Il taglio della torta per la cresima di Patrizio |
Credo che fosse il 1960, c'eravamo quasi tutti nella foto, a parte qualche infiltrato e alcuni genitori, una quindicina tra cugine e cugini arrivati da ogni parte della Vallesina per la cresima di Patrizio. La... location era la solita, nella casa di campagna di mia nonna in cima a una collinetta poco distante da Jesi. Il festeggiato stava per affondare la lama sulla torta. La tensione e la concentrazione tra gli invitati erano alle stelle. Tarcisio, mio fratello, si era dato all'assaggio clandestino, quel dito in bocca ne era la prova, ignaro della guerra guerra fratricida che un simile gesto poteva provocare. Soltanto i più grandi sembravano rilassati, mentre le due sorelle, Mariola e Loretta, abbracciate e in bilico sulla stessa sedia avrebbero... cresimato di nuovo Patrizio se fossero cadute giù.
Tenete a mente i più piccoli, quasi coetanei, in prima fila. Il bambino in piedi sulla sinistra ero io, Leuccio, (purtroppo i soprannomi non te li puoi scegliere ) con un fiocchetto nero da cerimonia (sigh!) e il grembiule chiaro, imploravo mia madre per non metterlo, ma tant’è quella era la divisa di campagna. Vicino a me c'erano Oliviero, in contemplazione, per fortuna anche lui con il grembiule, Antonietta, dolcissima, stava già mangiando la torta con gli occhi, e Bianca Maria, spinta con decisione nel gruppo da zia Vittoria. Patrizia, invece, è appena visibile in basso a sinistra con un bel fiocco bianco tra i capelli. Non vedo Sergio che doveva trovarsi, però, in una di quelle teste nascoste.
Tutti e sei, eravamo compagni di gioco e di divertimento a tutto... campo in qualsiasi occasione. Ci sentivamo molti uniti senza immaginare, ancora, di poter di continuare ad esserlo anche da adulti, quando ciascuno di noi fosse partito per chissà dove.
Gli ingredienti per un ricordo strappacuore della nostra infanzia ci sono tutti, al di là dell'immagine: il silenzio così...silenzioso che ci sembrava di sentire il ronzio di un motore lontano e invece era quello di un mosca solitaria; uno spazio inverosimile fatto anche di alberi su cui arrampicare e cercare le lumache dopo un temporale; le avventure estreme tra le piante di granturco molto più alte di noi piene zeppe di pericoli immaginari, la giungla era niente a confronto; il pozzo dove ci affacciavamo per guardare il sole o la luna riflettersi nell’acqua del fondo; un sommergibile...fantastico munito, come quello vero, di un'unica apertura protetta da una botola che chiudevamo (incoscienti!) dopo esserci entrati, in verità si trattava di una cisterna vuota, un residuo bellico in disuso appoggiato a terra; la stalla, con le mucche sempre lì a fare montagne di cacca; gli odori di fieno di letamaio di conigli di fichi di latte appena munto e di biscotti nascosti nella stanza di zio Marino; e poi la casa, un gioco nel gioco. Al centro c'era l'abitazione di mia nonna dove qualche volta dormivo, a sinistra quella di Oliviero e Patrizia, a destra quella di Antonietta. Ma, e qui sta il bello, tutti e tre gli appartamenti erano collegati da due porticine agli estremi del corridoio centrale: giocare a nascondino in quegli spazi comunicanti non aveva eguali.
A ripensarci oggi, la serenità e la dolcezza di nonna Emilia funzionavano da rassicurante sottofondo musicale della giornata, un po' meno, e più rumorosi, i fischi di richiamo di zio Pietro e le sgridate di zia Alma e di zia Lina e di tutte gli altri zii e zie, sei in totale, più i genitori i cugini e i fratelli più grandi, mica pochi. Stupende le litigate quotidiane, i pianti e le fughe alla ricerca di qualche adulto di parte con il rischio, se la sfortuna si accaniva, di beccarti le storie di prigionia dell'ultima guerra, sempre le stesse, raccontate en passant da zio Milio per consolarti.
Nelle serate estive il più bel gioco lo facevamo in un piccolo quadrato dell’aia sopra una coperta stesa sull’erba per proteggerci dall’umidità della notte e dalle “bestiacce”. Una lampada lontana ci illuminava a malapena mentre le nostri madri ci controllavano a vista chiacchierando tra loro. Potevamo rotolarci, giocare a lotta, oppure sdraiarci col naso all’insù a guardare le stelle e raccontarci le storie più fantastiche spacciandole per vere, spiegarci i fatti misteriosi della vita con le risposte più assurde oppure inventarci delle barzellette lì per lì e riderci sopra anche senza capirle. Quella coperta era una specie di tappeto volante in grado di portarci in posti fantastici riservati solo a noi piccoli, altro che il mondo dei grandi!
Gli ingredienti per un ricordo strappacuore della nostra infanzia ci sono tutti, al di là dell'immagine: il silenzio così...silenzioso che ci sembrava di sentire il ronzio di un motore lontano e invece era quello di un mosca solitaria; uno spazio inverosimile fatto anche di alberi su cui arrampicare e cercare le lumache dopo un temporale; le avventure estreme tra le piante di granturco molto più alte di noi piene zeppe di pericoli immaginari, la giungla era niente a confronto; il pozzo dove ci affacciavamo per guardare il sole o la luna riflettersi nell’acqua del fondo; un sommergibile...fantastico munito, come quello vero, di un'unica apertura protetta da una botola che chiudevamo (incoscienti!) dopo esserci entrati, in verità si trattava di una cisterna vuota, un residuo bellico in disuso appoggiato a terra; la stalla, con le mucche sempre lì a fare montagne di cacca; gli odori di fieno di letamaio di conigli di fichi di latte appena munto e di biscotti nascosti nella stanza di zio Marino; e poi la casa, un gioco nel gioco. Al centro c'era l'abitazione di mia nonna dove qualche volta dormivo, a sinistra quella di Oliviero e Patrizia, a destra quella di Antonietta. Ma, e qui sta il bello, tutti e tre gli appartamenti erano collegati da due porticine agli estremi del corridoio centrale: giocare a nascondino in quegli spazi comunicanti non aveva eguali.
A ripensarci oggi, la serenità e la dolcezza di nonna Emilia funzionavano da rassicurante sottofondo musicale della giornata, un po' meno, e più rumorosi, i fischi di richiamo di zio Pietro e le sgridate di zia Alma e di zia Lina e di tutte gli altri zii e zie, sei in totale, più i genitori i cugini e i fratelli più grandi, mica pochi. Stupende le litigate quotidiane, i pianti e le fughe alla ricerca di qualche adulto di parte con il rischio, se la sfortuna si accaniva, di beccarti le storie di prigionia dell'ultima guerra, sempre le stesse, raccontate en passant da zio Milio per consolarti.
Nelle serate estive il più bel gioco lo facevamo in un piccolo quadrato dell’aia sopra una coperta stesa sull’erba per proteggerci dall’umidità della notte e dalle “bestiacce”. Una lampada lontana ci illuminava a malapena mentre le nostri madri ci controllavano a vista chiacchierando tra loro. Potevamo rotolarci, giocare a lotta, oppure sdraiarci col naso all’insù a guardare le stelle e raccontarci le storie più fantastiche spacciandole per vere, spiegarci i fatti misteriosi della vita con le risposte più assurde oppure inventarci delle barzellette lì per lì e riderci sopra anche senza capirle. Quella coperta era una specie di tappeto volante in grado di portarci in posti fantastici riservati solo a noi piccoli, altro che il mondo dei grandi!
Giugno era il mese delle lucciole. Ne arrivavano tante, ma così tante che a volte s’impigliavano tra i capelli, i vestiti e, se non stavi attento, anche nella bocca. Catturarle era uno scherzo, anche da fermo, bastava aprire la mano, chiuderla e poi imprigionarle in un bicchiere di vetro capovolto: vuoi vedere? a forza di guardarle avremmo scoperto il perché di quella luce magica.
Una sera, di sicuro i controllori in quel momento non controllavano, decidemmo di scoprire da dove provenivano tutte quelle lucciole perché, anche se ne eravamo circondati, dall’alto del tappeto volante non se ne vedevano né in fondo alla discesa della strada poderale e nemmeno nelle colline vicine. Scendemmo la piccola stradina polverosa, poche decine di metri, quasi di corsa e con un po’ di paura perché il buio diventava sempre più fitto e alcune luci intermittenti nascoste tra l’erba e il grano sembravano occhi di creature sconosciute e pericolose. Ma le lucciole non ci lasciavano mai, anziché scomparire apparivano più numerose e la loro luce più intensa. Stranamente, invece, sulla collinetta da cui eravamo partiti non ce n’erano più.
In quegli attimi d’incertezza, lo ricordo come fosse ieri, avevo l'impressione che l'aria circostante si materializzasse in uno spazio concreto e denso capace di espandersi, passo dopo passo, come un enorme palloncino di gomma trasparente gonfiato da non so chi, con me dentro. Quel palloncino poteva contenere sì un’infinità di lucciole ma anche case montagne stelle boschi e persone. Bastava camminare per scoprire tutto quello. Bastava cambiare posizione ( e quindi prospettiva) per vedere o non vedere le lucciole.
Quanto siamo cresciuti, senza saperlo, sopra quel tappeto volante stracolmo di cugine e cugini affacciati sul mondo con le lucciole tra i capelli! E non ho raccontato una favola, giuro.
Quanto siamo cresciuti, senza saperlo, sopra quel tappeto volante stracolmo di cugine e cugini affacciati sul mondo con le lucciole tra i capelli! E non ho raccontato una favola, giuro.