02 giugno 2023

Siccità

Valmontagnana di Fabriano (An)

Lo chiamavano Siccità, mica perché fosse matto, anzi per tutti era un buon ragazzo, benvoluto anche al di fuori dal paese, e un esperto contadino dalle mani d’oro capace di risolvere ogni problema: dal camino che faceva fumo, ai tassi che razziavano gli orti malgrado le recinzioni, alla Panda che non partiva (lassù in montagna dove abitava in pochi possedevano l’auto e quei pochi erano tutti pandisti)… Aveva studiato nella città vicina, in pianura, famosa nel mondo per la produzione di lavatrici. Imparava tutto e subito: un libro intero lo macinava in pochi minuti, le regole grammaticali le assimilava ascoltando gli insegnanti parlare tra loro, dalle immagini ricostruiva i meccanismi di qualsiasi oggetto. Ed è proprio per questa capacità che divenne famoso prima ancora di conseguire la licenza media. Infatti a forza di passare tutti i giorni con il bus davanti a un immenso deposito di lavatrici, pronte per essere spedite, si era accorto, solo guardandolo da lontano, che un modello era stato progettato con un difetto così grave che avrebbe reso il motore inaffidabile. Ne parlò con un insegnante che ci rise sopra, poi con la preside che lo minacciò di chiamare i genitori, e poi con un bidello il cui figlio ingegnere lavorava proprio in quella fabbrica. Prima ridendo, poi sorridendo e alla fine stringendo i denti, tra i vari uffici con gli spazi e le poltrone via via sempre più grandi, i cervelloni riconobbero l’errore. Quel genio adolescente lo avrebbero ringraziato con una borsa di studio garantendogli un incarico di prestigio nell’azienda finiti gli studi, ma lui rifiutò. Rispose che il suo posto era a Valmontagnana e che lassù aveva tutto ciò che desiderava  e che solo la siccità gli metteva paura ma che in montagna quel rischio non c’era. Quando quel rifiuto arrivò alle orecchie dei compaesani, l’incredulità lo stupore e un pizzico d'invidia si fusero in una etichetta come un marchio impresso a grandi lettere sulla fronte: SICCITÀ. Ed è così che lo chiamarono tutti, perfino la postina, il messo comunale e il prete che saliva una volta a settimana per dire messa nel paese. Si ritrovò settantenne che aveva ancora molteplici cose da fare, da inventare, da modificare, non solo per sé ma anche per rendere la vita più leggera ai pochi anziani più vecchi di lui rimasti nel paese. Un solo cruccio lo tormentava oramai sempre più spesso: erano diventate sempre meno frequenti le corse sotto la pioggia, sia di giorno che di notte a volte solo con gli slip addosso, i bagni dentro le pozze del terreno e i balli al “ritmo della primavera e della neve sciolta” sotto le infinite cascatelle d’acqua fresca provenienti dalle cime più alte. Negli ultimi anni si passava dall’estate all’estate successiva senza vedere le altre stagioni. Siccità l’aveva vista in anticipo la siccità e si era impegnato mese dopo mese a far scorrere la poca acqua e a conservarla in ogni singola edificio, in ogni cisterna di fortuna sistemata tra i campi e nei boschi sperando nel ritorno delle stagioni normali. Oramai poteva fare il bagno solo davanti casa nella vasca trasformata in piscina mentre la pioggia non era quella che lo ticchettava mentre ballava sotto il temporale ma quella incanalata nelle grondaie e che poi si rovesciava sul suo corpo rannicchiato, compresso come nell’uovo. Quella compressione lo stava però schiacciando e lui intuiva cosa gli sarebbe potuto succedere. Una mattina, Gigio, il vecchio del paese, lo vide caricare tutti suoi marchingegni su un furgone, gli corse incontro chiedendogli cosa stesse facendo e lui gli rispose: “vado in un posto dove la pioggia non soffre”. Di Siccità resta il mistero di quelle sue ultime parole.



4 commenti:

  1. Che tristezza perdere teste così. Chissà quando soffre la pioggia

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  2. Grazie per il tuo impegno verso l'eccellenza nella tua scrittura. Lo dimostra davvero!

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  3. Ho imparato molto dal tuo post. Grazie per aver condiviso le tue conoscenze!

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