Proviamo
a metterci nei panni di Pierluigi Bersani. Fino al 23 febbraio pensava di avere in tasca la
vittoria. Grazie al Porcellum sperava di ottenere la maggioranza alla Camera, e
così è andata, anche se c’è riuscito solo per un pelo, visto che al centrosinistra
sono andati meno di 150.000 voti in più che al centrodestra. Al Senato si
aspettava qualche difficoltà, ma non delle dimensioni che gli si sono
prospettate all’apertura delle urne, visto che ha perso nelle regioni dove era previsto
perdesse, ma pure in quelle che pensava fossero in forse e in molte di quelle nelle
quali era sicuro di poter vincere, sicché i 6 o 7 senatori che pensava gli
sarebbero mancati per avere la maggioranza anche a Palazzo Madama sono
diventati più di 30, quasi 40. Dinanzi a questo quadro voi che avreste fatto?
Provo immaginare, dando per scontato che abbiate un minimo di sale in zucca.
Probabilmente vi sareste interrogati sul perché di un così grosso cazzo in
culo. Già vi immagino con la testa tra le mani a mormorare: «Tre milioni e
mezzo di elettori persi devono pur avere una spiegazione, quale?». L’immagine,
peraltro in tutto rispondente al vero, di un partito nato già vecchio? L’aver
perso l’attimo fuggente nel novembre del 2011? L’appoggio al governo Monti? Non
ha importanza, provate a stilare la lista di tutte le possibili ragioni,
metteteci tutto quello che vi pare: dinanzi a questa lista ve lo porreste il
problema di dimettervi? No? E allora vorrà dire che avete un’ideona per
ribaltare la situazione in cui vi trovate.
Sì, ma quale? Stando ai numeri, una
große Koalition col centrodestra? Bene, allora suppongo che come primo passo
chiedete un incontro con Berlusconi, eventualmente anche con Monti, e
aprite le trattative facendo valere il vantaggio che avete alla Camera. No? Vi capisco. Avete fatto una campagna elettorale all’insegna
del rinnovamento, contro Monti ma soprattutto contro Berlusconi, e sarebbe una figura di merda. Che resta, allora? Un governo
coi grillini, forse? Sì, ma in quali termini? Sapete che non vi daranno la
fiducia nemmeno se gli offrite dieci dicasteri, lo stanno ripetendo da mesi e
non hanno smesso di farlo dopo il 26 febbraio. E dunque siete intenzionati ad accettare
l’unica soluzione che vi prospettano? Vogliono la Presidenza del Consiglio,
siete disposti a concedergliela? No? E allora che senso ha andarvi a umiliare
in streaming?
O forse no, forse pensate sia possibile comprare tanti grillini
quanti ve ne servono per avere la maggioranza al Senato? Bene, non è da galantuomini,
però si sa che, quando il fine è nobile, la tentazione può venire pure a
Lincoln. Ma allora vi conviene strombazzare ai quattro venti che intendete fare
scouting? Muovetevi con discrezione, cazzarola, studiate le biografie dei
possibili acquisti e muovetevi come si deve. Non riuscite a farlo? Vabbe’, ma allora
almeno qui vi viene il pensierino di dimettervi? Nemmeno? E allora chiariamoci,
perché è evidente che il problema siete voi.
Vi eravate affezionati all’idea di
andare a Palazzo Chigi, avete sbagliato i vostri calcoli e tuttavia non siete
capaci di rinunciarci? Spiace dirlo, non siete tagliati per la politica.
Tuttavia comprendo, è probabile non vogliate darlo da vedere, per far finta di essere intenzionati a prendere atto che non ci andrete, poi, chissà... Bene, ma allora
assumete una posa acconcia. Levatevi dal grugno quella smorfia da bambino che si ritrova tra le mani un giocattolo diverso da quello che aveva chiesto alla Befana, pensate al fatto che probabilmente avete fatto qualche errore nello scriverle la letterina.
Grillo vi ha umiliato quando siete andati a chiedergli la fiducia per il governo e gli avete rinfacciato che così si correva il rischio di tornare alle urne e che il paese correva il rischio di ricadere in mano a Berlusconi? E allora perché non tentare l’aggancio, se quello ha detto che se ne poteva discutere, se aveste detto sì a Rodotà al Quirinale? Cosa aveva, Rodotà, che non andasse bene? Non riuscivate a trovare un accordo all’interno del vostro stesso partito né per Marini, né per Prodi, né avevate pronto un altro nome che riuscisse ad ottenere la maggioranza grazie al voto di altri in Parlamento: perché non Rodotà?
Dite la verità, quel poco di sale che davo per scontato avevate in zucca non vi consente di dare una risposta ragionevole, vero? Capisco, non voglio stressarvi oltre, d’altronde sono certo che anche il più sprovveduto tra voi non avrebbe commesso nemmeno la metà delle puttanate che il Pd ha accumulato in queste ultime settimane. Più che sprovveduto, allora, l’ineffabile Bersani? Non proprio. Ciò che gli impediva una decisione razionale... Che dico? Ciò che gli impediva qualsiasi decisione che non fosse uno sproposito era la logica che regge il suo partito. Una logica che probabilmente non vi sfiora, perché non state messi male come il Pd. Bersani sembra non essere in grado di spiegarcela e tace, dunque conviene porgere l’orecchio a Orfini, che dopo aver tanto parlato in questi ultimi giorni, e spesso senza dire niente, oggi prova a spiegare ciò che a tanti è sembrato incomprensibile.
«Io
credo che il ruolo di un dirigente sia quello di difendere ciò in cui crede,
anche se impopolare. Dovrebbe essere ovvio, ma non lo è. In queste ore molti
hanno deciso cosa sostenere guardando a dove tirava il vento. Capisco il ragionamento,
ma secondo me è un errore. Il dovere di un dirigente non è quello di fare ciò
che in quel momento è popolare tra i suoi elettori, ma ciò che ritiene giusto. È il principio della democrazia rappresentativa. Se a fine mandato, e il mio
mandato è finito dato che come tutta la segreteria del Pd mi sono dimesso, gli
elettori del Pd non mi rinnoveranno la fiducia, non sarò più un dirigente del
Pd. Ma tra una elezione e l’altra ciò che deve guidare l’azione di ognuno di
noi non sono i commenti su Facebook o i sondaggi, ma le proprie convinzioni e
la loro corrispondenza a un progetto deciso insieme». Bene, ma qual era il «progetto deciso insieme»? E poi era il progetto della dirigenza del partito o quello sul quale si era chiesto il voto agli elettori?
«Mi
pare che la domanda di fondo a cui occorra rispondere è “perché non avete
votato Rodotà”. Su una cosa voglio dare ragione a chi la pone: non lo abbiamo
spiegato a sufficienza. Io ho provato a farlo in ogni occasione, ma
evidentemente non è bastato e quindi la scelta è apparsa incomprensibile.
Vediamo di recuperare almeno a questo errore. Partiamo dalla fine. Dopo la
figura indecente su Prodi alcuni di noi hanno passato la notte a verificare
laicamente tutte le possibilità. Anche quella di votare Rodotà. E non c’erano i
voti. Se si fosse andati alla conta Cancellieri contro Rodotà il Pd si sarebbe
diviso a metà e il risultato sarebbe stata l’elezione della Cancellieri, su cui
convergevano Pdl, Lega e Monti. Voi obietterete “è un disastro che il Pd si
divida su queste cose”. Sì, lo è. Ma che la situazione fosse difficile lo si
era capito dal voto su Prodi e che, con un segretario dimissionario, non ci
fosse tenuta nel nostro gruppo era evidente a tutti. Quindi la prima ragione,
la meno politica, è che non c’erano i voti». In pratica, il partito non riusciva a esprimere un candidato sul quale far convergere i voti di tutti i parlamentari. E può dirsi ancora un partito? Non lo tiene insieme né un progetto, né la disciplina. Di che cazzo sei stato dirigente fino ad oggi, Orfini? Rappresentavi il partito, una sua corrente o tutt’al più te stesso? E perché non sei riuscito a chiarire questi problemini prima di candidarti?
«La
seconda motivazione però è per me quella più seria. Il Presidente della
Repubblica è il custode e garante della Costituzione. Non deve essere “nostro”
né scelto con accordi sottobanco, deve saper garantire a tutti amore e rispetto
per quella Costituzione nata dalla Resistenza e dall’antifascismo». E la volta scorsa come si arrivò a Napolitano? Lo voleva, il centrodestra? E il centrodestra che stavolta
l’ha voluto dimostra con ciò di amare e rispettare la Costituzione o piuttosto afferra al volo l’occasione di rientrare in gioco offertagli con un accordo ben più che implicito sul pacchetto Quirinale-Palazzo Chigi?
«Grillo –
e spesso anche i suoi parlamentari – in questi giorni e in questi mesi ha
ripetutamente contestato, aggredito, offeso quella Costituzione. Lo fa quando
auspica la scomparsa dei partiti (art.49), quando rifiuta il confronto, insulta
e allontana i giornalisti (art.21), quando contesta il principio della
democrazia rappresentativa e su mille altre questioni». Il centrodestra di Berlusconi, invece, no? Ma Grillo e i suoi parlamentari, poi, non sono gli stessi ai quali siete andati a chiedere la fiducia per il governo?
«Ho
ragione? Ho torto? Parliamone, ma stando al merito e non tirando in ballo cose
che non c’entrano nulla. Come il governassimo. Io ho votato un presidente della
Repubblica. E quel voto non impegna né me né il Pd al sostegno di un governo
col Pdl. Questo lo abbiamo chiarito prima del voto e lo ripeto ora. Al governo
con Berlusconi ero e resto contrario».
A parte il lapsus («governassimo»
al posto di
«governissimo») che è illuminante, da segnalare è lo scarto dal noi («abbiamo chiarito») all’io («ero e resto contrario»): Orfini assicura che il Pd non farà un governissimo col Pdl, perché lui è contrario. Ma se neppure Bersani può impegnarsi con gli elettori del Pd a nome di tutto il partito, quanto può valere ciò che dice Orfini?