraia.
E pongo un problema: può l'uomo vivere
senza i contorni dell'orizzonte, senza
punti di riferimento, agganci spaziali, solo
nel freddo siderale di una nebbia perenne
nell'assoluto silenzio che tamburo fa del cuore?

Incerti eudemonologi stasera hanno discusso
intorno al modo migliore di raccontare
come si è stati felici - fascino universale, lusso
temerario che pochi si permettono, happy few
dinamici a ripensare il fondamento - dici
che sbaglio? Accontentati di poco, credi:
sotto i portici non protette fedi
continuano il cammino verso uno zenith condiviso:
ché non si può esser felici se non si può cantarlo.

Perduto miele


Parto.

Vado con testa d'asfalto

a girare per vigneti e per porti

a comprare piscine e aeroporti

isole nude nel mare dei morti.


Viaggio,

insieme a madre coraggio

a visitare brughiere e madrasse

casomai anche in me si sviluppasse

un indispensabile amore di masse.


Torno,

senza rinoceronte, senza corno.

Di trofei vinti nemmen uno;

e tutti a dirmi che non son nessuno;

ma non m'accorgo di quanto son digiuno.


Rimango,

in attesa di non so che e piango;

piango insieme alle api e al perduto

miele, al nostro vedere muto

che non va più oltre di uno sputo.

mercoledì 20 agosto 2008

La letteratura è nata quando...



La letteratura non è nata il giorno in cui un ragazzo, gridando al lupo al lupo, uscì di corsa dalla valle di Neanderthal con un gran lupo grigio alle calcagna: è nata il giorno in cui un ragazzo arrivò gridando al lupo al lupo, e non c'erano lupi dietro di lui. Non ha molta importanza che il poverino, per aver mentito troppo spesso, sia stato alla fine divorato da un lupo. L'importante è che tra il lupo del grande prato e il lupo della grande frottola c'è un magico intermediario: questo intermediario, questo prisma, è l'arte della letteratura.
La letteratura è invenzione. La finzione è finzione. Definire una storia una storia vera è un insulto all'arte e alla verità. Ogni grande scrittore è un grande imbroglione, ma lo è anche quella superimbrogliona che è la Natura. La Natura imbroglia sempre. Dal semplice imbroglio della propagazione all'illusione prodigiosamente raffinata della colorazione protettiva delle farfalle e degli uccelli, c'è nella natura un meraviglioso sistema di magie e di trucchi. Lo scrittore di storie inventate non fa che seguire la guida della Natura. (...)
Sono tre i punti di vista dai quali si può considerare uno scrittore: lo si può considerare un affabulatore, un insegnate o un incantatore. Un grande scrittore associa in sé queste tre qualità: affabulatore, insegnante e incantatore; ma è l'incantatore che predomina e ne fa un grande scrittore.(...) I tre aspetti del grande scrittore - magia, narrazione, lezione - tendono a fondersi in un'unica fulgida immagine, perché la magia dell'arte può essere presente nell'ossatura stessa della storia narrata, nel midollo stesso del pensiero. (...) Una buona formula per misurare la qualità di un romanzo sia, alla lunga, una fusione tra la precisione della poesia e l'intuizione della scienza. Per godere di quella magia un lettore accorto legge il libro di un genio non con il cuore, e neanche tanto con il cervello, ma con la spina dorsale. È lì che si manifesta quel formicolio rivelatore, anche se leggendo dobbiamo rimanere un po' distanti, un po' distaccati. Allora, con un piacere insieme sensuale e intellettuale, guarderemo l'artista costruire il suo castello di carte e il castello di carte diventare un bel castello d'acciaio e di vetro.

Vladimir Nabokov, Lezioni di letteratura, Garzanti, Milano, 1982, pag. 35-36

lunedì 18 agosto 2008

Walking man



Lotto con la realtà, tengo duro:
ho la sostanza in pugno, la cosa
in sé che mi punge, che mi spinge
a cercare me stesso nel mondo, nel puro
orizzonte, nel petalo smorto di rosa
come un piccolo Edipo davanti alla sfinge.

E col sangue del dito dipingo
il profilo di un autoritratto corroso
su umide, scalcinate mura.
La difesa migliore diventa l'abiura
di se stessi, il negarsi riposo
il gettarsi nel mondo, da ramingo.

Allora comincerò


Nicolas Poussin, Paesaggio con uomo ucciso da un serpente, Londra, National Gallery

Allora comincerò come mai fosse stata mattina
prima di questa. Mattina che annunziano
bella su tutta Europa e che scalda di raggi
la guancia e questa pagina. Comincerò
una composizione che ignoro. Anime sante,
poeti e parenti, onorati e inonorati, voi
che le catene avete solo in sogno spezzate
(e sempre piangendo di averle spezzate ma
solo in sogno) monumenti venerabili e amati
e voi, nonni e antenati, rattrappiti nei colombari
che aveste il tempo della vita intero
per domandarvi che cosa mai fosse perché
voi e perché non voi e le bestie perché
e perché il sogno spaventoso dello scuoiato,
voi tutte queste sillabe aiutatele
che accecato un nipote compone
prima della sua fine
con quelle imprendendo già tronca un'azione
come chi per incerto cielo parte
e seppure confidi che gli aerei furiosi
alla scala casalinga vorranno restituirlo,
può trapassarlo il fuoco, precipitare urlando
e tutta lasciare in disordine la sua stanza sbalordita. E ancora:
il clamoroso parlare, la lingua sonora
degli italiani non potrà aiutarmi.
Da quanti anni sappiamo, no? che una rosa
non è una rosa, che un'acqua non è un'acqua,
che parola rimanda a parola e ogni cosa
a un'altra cosa, egualmente estranee al vero?
Bravi filosofi, menti necessarie e voi quanti
negli istituti di ricerca del mondo poderoso
ai mattini d'inverno dopo l'ora di tennis
fissate i tabulati, le analisi, le statistiche lucenti
la cultura dei batteri, il restauro degli argenti,
ah nulla potete insegnarmi
che io già non sappia, anche parlaste ore e ore.
Non è onnipotenza questa mia, è pianto di rabbia.
Neanche per la mia ignoranza domando scusa,
non c'è né colpa né scusa.
Almeno una immagine, una visione sabbatica,
queste cadenze miserabili animasse!
Ma no, senza conoscenza né buona coscienza,
senza teologia, senza arte manuale
e nemmeno poesia, sebbene più ilare
che triste, più ansioso che sazio, più indistruttibile,
anche nella stanchezza di tutto il vissuto secolo,
mi avvio veloce verso il mio rancore.
E chi aprirà i vecchi miei lessici e legga
le carte soffiando via la polvere, almeno
abbia un giusto scuotere del capo, il capo alzi, guardi
se la mattina è acuta, esca.

Franco Fortini, Paesaggio con serpente, Poesie 1973-1983, Einaudi, Torino, 1984, pag. 102-3

N.B.
Leggere a voce alta la mattina appena alzati, prima di colazione, volgendo lo sguardo in direzione di Strasburgo.

venerdì 15 agosto 2008

Versi improvvisi sulla dignità dell'uomo


Marco Miceli "PAPERO", 1999
olio su tela cm 200x210

Di me lasciare una parte
da parte, in un angolo, sola
messa in letargo per una mezz'ora,
che dopo corra da sola
staccata, dopata sdoppiata da me
e faccia dell'altra una parte di poco
più vecchia, più pronta, più saggia
che il vento sorprenda e la pioggia
massaggi. Una parte svincolata
tenuta segreta, in disparte, che parta
alla riconquista di se stessa,
del proprio brodo di cultura;
che diventi spazzatura, massa compatta
che bruci lenta in stufe moderne
di pellets, tutta dimezzata
con una palla isolata, sperduta
nel "viavai frenetico degli incontri"
disse Kavafis "e degli inviti".
Una parte che si salvaguardi
e dell'altra invece farne "una stucchevole
estranea", continuò Costantino.
E' bello far poesia su stessi
in free-jazz, dimezzarsi, dividersi
ricomporsi chissà come con che faccia
rompicaparsi alla Rubik e non risolversi,
restare impigliato nel caso
per far capire, a chi crede d'essere il centro
del creato, la presunzione sfacciata,
e smontarla: più poni Dio a etichetta
più sparisce, più lo nomini più si nasconde
più lo credi più si scansa e rimanda
a domani risposta a domanda,
più lo rincorri e più scappa
più ti sembra d'esser lì vicino per averlo
più si scioglie nel burro del mistero latteo.
E tu pensi, o cardinale, che davvero
tutto sia stato posto per noi e noi per Lui?
O tu pensi questo per confermare soltanto
il tuo potere, il tuo oberato operato?
Sciogliti anche tu, impadellati, due colpi
di polso e sei nel piatto del fedele
che aspetta che tu dica di esser al servizio
del Vero per crederti degno intercessore.
Cardinale mio cardinale, fammi un favore, un favore
da dimostrazione: dimettiti, ritorna un normale
uomo di mondo, mondato d'ogni vestigia,
parti per un nonluogo e dimenticati di te stesso
chi sei stato, da dove vieni, dove vai, così
qualche giorno per gioco, per vedere l'effetto
che fa, senza fare peccato, per carità,
solo per prendere una parte diversa,
una parte un pochino in minore
di quella sfarzosa attuale, un po' meno comoda,
ma non tanto; prova su, t'invito a diventare
uno qualunque fuorché ciò che sei.
Vedrai tutto da un'altra angolatura
e se la nuova prospettiva guadagnata
ti confermerà d'essere al centro, guardati
bene intorno e in alto, e vedi se non ci sarà
nessuno che si metterà a ridere.

Ringrazio Ivo Silvestro per la suggestione offerta dal suo post

giovedì 14 agosto 2008

Primacy of Matter over Thought


Man Ray, Primacy of Matter over Thought, 1929
Baltimore Museum of Art.

Vorrei distender le braccia
lì, dentro, metter la faccia;
la faccia, che stanca ripiglia
il pallore di luna vermiglia;
e la sete d'incanto sparisce,
la fame ritorna e lenisce
ferite del chiuso ritorno,
dell'uomo che rifiuta il giorno,
nel giorno che chiama la notte:
che i pensieri vengano a frotte
e si sciolgano nel lago del cuore
e il sonno, col sogno, riporti l'amore:
quell'amore che mi ha visitato
vestito d'incanto di seta di fiato
di bosco di azzurro di volizione,
di continua presenza e pulsione;
nell'incrocio del battito che aumenta
l'unione dei cuori in tormenta
che cercano solo quello che sono:
uno più uno ripetuto al perdono
di non riuscire a essere l'altro
a scommettere il volto nel salto
a lanciarsi nel vuoto indistinto
a tenere il cuore repleto e respinto.
Non c'è posto nelle vuote mie tasche
solo uno spazio per logore maschere.

domenica 3 agosto 2008

vacanza nel Vaud


Me ne vo nel Vaud,
in vacanza per un po'
tra i vigneti del Lavaux
dieci, undici giorni; poi tornerò.

PARTENZA PER IL VAUD

Nuovi i tuoni, nuovo l'emigrante:
e non mi so decidere a partire
per voi alberi zolle e declivi,
per voi mie piccole nozioni.

Là germina la selva di molti uccelli,
la pioggia, paese ignaro, mi sta di fronte,
la resurrezione dirada le nevi di marzo,
è la stanza alitata dalla calce.

Ah, più volte l'aurora in sé confuse e spense
col sopore del domani le partenze tentate,
ha una campanella ogni sera il cimitero,
con lei le mie sorelle m'accarezzano.

Riposo potrò chiamarti, cielo? E vento
te, piangere concorde di pendici e di liane
verso il freddo Montello, parallele
ombre e certezze della mia giornata?

Giace il fardello, tu sei già, remota
nel marzo che t'invola, oltre le siepi,
ed il sole non è più che la viola
lacrimosa che tace nel bicchiere.

Andrea Zanzotto, Elegia e altri versi, Le poesie e le prose scelte, Meridiani-Mondadori, Milano, 1999.

sabato 2 agosto 2008

Il kuce



Le care donne colsero così il salubre respiro del marito o del confidente, con il pensiero al kuce. Nel gioco pareva loro che fosse il kuce a governarle. Il kuce, il kuce in pelle e in siringa di Zefirino. Quel forte despota era il kuce. Lo Zefirino magrolino e' prestava la materialità dell'amore, ma l'empito vittorioso e' protuberava da Colui "che aveva insegnato agli italiani ad essere uomini", il kuce! detentore de i' barile unico e centrale dello sperma. Come gli orologi elettrici in ogni canto di strade sono mandati e sincronizzati da una centrale modulatrice (secolei per non veduti fili coavvinti), così esso il kuce e soltanto esso il kuce, per tutti i talami e i divani letto e i lettucci e le piazzemezzo e le sponde e le prata dette pratora e i camporelli detti campora d'Italia, era lui vitalizzare messer Mastro Pùngolo alle sue sfruconanti bisogne, alle più efficaci bisogne. E talvolta, bastava il sogno, la imago. Le più pazze, le più prese dalla imago, non bisognavano marito, né ganzo, né drudo. Checché. Gli bastava la Idea, la Idea sola della Patria, e del kuce. Gli bastava imaginare il kuce nell'atto di salvar la Patria per sentirsi salvate e pregne anche loro in compagnia della Patria. Una di codeste pazze riuscì a fare un figlio: col ritratto del kuce. Ed ebbe il pupo, al nascere, le quadrate mascelle del Mascellone, tanto che lo ricovrarono al Cottolengo. Dove il mostriciattolo pisciò, cioccolattò, crebbe e proferì apoftegmi: in tutto simili a quelli del Padre.

Carlo Emilio Gadda, Eros e Priapo, Garzanti, Milano, 1990, pagg. 63-64.
(N.B. Chi fosse interessato a leggere i primi tre capitoli di questo formidabile libro può velocemente reperirli qui)

Memento olimpico


È sempre stata attribuita allo sport, in ogni epoca e soprattutto da ogni governo, un'importanza grandissima, per la buona ragione che lo sport intrattiene e obnubila e rimbecillisce le masse, e in primo luogo le dittature sanno bene perché sono sempre in ogni caso favorevoli allo sport. Chi è per lo sport ha le masse al suo fianco, chi è per la cultura ha le masse contro, diceva mio nonno, e per questo tutti i governi sono sempre per lo sport e contro la cultura. Come ogni dittatura, anche la dittatura nazionalsocialista è diventata potente e quasi padrona del mondo servendosi dello sport di massa. In ogni epoca e in tutti gli Stati le masse vengono accalappiate mediante lo sport, e non c'è Stato che possa dirsi così piccolo e insignificante da non sacrificare tutto allo sport.

Thomas Bernhard, L'origine, Adelphi, Milano 1992, pagg. 63-64

venerdì 1 agosto 2008

Non posso



Non posso né distruggere né ridere
né incidere figura o cosa. Aste
sopra i tetti, crociate e nere in queste
mattinate e le donne che a una a una
aprono le persiane sulla corte,
si pettinano, strusciano ciabatte,
battono disperatamente forte
tappeti a schianti regolari e scatti.
Non posso né odiare né indicare.
Non ha senso per noi ora fissare
quella donna già stanca che spolvera in pace
i suoi mobili e allaccia la cartella
al suo bambino che si avvia e lo bacia.
E come in lei tutti i destini abbagliano,
tutti in un solo precisi e feroci!
Non posso nulla. Lasciano le croci
a matita sui margini dei libri
i miei simili. Scherno è lo schernire,
morte il morire, degna d'ira l'ira,
e il solo mutamento è questo verso
che va e viene, ripete, in sé diverso
ed eguale, monotono, cadenze
immotivate, grigie danze, assenze
secolari ma rode di pietà
la pietra della morta realtà.

Franco Fortini, Un'altra attesa, 1958; da: Una volta per sempre. Poesie 1938-1973, Einaudi, Torino, 1978, pag. 205