Di solito, i movimenti cinematografici vengono riconosciuti in corso di attuazione o più facilmente dopo qualche tempo: la Nouvella Vague francese, il Neo Realismo italiano, il Cinema Novo brasiliano, il Free Cinema inglese, sono diventati categorie soltanto dopo che un gruppo di opere aveva chiaramente manifestato lo stesso stile, lo stesso tipo di storie, lo stesso modo di girarle. Von Trier e Vinterberg, invece, decidono di fare esattamente l’opposto. Scrivono alcune regole e proclamano che qualsiasi regista al mondo voglia mettersi a fare film secondo quelle regole, sarà considerato un regista Dogma. L’idea alla base del manifesto era essenzialmente quella di promuovere un cinema più “puro”: via gli effetti speciali, via gli investimenti miliardari, via l’ego smisurato dell’artista (il nome del regista non deve mai comparire, tanto per dirne una). Il loro decalogo, per la verità, è al limite dell’estremo: no a luci artificiali, no a scenografie, no all’uso della musica. Non c’è da stupirsi se il Dogma viene ben presto soprannominato “Voto di Castità”. Per quanto assurdo tutto questo possa sembrare, il manifesto nei suoi 10 anni di vita (nel 2005 è stato infatti ufficialmente “chiuso”), ha prodotto un po’ dappertutto nel mondo una manciata di film molto interessanti, e anche un paio di piccoli capolavori.
Lars Von Trier e Thomas Vinterberg ai tempi del Dogma |
Vinterberg, colto alla sprovvista dal successo planetario di Festen, ha fatto fatica a proseguire con una decente carriera cinematografica. Quest’anno, è ritornato al Festival di Cannes con la sua ultima opera: Jagten (La Caccia), riscuotendo di nuovo un gran successo e portandosi a casa uno dei premi più importanti (e finora secondo me anche l’unico sensato dato dalla giuria), quello a Mads Mikkelsen (lo ADORO!) come miglior interprete maschile.
La settimana scorsa, in un’anteprima speciale al Cinéma des Cinéastes (il film uscirà in Francia il 14 Novembre e in Italia il 23 Novembre), Vinterberg ha incontrato il pubblico parigino per discutere del film.
La settimana scorsa, in un’anteprima speciale al Cinéma des Cinéastes (il film uscirà in Francia il 14 Novembre e in Italia il 23 Novembre), Vinterberg ha incontrato il pubblico parigino per discutere del film.
La storia: Lucas, un quarantenne appena uscito da un doloroso divorzio, sta cercando di rifarsi una vita. Le cose sembrano andargli abbastanza bene: ha accettato un nuovo lavoro come aiuto-insegnante in una scuola materna, suo figlio Marcus sta per andare a vivere con lui e Lucas sembra anche aver trovato una nuova compagna. Questa serenità è però destinata ad essere spazzata via in breve tempo: Klara, una bambina di cinque anni (nonché figlia del suo miglior amico), confessa alla direttrice della scuola di aver subito attenzioni di natura sessuale da parte di Lucas. La direttrice, sconvolta da quello che ha appena sentito, mette immediatamente in moto la macchina infernale che rischierà di schiacciare la vita dell'uomo, del tutto innocente.
Come ha giustamente fatto notare Vinterberg durante la discussione seguita al film, Jagten è l’anti-Festen assoluto. In Festen, dei bambini innocenti erano costretti a subire le attenzioni morbose di un adulto (il padre), che la faceva franca fino alla famosa festa in cui il figlio si decide a raccontare tutto di fronte agli altri componenti della famiglia. In Jagten il problema è opposto: un uomo adulto viene accusato da una bambina di aver compiuto degli atti osceni, e deve passare attraverso le prove più dure per riuscire a dimostrare agli altri la propria innocenza. Il tema è ovviamente molto delicato, e Vinterberg dimostra un gran coraggio nel “mostrare” due aspetti davvero poco rappresentati al cinema: il fatto che i bambini possano e sappiano mentire, e il fatto che anche nei primissimi anni di vita possiamo provare un sentimento simile all’innamoramento nei confronti di soggetti adulti. Klara è chiaramente affascinata da Lucas ed è proprio di fronte al suo rifiuto (in quanto adulto responsabile) verso alcuni comportamenti inattesi della bambina, che quest’ultima reagirà “contro di lui”.
Costruito in maniera lineare e molto rigorosa, Jagten fa crescere la tensione a poco a poco, generando un sentimento di oppressione e ingiustizia che permea la pellicola in maniera costante ma dilagante. Lo spettatore, sapendo dell'innocenza di Lucas, soffre con lui, ed è inevitabilmente portato ad una grande identificazione con il protagonista, perché tutti potremmo essere vittima di un simile errore, e chi sarebbe pronto a crederci, contro la parola innocente di un bambino? Quali amici resteranno al nostro fianco? Chi continuerà ad amarci dei nostri familiari? Chi avrà ancora fiducia in noi? Senza mai dare giudizi morali, ma anzi facendo ben capire i drammi e i dubbi nascosti dietro ciascuno dei personaggi, Jagten impressiona per forza stilistica e capacità di non abbandonarsi mai a facili vie d'uscita o scorciatoie sentimentali. La sceneggiatura è solidissima, certo, ma qui come al solito gli attori fanno la differenza. Intanto, chi ha trovato una bambina di 5 anni così brava a recitare? Mentre su Mikkelsen, che volete che vi dica, per me è uno dei più bravi attori in circolazione. Se qualcuno di voi ha familiarità con il cinema di un altro grande regista danese, Nicolas Winding Refn, sa di cosa sto parlando: dalla trilogia Pusher al delirio Valhalla Rising, Mikkelsen dimostra una versatilità ed una capacità di cambiare registro di rara potenza. Qui è tutto in sottrazione, con rare esplosioni di rabbia che lasciano senza fiato. Semplicemente eccezionale.
Vinterberg, ritrovata la sua vena più personale, ritornato - se posso osare - più "dogmatico", dà vita ad un film dal quale non si esce indenni (magnifica, lo vedrete, la scena finale!). Non sono stupita che abbia citato come primo riferimento per il film Fanny e Alexander di Ingmar Bergman.
Perché nella vita, si sa, dovendo avere dei modelli, tanto vale puntare in alto!
Vinterberg, ritrovata la sua vena più personale, ritornato - se posso osare - più "dogmatico", dà vita ad un film dal quale non si esce indenni (magnifica, lo vedrete, la scena finale!). Non sono stupita che abbia citato come primo riferimento per il film Fanny e Alexander di Ingmar Bergman.
Perché nella vita, si sa, dovendo avere dei modelli, tanto vale puntare in alto!