Non
sono mai riuscito a penetrare la ratio che imporrebbe allo stato un
aiuto alle associazioni di volontariato, foss’anche nella forma di
agevolazioni fiscali. Nulla contro il volontariato, sia chiaro: chi è
animato dalla nobile intenzione di spendersi in favore di chi versa
in condizioni di bisogno ha il sacrosanto diritto di poterlo fare.
Tuttavia, perché sulla nobiltà di quest’intenzione non pesi alcun
sospetto di un secondo e assai meno nobile interesse, non sarebbe
opportuno che le associazioni di volontariato rinunciassero ad ogni
forma di sostegno in denaro pubblico? Non va così: il sostegno è
preteso, e la pretesa è spesso accompagnata dalla minaccia di
sospendere ogni attività di volontariato nel caso in cui il sostegno
venga meno. In sostanza, parrebbe che la nobile intenzione dipenda
esclusivamente dalla disponibilità dello stato a dichiarare
l’incapacità di far fronte a certi bisogni, appaltandone la cura a
chi si dichiari disponibile a vicariarne il compito, ma in cambio di
qualcosa, sennò la nobiltà di chi dovrebbe vicariare scema. Stanti
così le cose, come biasimare il sospetto che chiunque gestisca un
associazione di volontariato sia giocoforza motivato da altro che una
nobile intenzione? Sospetto che ovviamente non può e non deve
sfiorare i singoli volontari, che quasi certamente continuerebbero a
spendersi in favore di chi versa in condizioni di bisogno anche al di
fuori di un contesto associativo, ma che invece inevitabilmente pesa
su chi gestisce l’organizzazione di volontariato facendone
dipendere l’impegno dall’ottenere o meno dallo stato ciò che
ritiene indispensabile per il prosieguo delle attività.
Si
tratta di una questione più volte affrontata su queste pagine,
spesso in relazione alle reiterate richieste di sostegno avanzate
dalla più consistente «associazione di volontariato» operante in
Italia. Dall’uso delle virgolette si sarà inteso che è davvero
difficile considerare la Chiesa di Roma come una semplice
associazione di volontariato. Sulle motivazioni che sostengono
l’attività dei volontari che al suo servizio sono impegnati nelle
più svariate forme di aiuto a chi versa in condizioni di bisogno
sarebbe odioso anche il minimo sospetto, ma come ritenere infondati
quelli belli grossi sulle sue gerarchie alla luce delle continue
prove che sulla carità è venuto a costruirsi un gigantesco affare
che da secoli ingrassa un vero e proprio mostro? Ne resta per qualche
minestrina ai poveri, ma complessivamente lo stato sgancia otto
miliardi di euro ogni anno. Un’enormità rispetto a ciò che
destina alle altre associazioni di volontariato, che tuttavia, nel
loro piccolo e piccolissimo, riproducono la stessa dinamica.
Ora, chissà come, a un governo che si è costruito fama di cosaccio brutto, sporco e cattivo (soprattutto cattivo) era venuta l’idea di fare finalmente chiarezza, lasciando nuda la nobile intenzione. Non è durato più di ventiquattr’ore: alle associazioni di volontariato, e ovviamente alla più grossa, continueranno ad essere assicurati aiuti da parte dello stato, così, tanto per riconfermare la sua incapacità di far fronte ai bisogni di alcuni cittadini, in piena continuità con tutti i governi della Repubblica. A far fare dietrofront è bastato un editoriale di Avvenire e un’intervista al presidente della Cei.
Animo, boys! Sembrano fascisti, ma sono democristiani. Ed è per questo che dureranno. Poi, sì, fate pure. In fondo i più vecchi di voi hanno dato del fascista anche a Fanfani e Andreotti.