Potrei spiegare seriamente perché non mi convince il “
saggio realismo” di Ernesto Galli Della Loggia sul problema dell'immigrazione, ma mica sono pagato per fare il serio.
«L’ondata migratoria che sta arrivando sulle coste italiane è il fenomeno potenzialmente più dirompente sul piano sociale e politico che il nostro Paese si trova ad affrontare dopo il terrorismo. Esso riguarda sì l’Africa e l’Asia ma riguarda innanzitutto l’Italia, l’Italia che non fa figli. Degli immigrati noi abbiamo bisogno: altrimenti nel giro di pochi decenni la nostra economia si fermerà, e saremo condannati a divenire una società di vecchi poveri, senza pensione, isterilita, priva di energie vitali, di creatività. La demografia non è una favola, è una scienza: senza l’immigrazione ci avvieremmo ad una lenta ma irreparabile scomparsa. Quanti dei nostri concittadini ne sono consapevoli?»
Credere che «la nostra economia si fermerà» perché gli italiani non figliano, è non capire un cazzo di demografia né tantomeno di economia: basta confrontare il
tasso di natalità con il
tasso occupazionale (divertitevi a cliccare sui tassi di occupazione e di disoccupazione) per comprendere certe cose, come ad esempio il fatto che quei pochi giovani italiani che hanno superato il vaglio della denatalità sono massimamente disoccupati.
«Noi tutti vogliamo invece che l’Italia viva. E che lo faccia restando il Paese che conosciamo e che si è costruito nei secoli della sua tormentata e lunga storia. Vogliamo legittimamente, insomma, restare italiani.»
Il passaggio dal restare umani al restare italiani rivela la caratura internazionale del Nostro Pollitologo. Sono i pregi di chi è affetto da saggio realismo. Io che, da par mio, sono uno stolto idealista, spero che l'Italia muoia con tutte le altre nazioni, sì come Sansone con tutti i Filistei e che del mappamondo s'abbia solo la parte fisica. Niente cittadinanze, solo terrestrità.
Nella restante parte d'articolo Ernesto Galli Della Loggia spiega perché, a suo avviso, la sola maniera per affrontare il problema dell'immigrazione è di attuare una seria (e dài!) politica di «integrazione senza sé e senza ma» tuttavia adottando precise e inderogabili «misure prescrittive». Ne espone tre:
«1) la cancellazione delle attenuanti e l’istituzione di un percorso giudiziario accelerato per quei reati che con più frequenza vedono coinvolti gli immigrati (in modo di arrivare in breve tempo alla sentenza ottenendo così il necessario effetto dissuasivo); 2) il divieto di usare una lingua diversa dall’italiano nelle funzioni religiose, tranne evidentemente per il testo delle preghiere e dei libri sacri; 3) infine, il divieto che in un qualunque edificio più della metà delle abitazioni siano stabilmente occupate da persone prive della cittadinanza italiana .»
Che serietà. Eppure, credo, che per attuare simili misure, occorrerà molta spensieratezza. Per esempio, 1) redarre un codice penale parallelo dedicato specificamente agli immigrati bricconi; 2) oltre agli imam che gorgheggiano arabo in ginocchioni verso La Mecca, arrestare tutti i preti che osano dire la messa in latino; 3) trovare una soluzione per Prato che, d'improvviso, per parificare gli edifici abitati da famiglie cinesi, occorrerà trasferire, nell'operosa città toscana, metà popolazione del Molise.
Successivamente, il professore affronta la «questione cruciale della cittadinanza» e per risolverla propone le seguenti soluzioni:
« Andrebbe innanzitutto affermato il principio che se si nasce in Italia si è per ciò stesso italiani (i problemi di doppia cittadinanza si possono risolvere con il buon senso), e che dopo cinque/sette anni di residenza legale si può acquistare la cittadinanza previo un esame di lingua e di cultura italiane. Per il resto, dopo tre anni dal primo ottenimento del permesso di soggiorno, questo dovrebbe essere rinnovabile solo dopo un analogo esame. Dopo di che si ha diritto all’elettorato attivo e passivo per i consigli dei Municipi delle grandi città e per quelli comunali nei centri inferiori a ventimila abitanti.»
Ius soli: e vabbè.
I problemi di doppia cittadinanza, a mio avviso, si risolvono meglio con il buon sesso.
Cinque/sette anni: va precisata la fascia di età degli immigrati in questione, giacché se costoro sono in età scolare, e frequentano regolarmente la scuola pubblica, non ha senso prevedere per loro un esame di lingua e cultura italiane. Per il resto di immigrati che, dopo cinque/sette anni di regolare soggiorno con regolare lavoro e tasse pagate all'erario italiano, devono affrontare l'esame per avere la cittadinanza, quali domande di lingua e cultura prevedere? Sapere a memoria l'articolo 53 della Costituzione?
Infine: far spiegare agli immigrati aspiranti cittadini italiani il significato esatto di elettorato attivo ed elettorato passivo per capire se avranno capito che in Italia il passivo lo mette all'attivo che glielo dà.