Arrivi
a una certa età che ne hai viste d’ogni tipo, quindi sei sensibile
solo a quelle che hanno qualcosa di speciale, che d’altronde non
mancano mai, neppure quando ti ostini a dire che l’una vale
l’altra, ben sapendo che invece non ce ne sono due uguali. Con gli
anni, insomma, si attenua quella smania che da giovane può renderti
insaziabile: diventi estremamente selettivo, presti attenzione solo a
quelle che davvero meritano. Non è detto, tuttavia, che questo possa
bastare a risparmiarti cocenti delusioni, perché non è affatto
raro, anche a una certa età, che tu ne veda una all’apparenza
estremamente interessante, assai ben fatta, poi basta darle
un’occhiata quando è nuda, senza trucco, e ti vergogni d’averci
sprecato tempo sopra. Diciamo che l’esperienza aiuta, ma solo fino
a un certo punto, perché il fascino di queste misteriose creaturine
sta proprio nell’inganno che è la loro intima, prima e ultima,
natura.
A
scanso di equivoci, s’è capito che parlavo delle mistificazioni?
Ci vuol niente a beccarsi l’accusa di sessismo, e con quella sei
segnato a vita. Ripeto: parlavo delle mistificazioni. E la premessa
di cui al primo capoverso era solo per strapparvi un briciolo di
comprensione per la disavventura che mi sono procurato e che qui
passo a narrare. E dunque.
È
la vigilia di Natale e Il Foglio, a pag. 3, dà notizia di una
sentenza della Cassazione.
Cedo
all’incantevole
leggerezza con la quale vien lasciato scivolare che «non
esiste un diritto a non nascere se non sani»
(già diverso dal «non
esiste un diritto a non nascere sani»
che sta a titolo dell’editoriale)
sia l’«inverso»
dell’affermazione
che «chi non è
sano non ha il diritto di nascere» («base
di tutte le teorie di selezione eugenetica»).
Ovviamente non è così, perché il diritto di voto, tanto per fare
il primo esempio che mi capita sotto mano, non
necessariamente nega il diritto di astenersene; così, affermare che
«non
esiste un diritto a non nascere se non sani» (che
d’altronde
la sentenza non fa altro che limitarsi a rammentare sia già un dato
di fatto giurisprudenziale in Italia, in Europa e negli Stati Uniti)
non esclude affatto che «chi
non è sano non ha il diritto di nascere»,
perché, come la stessa sentenza rammenta col richiamo all’art.
6 della legge n. 194 del 22.5.1978, è consentito negare questo
diritto «quando
siano accertati processi patologici, tra cui quelli relativi a
rilevanti anomalie o malformazioni del nascituro, che determinino un
grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna»:
in buona sostanza, a «chi
non è sano» la
legge non assicura affatto «il
diritto di nascere»,
se la sua nascita può essere di nocumento alla salute fisica o
psichica della donna. Potrà piacere o non piacere, ma questo assunto
non è neppure scalfito dalla sentenza della Cassazione, che anzi ne
ribadisce il principio che vi sta a fondamento, con quanto recita
l’art.
1 del Codice Civile («La
capacità giuridica si acquista dal momento della nascita»).
E allora in cosa, questa sentenza della Cassazione, peraltro vecchia di tre mesi, «chiudere[bbe] una contesa etica e giuridica che aveva aperto spazi a una concezione della persona e della vita condizionata, mentre la unicità della persona è e deve restare un valore assoluto»? La contesa resta aperta, ma solo perché c’è chi si ostina a riaprirla, in opposizione alla giurisprudenza che nega capacità giuridica al feto, e pone condizione alla sua nascita laddove questa metta a rischio la salute della gravida, che può, nel caso, se vuole, far prevalere il proprio interesse su quello del prodotto del concepimento.
E allora in cosa, questa sentenza della Cassazione, peraltro vecchia di tre mesi, «chiudere[bbe] una contesa etica e giuridica che aveva aperto spazi a una concezione della persona e della vita condizionata, mentre la unicità della persona è e deve restare un valore assoluto»? La contesa resta aperta, ma solo perché c’è chi si ostina a riaprirla, in opposizione alla giurisprudenza che nega capacità giuridica al feto, e pone condizione alla sua nascita laddove questa metta a rischio la salute della gravida, che può, nel caso, se vuole, far prevalere il proprio interesse su quello del prodotto del concepimento.
E
quindi dov’è
che questa sentenza compie il «passo
indispensabile»
per evitare le paventate «derive
eugenetiche»?
Rigetta il ricorso di due genitori lì dove questi pretendevano che
nell’omessa
diagnosi prenatale di una grave malformazione genetica vi fosse
vulnus a un opinabile diritto del nascituro a nascere sano, ma lo
accoglie – guarda caso – proprio al punto in cui la controparte
pretenderebbe che l’accertamento
del «grave
pericolo per la salute fisica o psichica della donna»
posto in essere dalla nascita di un feto gravemente malformato
dovesse essere preventivamente certificato, e fosse a carico della gravida. In sostanza, ribadisce
che la nascita di un feto gravemente malformato costituisca di per se
stessa quel «grave
pericolo».
Che c’è
da festeggiare per un antiabortista?
La
mistificazione sembrava fine, intrigante, con tutte le sue cosine al
posto giusto, aveva pure un certo fascino, diciamo. Eccola lì: sotto
un leggero strato di fondotinta, un volgarissimo puttanone.