La luna e i falo'

Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via. Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra, c'è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti
Cesare Pavese 1949



lunedì 7 novembre 2022

Trevi, Umbria

 

Siamo in Umbria. Scendendo verso sud lungo la via Flaminia, percorriamo la valle spoletana. Dopo aver lasciato alla nostra sinistra, sulle pendici del monte Subasio, prima Assisi, poi Spello, attraversiamo Foligno.
Dopo la cittadina, il panorama si apre sulla bella campagna umbra. Sulla destra i campi coltivati con sullo sfondo i monti Martani. Spicca in lontananza, sul suo colle, Montefalco, riconoscibile anche dal serbatoio pensile, meglio conosciuto come “il fungo”, costruzione che, con un eufemismo, potremmo definire non proprio bellissima e, con un po’ più di sincerità, una specie di verruca che sta lì, a dominare quel bel paese.

Verso oriente i primi contrafforti dell’Appennino e più vicino a noi, adagiato sul monte Serano, è Trevi. Il paese si raccoglie a piramide su un colle. Tutto attorno, gli uliveti coprono i pendii. Producono un olio rinomato e apprezzato che è alla base dell’economia del luogo.

Più in alto, si estendono i boschi di faggi e di lecci che nascondono numerose sorgenti.

Seguiamo la strada che va verso il paese e arriviamo nella parte più alta. L’ampia piazza Garibaldi, ormai trasformata in parcheggio, si stende tra il borgo antico e i quartieri più recenti.
Dietro, la montagna continua a salire. Poco lontano è villa Fabbri con i suoi giardini aperti su uno splendido panorama che arriva fino a Spoleto.

Entriamo nell’abitato e arriviamo subito in piazza Mazzini, il centro della cittadina. Niente di eclatante, il palazzo comunale con i suoi portici, i caffè con i tavoli all’esterno occupati da che beve un caffè o l’aperitivo, gente che passa e si saluta.

Un signore che beve l'aperitivo dà una patatina al suo cagnolino accucciato accanto a lui, spiegandogli che sarà la sola perché le cose salate non gli fanno bene. Una piazza di provincia, come probabilmente ce ne sono molte ma che invita a sedersi e a passare un po’ di tempo in un luogo tranquillo e accogliente.

Trevi ha di che attirare gli amanti dell’arte. L’antico convento francescano accoglie un museo con una sorprendente pinacoteca che raccoglie opere di epoca medievale e rinascimentale.

È piacevole passeggiare per le vie del paese. Scorci e piazzette, ripide salite, belle aperture sul panorama sottostante. Non si incontra molta gente, anzi, è abbastanza raro vedere qualche turista. Anche gli abitanti non sono molto numerosi tra queste antiche vie. Dalle case si sentono i rumori della vita quotidiana.


domenica 23 ottobre 2022

Fonti del Clitunno, tempietto longobardo.

 […]

Salve, Umbria verde, e tu del puro fonte

nume Clitumno! Sento in cuor l'antica

patria e aleggiarmi su l'accesa fronte

gl'itali iddii.

Chi l'ombre indusse del piangente salcio

su' rivi sacri? ti rapisca il vento

de l'Apennino, o molle pianta, amore

d'umili tempi!

Qui pugni a' verni e arcane istorie frema

co 'l palpitante maggio ilice nera,

a cui d'allegra giovinezza il tronco

l'edera veste:

qui folti a torno l'emergente nume

stieno, giganti vigili, i cipressi;

e tu fra l'ombre, tu fatali canta

carmi, o Clitumno.

 

Siamo in Umbria, tra Trevi e Spoleto, nell’ultimo lembo della Valnerina, nel comune di Campello. Il paese moderno si trova lungo la via Flaminia ma l’antico centro storico, il castello, con le sue mura ancora intatte e la sua unica porta di accesso, è più in alto in posizione dominante a corona di un colle. In effetti il piccolo borgo non conta che nove residenti, le altre abitazioni sono destinate all’accoglienza dei turisti.

Scendiamo a valle e più precisamente nella frazione di Pissignano. Qui nasce il Clitunno, minuscolo fiume lungo una cinquantina di chilometri, affluente del Topino e quindi del Tevere. Delle Fonti del Clitunno, famose nell’antichità per le loro facoltà curative e miracolose, avevano parlato Virgilio, Lucano, Stazio, Giovenale e Plinio il giovane, che si rammaricava di non averle conosciute prima. La leggenda racconta che le acque di queste fonti avessero il dono di rendere bianca la pelle e che quindi in esse si immergessero i tori destinati ai Trionfi romani. Avevano quindi già incantato scrittori e poeti quando nel 1876 Giosuè Carducci, trovandosi a Spoleto, volle visitarle. E fu in quell’occasione che scrisse la sua celebre ode: Alle fonti del Clitumno.

Oggi il sito è diventato un parco privato con tanto di biglietteria ma il luogo è, malgrado ciò, ancora suggestivo e appagante. Una piacevole passeggiata tra specchi d’acqua, alberi, fiori e uccelli.

Conosciuti quindi fin dall’antichità per la loro sacralità, questi luoghi, lungo la via Flaminia, sembra accogliessero differenti templi di piccole dimensioni, tra i quali, il più importante era forse quello consacrato al dio Clitumnus, divinità identificata con Giove.

Qui sorge ancora un tempietto la cui fama è inversamente proporzionale alle sue dimensioni.

Alcuni studiosi ne datano una prima costruzione tra il IV e il V secolo, eseguita probabilmente utilizzando materiali di recupero da costruzioni ancora più antiche.
La sua struttura è quella di un tempio pagano classico ma oggi gli esperti si accordano nel considerarlo come chiesa cristiana fin dalle origini (una croce gemmata scolpita sul timpano – e quindi non aggiunta in seguito – lo confermerebbe) anche se, soprattutto per le successive modifiche è comunemente definito “tempio longobardo”. Dimenticato per molti secoli, il tempietto del Clitunno fu riscoperto durante il Rinascimento e poi, in seguito, dai poeti romantici, che ne fecero un luogo di ispirazione.
Lo visitò Goethe e lo cantò anche Byron: E sulla tua felice sponda un Tempio, / di minuta e delicata struttura, mantiene ancora, / sul mite declivio di una collina, / il ricordo di te.

Il tempio si trova a meno di un chilometro dalle Fonti, un po’ nascosto ma ben indicato dalla segnaletica. Quando arriviamo non ci sono molti visitatori, solo tre o quattro persone che stanno uscendo dal sito. Una casetta prefabbricata ospita l’impiegata che sta leggendo un libro. Paghiamo i tre euro del biglietto di ingresso e ci avviamo verso il tempietto che si trova un po’ più in basso.

Quello che stupisce e affascina maggiormente è probabilmente proprio l’eleganza e nello stesso tempo la modesta semplicità del monumento, un po’ più grande di una cappella di campagna. Quattro colonne sostengono il timpano e una stanza piuttosto buia, alla quale si accede dalla scala laterale, lascia intravedere dei residui di affreschi: un Cristo benedicente, San Pietro e San Paolo. Una nicchia in marmo e un piccolo altare completano l’arredo.

In basso una piccola apertura centrale dà accesso ad un altro piccolo locale, forse l’antico tempio pagano dedicato a Giove.