Quella che mi/ci ha impartito Bruno Vespa nel suo osceno Porta a Porta è una lezione molto utile.
Perché mi ha fatto capire quello che l’Italia contro di noi si aspetta che diciamo.
E c’è da farne tesoro.
In questo lungo anno, abbiamo detto la nostra sull’attualità, e su quello che nel corso dei mesi andava costituendosi come passato.
E adesso, è passato. E’ fardello dei prossimi anni. Sarà il nostro Comune a dover sostenere il Progetto C.A.S.E., i MAP. Sarà il Comune dell’Aquila a dover decidere quanto farci pagare i futuri affitti per questi alloggi, fecendoci finanziare la ricostruzione vera, quella pesante, della nostra città.
Sappiamo già che saremo soli.
Sappiamo già che dovremo aspettare la ricostruzione delle Chiese prima delle nostre case. Andrà così, non abbiate dubbi.
Quello che non sappiamo ancora del tutto, è ciò su cui dobbiamo concentrarci, prendendoci anche cura di quanto qui c’è stato lasciato, che ci piaccia o no. Perché che ci piaccia o no, adesso è nostro.
E sarà nostra la responsabilità del far diventare o meno questi nuovi quartieri dei luoghi squallidi, non-luoghi privi di vita.
Oppure centri di vita sociale, civile, pulita, organizzata ed efficiente.
Questo adesso sta a noi.
E ancor più importante è affermare la nostra idea sul futuro della città: come la vogliamo rivedere, come migliorarla, come renderla più sicura ed efficiente, come riconvertirla.
Negarci noi per primi tutto questo, significherebbe relegarci da soli nel cantuccio di chi guarda al passato, nel vano tentativo di affermare la sua verità, e lasciando al contempo il compito ad altri di disegnare il nostro futuro.
Fare questo, ci metterà un domani nelle condizioni di criticare magari anche con giuste osservazioni, quanto sarà stato fatto. Ma lì, non mi troverete d’accordo. Perché saremo noi, ad aver lasciato che andasse così.
Per tutto ciò, voglio farvi una proposta.
Che ognuno porti dentro di sé, la propria opinione sul passato. In buona parte, tra di noi siamo anche d’accordo, tra di noi. C’è però una città a cui parlare, che non ha capito, o si rifiuta di sapere quanto di buono abbiamo,insieme, ottenuto anche per loro. E’ per questo, che vi chiedo una sola cosa, anzi due. Perché più che ad una nazione, dobbiamo saper parlare ad una città, la nostra.
Facciamo due sforzi contemporaneamente: da un lato andiamo avanti a dare un servizio “materiale” alla città, e senza dimenticare che ha una periferia abbandonata come e più del centro storico, e soprattutto dei borghi che non hanno la nostra forza. Non dobbiamo dimenticarci di loro, altrimenti stavolta, il sinecismo che ci ha fondati (se ho capito bene cosa è), sarà al contrario.
E contemporaneamente, parliamo tra noi, e rivolgendo ad altri l’invito a disegnare il futuro insieme.
Insomma, che ognuno porti con sé questo anno, decidendo cosa portare in futuro, cosa evitare in futuro. Ma teniamocelo anche per noi, senza perdere tempo a ricordarci quanto non c’è piaciuto del passato. Il rischio, è che se non indirizziamo il futuro, non ci piacerà nemmeno quello. E allora,però, sarà anche colpa nostra.
In una mano la pala, nell’altra la penna, o un libro, o un computer: tutto ciò che ci serve per piegare il futuro alle nostre reali necessità di una città migliore. Solo così vorrei proseguire, e vorrei sapervi d’accordo.
Significa fare molti sforzi in più, lo so. Ma la ricostruzione è toccata alla nostra generazione. Siamo più o meno giovani, le nostre teste funzionano, sanno riflettere, proporre, correggere il tiro, capire gli errori fatti. Le nostre braccia sanno lavorare.
Usiamole contemporaneamente, ma pensiamo a domani. E costruiamocelo, per non starci più stretti come oggi.
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