Vorrà dire qualcosa: è quasi un anno che non scrivo più nulla, e se lo scopo di questo blog fosse tenere una sorta di registro sui passi avanti compiuti dalla mia città, potrei tacere ancora a lungo.
Fortunatamente, noi non restiamo altrettanto immobili. Anzi, forse, raccontare quanto può accadere in dieci mesi di una vita normale può rendere ancora più chiaro quanto sia scollata la vita della città dalle vite delle persone che quella città la dovrebbero fare.
Perciò un breve ma significativo elenco di fatti avvenuti: sono entrato nella Scuola di Specializzazione in Radiologia, lavorerò qui per cinque anni, ricevo uno stipendio di tutto rispetto; e (cosa più importante) sono un medico Aquilano che lavora a L’Aquila. Da cinque mesi la mia ragazza è la mia compagna. Abbiamo una casa in affitto, che è il nostro castello. Abbiamo una vita insieme.
La mia vita, quindi, si è rivoluzionata nel vero e più profondo senso del termine; è un’esperienza comune, capita ogni anno a migliaia di persone, ma quando capita qui a L’Aquila, se ti fermi a pensarci, vedi il tuo “quadro” cambiare in una cornice sempre uguale a se stessa. Tu evolvi in un ambiente che rimane quasi fermo, che si modifica con un ritmo diverso dal tuo. Manca armonia evolutiva. Ce ne eravamo già accorti, con un agghiacciante sconforto ancora vivo nella memoria di ognuno di noi, scoprendo l’immobilità imposta alle nostre vite in una città improvvisamente ferma, nella distruzione dell’immediato post-terremoto. Eppure ancora oggi, i più fortunati di noi (me compreso), hanno riperso il corso delle loro vite con un ritmo ed una velocità che non riescono ad essere eguagliati dalla nostra città; non la vivo bene, questa situazione.
Puoi fare miracoli, in un certo senso; mancherà sempre qualcosa; e qualcosa di grosso.
Puoi iniziare una nuova vita davvero adulta, ma c’è sempre un freno implicito, imposto dall’esterno.
Qualche giorno fa qualcuno aveva postato su Facebook una foto di Piazza Palazzo, che risaliva ad un gennaio ante-terremoto (esattamente quella qui riportata); nulla di più che uno scatto nel quale è rimasto immortalato un momento davvero insignificante (nella mente, all’epoca, di ognuno di noi), e niente di diverso dal “memento” a cui spesso ci si abbandona, tra Aquilani.
Ho immaginato, allora, di immergere in quell’immagine, l’io che sono oggi; di camminare, nel freddo di Gennaio verso la torre del Palazzo, annusando appena svoltato l’angolo del Convitto Nazionale l’odore meraviglioso che emanava ogni mattina il pane caldo del forno di Prata dalla vicina Via Patini.
Alle nove del mattino, magari; quando la nostra medio-borghese città di provincia (eppure capoluogo) ancora si permetteva il lusso di essere sonnolenta. E quel transito discreto di persone che, inconsapevolmente, potevano godersi lo spettacolo della normalità della nostra L’Aquila bellissima, pur se perfettibile. Ma allora così vicina alla perfezione, se paragonata a ciò che ne resta oggi.
Quando compi questo sforzo d’immedesimazione, te ne accorgi. Stai vivendo una vita che in qualche modo non è tua. Che, anzi, è la tua; ma semplicemente non avrebbe dovuto esserlo.
Qualche cosa sta pure cambiando, anche nel centro storico. Alcuni cantieri sono partiti, alcune demolizioni sono cominciate, sia dentro che fuori dalle mura della città. Ed una speranza che qualcosa stia partendo ce la voglio vedere. Ma c’è un vuoto enorme da colmare, noi siamo chi più chi meno in corsa, e L’Aquila sta appena cominciando a muovere i primissimi, insicuri e malfermi passi.
Vorrei che fosse chiaro a chi ci amministra che ogni esitazione, ogni ritardo, ogni volta che ciò che poteva essere fatto ieri viene rimandato a domani, la distanza tra noi e la città si dilata rischiando di spezzare l’elastico (o il tirante) che ancora, nonostante tutto, ci tiene uniti.
Io voglio vivere il momento in cui torneremo a camminare con la nostra città con un passo all’unisono. Ma non potete chiederci che per farlo, (forse, tra vent’anni) noi nel frattempo si resti fermi. Là fuori c’è la nostra unica vita.
Federico, dici cose sante. Grazie.
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Mammamia che lamento!
La stortura più grossa e fondamentale, se mi è concesso di dirlo secondo il mio punto di vista, sta proprio nell’ultima frase: “Là fuori c’è la nostra unica vita.” La vita è dentro, così come dentro è TUTTO IL RESTO, il fuori è lo specchio del dentro!
Inoltre, caro Federico, chi amministra, fa ciò che vuole e lo sai, non solo, ha TUTTO IL NOSTRO APPOGGIO dal momento che noi lo votiamo.
Se davvero intendessi dare una mano per favore DICCI COSA SEI DISPOSTO A FARE per la comunità, oltre che le radiografie, che presto non saranno neanche più necessarie, sia perchè superate da altre tecnologie, nella migliore delle ipotesi, oppure perchè i tuoi concittadini non potranno più pagare la loro stessa morte da radiazioni se prima non rinsaviscono e si rendono conto di essere la loro stessa rovina.
L’Aquila SONO PIETRE ROTTE E BASTA, I cittadini, tutto il resto, vivono lo stesso e sono distanti e divisi più che mai nelle loro teste e nei loro partiti!
A proposito, CHI BISOGNA VOTARE se si lavora in ospedale???
Con amore infinito! ❤
Emanuele Nusca ❤ IL M-IO PRIMO CITTADINO ❤
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nulla da obiettare sui tuoi giudizi personali, che liberamente puoi esprimere; solo una precisazione che potrebbe sembrare superflua, e forse lo è anche, anzi due:
– la prima è che un radiologo, per mia fortuna non si limita a fare quelle che tu chiami “lastre”. ma magari te ne accorgerai la prima volta che verrai per fare una risonanza, una TAC, un’angiografia o anche una semplice ecografia. (spero comunque che tu non ne abbia mai bisogno).
-la seconda, meno personale: dici cosa posso fare io per la città: mi sono convinto che la cosa più importante che si possa tutti noi fare è compiere al meglio delle proprie possibilità ognuno il suo lavoro. essere insomma dei cittadini migliori, al meglio, ciascuno, delle proprie possibilità.
Il che, non mi pare esattamente poco.
Ti saluto.
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Grazie Federico! Ottima risposta, perdonami se sono stato molto ruvido nel commento, il passaggio relativo alla professione era sarcastico in generale, non verso di te in particolare. Nel senso che spesso la professione che si svolge, essendo legati ad essa non solo per soddisfazione personale, ma anche perchè unica fonte di introito, finisce per scollegare totalmente il cittadino dalla comunità in cui vive, inserendolo in una controproducente lamentela verso un sistema che paga persino, non lo soddisfa, e magari potrebbe essere corretto da lui stesso, nella sua posizione.
Anche questo pensiero è generico, ma ti assicuro che viene circostanziato da una certa osservazione dei fatti che tu stesso potrai verificare.
In definitiva anch’io sono aquilano, probabilmente tuo coetaneo, sono all’Aquila, osservo quello che succede fuori, poco di fatto, ma su internet continuo a leggere poche proposte di unione d’intenti o di idee sopratutto, ancor prima che di azione comune.
Finchè non entreremo nell’ottica che il comune (beni e istituzione) appartiene ai cittadini, quindi mio e tuo, sarà difficile che quello che noi vogliamo sarà fatto.
Grazie
Emanuele Nusca
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