Ken
Paxton, procuratore generale del Texas, dichiara che,
invocando l’obiezione
di coscienza per motivi religiosi,
i
funzionari statali potranno rifiutarsi di rilasciare la licenza
nuziale ad una coppia gay che ne faccia richiesta, e
promette loro l’assistenza
legale gratuita, visto che il rifiuto li porterà a processo. Niente
di strano, accadde più o meno la stessa cosa, però in Virginia,
quando furono dichiarati legittimi i matrimoni tra bianchi e neri,
anche se l’obiezione
di coscienza, allora, fu invocata in difesa della segregazione
razziale.
Anche qui, con la sentenza della Corte suprema che qualche giorno fa ha dichiarato legittimo il matrimonio tra individui dello stesso sesso, tra gay che festeggiano pazzi di gioia per l’acquisizione di un diritto cui tenevano tanto e l’immancabile stronzo che non si rassegna all’idea, direi che tutto vada come deve andare, perché qualche resistenza al progresso è fisiologica. In questo caso, poi, si tratta di una resistenza che, tutto sommato, è responsabile: da funzionario statale sei tenuto a rilasciare la licenza nuziale anche ad una coppia gay, ti rifiuti, sei incriminato, vai a giudizio, e ti assumi le conseguenze del tuo gesto, perché, se un giudice ti dichiara colpevole di quella che qui da noi sarebbe omissione di atti d’ufficio, fai giurisprudenza, vivaddio, ma col tuo culo.
Anche qui, con la sentenza della Corte suprema che qualche giorno fa ha dichiarato legittimo il matrimonio tra individui dello stesso sesso, tra gay che festeggiano pazzi di gioia per l’acquisizione di un diritto cui tenevano tanto e l’immancabile stronzo che non si rassegna all’idea, direi che tutto vada come deve andare, perché qualche resistenza al progresso è fisiologica. In questo caso, poi, si tratta di una resistenza che, tutto sommato, è responsabile: da funzionario statale sei tenuto a rilasciare la licenza nuziale anche ad una coppia gay, ti rifiuti, sei incriminato, vai a giudizio, e ti assumi le conseguenze del tuo gesto, perché, se un giudice ti dichiara colpevole di quella che qui da noi sarebbe omissione di atti d’ufficio, fai giurisprudenza, vivaddio, ma col tuo culo.
A
7.000 chilometri di distanza, la sentenza della Corte suprema
statunitense genera un altro tipo di resistenza. È quella di chi
tenta di trovare un po’
di sollievo immaginando Anthony Kennedy, o chi per lui, imputato al
Giudizio Universale. Parlo del povero Berlicche,
che gli fa dire: «Se
ho emesso alcune sentenze che potrebbero essere dispiaciute ad una
parte della Chiesa si tenga conto che ero stato mal consigliato»,
e pensare tra sé e sé: «Non
è vero. Hai scelto in quella maniera perché volevi, perché avrebbe
aiutato la tua carriera, perché volevi essere famoso e importante e
sapevi che i tuoi amici, quelli importanti, non te l’avrebbero
fatta passare liscia se avessi deciso altrimenti. Sapevi cosa sarebbe
successo. Non tutto, ma in parte sapevi»,
ma tenendo il punto: «Ad
ogni buon conto, toccava a me decidere, e ho deciso. E i giudizi
emessi non si discutono»,
per beccarsi così quel che merita dal «Giudice
dei giudici».
Tutto nel vago, ovviamente, conoscete Berlicche:
il giudice non ha un nome, la condanna si intuisce solamente...
Wilhelm Reich la chiama «resistenza
isterica».