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Collezione Ludovisi

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Lo stemma della famiglia Ludovisi nella chiesa di Sant'Ignazio di Loyola a Roma
La villa Ludovisi in una incisione del 1670 circa (Istituto nazionale per la grafica - Gabinetto delle stampe. Roma). Sulla sinistra è il palazzo Grande, in basso a destra la fontana del Tritone, al centro in secondo piano è l'Uccelleria, in fondo a destra sbuca dal giardino il casino dell'Aurora.
Domenichino, Ritratto di papa Gregorio XV con il cardinale Ludovico Ludovisi

La collezione Ludovisi è stata una collezione d'arte nata a Roma nel terzo decennio del Seicento, durata meno di un secolo e appartenuta alla famiglia, di origini bolognesi, dei Ludovisi, la quale estintasi nella linea diretta maschile intorno al 1699, i successi e le proprietà furono prelevati dalla famiglia Boncompagni.[1]

Si tratta di una delle più importanti raccolte artistiche dell'epoca barocca, tra le più notevoli in assoluto sotto il profilo della statuaria classica assieme a quella Borghese e Giustiniani, o anche a quelle cinquecentesche dei Farnese e dei Medici. La nascita della collezione e la sua massima espansione fu dovuta all'attenzione e sensibilità verso l'arte di Ludovico Ludovisi, cardinal nipote di papa Gregorio XV nonché una delle figure più rilevanti sul panorama del mecenatismo romano del Seicento.[1]

La raccolta pittorica si disperse tra le collezioni di Francia e Spagna intorno alla seconda metà del Seicento, mentre persistette quella di antichità fino al Novecento, dove nel 1901 il corpo più rilevante della statuaria classica fu acquistato dallo Stato italiano per musealizzarlo dapprima nelle Terme di Diocleziano e poi nel palazzo Altemps di Roma, dove sono tuttora.[2]

L'ascesa sociale della famiglia Ludovisi a Roma

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La famiglia Ludovisi era originaria di Bologna: parte di essa si stabilì a Roma nei primi decenni del Seicento, acquisendo particolare rilevanza sociale ed economica con l'elezione di Alessandro Ludovisi a papa, col nome di Gregorio XV, già studente di teologia presso il collegio dei gesuiti nella città pontificia dal 1569 al 1571.[1]

Il pontificato fu relativamente breve, durò solo due anni, dal 1621 al 1623, tuttavia partendo da questi presupposti il cardinal nipote Ludovico Ludovisi, giunto anch'egli nella città papale al seguito dello zio, che lo elevò al titolo cardinalizio nel febbraio dello stesso 1621, nel giro di poco più di un decennio riuscì ad accumulare ingenti ricchezze artistiche e non per sé e per tutta la famiglia.[1]

Con la nomina pontificia di Gregorio XV vi fu la contestuale fioritura dei pittori di scuola bolognese in città, su tutti il Guercino, già noto al pontefice durante i suoi trascorsi cardinalizi nella città emiliana, al quale nel dicembre del 1621 fu commissionata la grande pala per la basilica di San Pietro della Sepoltura e gloria di santa Petronilla.

La collezione del cardinale Ludovico

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L'archeologia
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Ares Ludovisi

Agli anni del pontificato Ludovisi risalgono gli acquisiti, su intercessione di Ludovico, di diversi immobili, come la villa Altemps di Frascati e, soprattutto, la villa nei pressi di porta Pinciana già del cardinal del Monte (e ancora prima del cardinale Francesco Neri), comprendente anche il casino del Belvedere, che poi diventerà dell'Aurora grazie all'affresco del Guercino nella volta di una delle sale con la rappresentazione del Carro del Sole.[1]

Il Carro dell'Aurora, Guercino (volta del casino omonimo, già Del Monte)

Il pittore bolognese, giunto giovane in città nello stesso 1621, ricevette la commessa pittorica stesso dal cardinale Ludovico, il quale chiese di compiere cicli di affreschi nel casino ex del Monte, edificio già noto per l'affresco commissionato dal prelato francese nel 1597 a Caravaggio, con Giove, Nettuno e Plutone. Oltre all'Aurora nella volta della sala centrale al pian terreno, con nelle lunette dei due lati brevi il Giorno e la Notte, in quel giro d'anni il Domenichino verrà contestualmente chiamato per eseguire quattro scene di Paesaggi affrescati in una stanza adiacente, mentre ancora al Guercino verrà richiesta, al primo piano del complesso, la scena sulla volta della sala centrale con la Fama.

La villa, che porterà da questo momento in poi il titolo di Ludovisi, vedrà ampliare i propri spazi esterni e dei giardini grazie agli acquisti tra il 1622 e il 1623 della vigna del duca di Bracciano Giovan Antonio Orsini e di quella Capponi, prelevata dai frati carmelitani di Santa Maria in Traspontina, presso porta Salaria, consentendo quindi l'edificazione o il restauro di altri corpi di fabbrica insistenti in quegli ettari, come il palazzo Grande, dove verrà collocata la galleria delle statue antiche, e l'Uccelleria.[3] I giardini della villa furono anche loro riempiti di statue antiche lungo i viali, mentre nello slargo più ampio venne collocata una fontana del Tritone.[3]

Il Fanciullo che strozza l'anatra e la Venere accovacciata. Già in collezione Cesi, le due opere erano originariamente unite su un unico piedistallo di marmo costituendo il gruppo della Leda e il cigno. Vennero divise nel corso del Settecento, poi riunite nuovamente in un unico blocco, finché non furono separate definitivamente nel 1901.

La collezione di sculture antiche, disposte tutte negli spazi esterni o interni della villa Ludovisi, proviene dai rinvenimenti dei i cantieri di scavo della proprietà, dalle acquisizioni per dono o per acquisto avvenute essenzialmente tra il 1620 e il 1630.[3] Tra le immissioni più notevoli vi furono quelle delle opere provenienti dalle collezioni Cesarini, già nel palazzo dell'Esquilino, da quella Cesi, già nel palazzo di famiglia nei pressi della basilica di San Pietro, una delle più importanti collezioni di antichità del Cinquecento da cui pervennero opere come il gruppo della Leda e il cigno (che, assembrate e divise a più riprese, nel 1901 verranno definitivamente separate costituendo le due opere autonome del Fanciullo che strozza l'oca e della Venere accovacciata),[4][5] del Pan e Dafne e di altre ancora, mentre un'altra ancora dalla collezione Altemps sita nella residenza di Frascati, da cui pervenne l'Ercole in riposo.[3][6] Circa il gran numero di opere rinvenute durante i lavori di scavo dell'area dov'è la villa di famiglia, tra queste vi furono il Galata morente (oggi ai Musei capitolini di Roma) e quello suicida con moglie (oggi al Museo nazionale romano di Roma), mentre l'Ares Ludovisi fu scoperto in uno scavo del 1622 nei pressi della chiesa di San Salvatore in Campo.

Le opere vennero restaurate da alcuni dei più notevoli scultori del tempo.[6] Ippolito Buzzi operò sui due Apollo citaredo, sul gruppo di Amore e Psiche, di Oreste ed Elettra, sul Gruppo di sant'Ildefonso[7] e sulla statua di Antonino Pio; Gian Lorenzo Bernini, lavorò sull'Ares Ludovisi, una delle sculture simbolo dell'intera collezione, tra le più importanti della statuaria classica romana, mentre Alessandro Algardi, che entrò in buoni rapporti col suo mecenate anche grazie alla comune origine bolognese, fu incaricato di svolgere diversi restauri, tra cui l'Athena, l'Ermes Ludovisi e il Dadoforo.[6]

Le opere più importanti furono collocate nel palazzo Grande, altre divise tra il casino dell'Aurora e quello Capponi,[8] mentre nel giardino furono invece disposti sarcofagi, statue di satiri e sileni o sculture erme; erano infatti qui registrate il Pan e Dafne, il Satiro Versante e la Leda e il cigno (quindi le attuali statue divise nel Fanciullo che strozza l'oca e l'Afrodite accovacciata).[8]

Al 1626 risale anche la commessa, avanzata sempre dal cardinale Ludovico, per l'edificazione della chiesa di Sant'Ignazio di Loyola a Roma, canonizzata nel 1622 durante il pontificato Ludovisi di Gregorio XV.

Le pitture e sculture
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Gian Lorenzo Bernini, Ratto di Proserpina

Ludovico Ludovisi raccolse contestualmente alle opere archeologiche anche una notevole collezione di pitture, per lo più di grande dimensione,[9] di cui si ha testimonianza tramite due inventari, uno redatto nel 1623, alla morte del papa Gregorio XV, e un altro nel 1633, alla morte del cardinale stesso.[10] Erano registrati in questi inventari quadri di Tiziano, Bonifacio Veronese, Jacopo Bassano, Giovanni Bellini, Dosso Dossi, Francesco Francia, Garofalo, Guercino, Guido Reni, Ludovico Carracci, Domenichino e altri.[10]

Dosso Dossi, Apollo e Dafne

La collezione era pressoché tutta proveniente da opere contemporanee al cardinale, denotando che non vi furono mai stati grossi lasciti, immissioni o donazioni provenienti da altre collezioni precedenti (su tutte, ad esempio, quelle estensi provenienti da Ferrara, o piuttosto quella Aldobrandini di Roma, da cui, seppur imparentati, a parte la Madonna del Passeggio di Raffaello[11] un Noli me tangere del Correggio e i due Baccanali di Tiziano donati da Olimpia a Ludovico Ludovisi in occasione della sua nomina cardinalizia, gran parte della loro raccolta confluì invece in quelle Borghese e Pamphilj). Un nucleo importante di dipinti di scuola bolognese, su tutti di Guercino e Domenichino, che per l'appunto furono una sorta di pittori di casa Ludovisi, fu raccolto da Alessandro prima di divenire papa, quando era legato alla città di Bologna col titolo di arcivescovo dal 1612 al 1621, giacché, una volta nominato pontefice massimo col nome di Gregorio XV, non potendo portare con sé alcuna opera artistica, fece dono delle sue raccolte al cardinal-nipote (com'era usanza fare).

Nel 1621 il cardinale Ludovisi acquista il palazzo Colonna nel ducato di Zagarolo, di cui erano signori, che per l'occasione fu chiamato proprio il Domenichino e Giovanni Battista Viola a decorare gli interni con cicli di affreschi paesaggisti eseguiti su richiesta dello stesso Ludovico.

Guercino, Susanna e i vecchioni

Le fonti storiche lasciate da Giovanni Pietro Bellori (Nota delli musei) e da Fioravante Martinelli (Roma Ornata) citano molte opere d'arte nella collezione, distribuite tra le proprietà di Roma e di Zagarolo, dove aveva dimora abituale il fratello del cardinale, Niccolò. Tra le più importanti vi erano due Paesaggi del Domenichino, una Susanna e i vecchioni (oggi al Museo del Prado di Madrid) e una Venere al bagno (oggi alla National Gallery di Washington) del Guercino, un San Francesco di Guido Reni (identificabile con quello poi confluito dapprima nella collezione Pamphilj del principe Camillo e poi, dal 1665, nelle raccolte di Luigi XIV, poi passate nel Museo del Louvre a Parigi, dove sono tuttora), una Galatea di Annibale Carracci (copia da Raffaello), un Apollo e Dafne di Dosso Dossi e il gruppo scultoreo del Ratto di Proserpina di Gian Lorenzo Bernini (entrambe già di Scipione Borghese e donate al cardinale Ludovico nel 1621, dove rimasero fino al 1908, quando furono poi acquistate dallo Stato italiano; oggi tutte e due ritornate alla Galleria Borghese a Roma) e il cosiddetto Doppio ritratto[12] attribuito a Giorgione (oggi al Museo di palazzo Venezia a Roma).

Nel 1632 il cardinale Ludovico Ludovisi muore, tutta la collezione passa dunque al fratello Niccolò, signore di Gesualdo e principe di Piombino, marito in terze nozze di Costanza Pamphilj, figlia di Pamphilio nonché nipote di papa Innocenzo X (quest'ultimo che, nel 1653, finanziò per i Ludovisi il palazzo in Campo Marzio, oggi Montecitorio, che tuttavia, per dissidi familiari, fu interrotto l'anno seguente e accantonato del tutto alla morte del principe).[8]

Le dismissioni delle opere pittoriche sotto il principe Niccolò

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Erma di Ercole con mazza, originariamente collocata nel giardino di villa Ludovisi

Gli anni immediatamente successivi alla morte di Ludovico Ludovisi furono anni di consolidamento del successo della sua raccolta di antichità.[8] Seppur il cardinale collezionò anche opere pittoriche di particolare importanza, per lo più del rinascimento veneto e del barocco emiliano-romano, la notorietà negli ambienti culturali era determinata principalmente dai pezzi archeologici, alcuni dei quali costituivano al momento i più notevoli del Seicento.[8]

Per volere di Niccolò, comunque, immediatamente dopo la morte di Ludovico, i quadri più grandi della collezione pittorica romana furono spostati dalla villa di famiglia alla residenza di Zagarolo.[9]

Nonostante il fatto che, comunque, a differenza di altre collezioni contemporanee (come ad esempio quella Borghese o Giustiniani), quella Ludovisi era di difficile accesso al pubblico, tant'è che i proprietari intendevano aprire le porte della propria villa solo a personaggi di alto rango o studiosi che venivano a fare visita alla città,[13] l'importanza che raggiunsero le opere archeologiche del catalogo è testimoniata da una serie di repliche e bozzetti eseguiti durante tutto il XVII e XVIII secolo che contribuirono ulteriormente alla diffusione del loro successo.

A Firenze vennero realizzati nella bottega del Giambologna alcuni bronzi, allorché un suo collaboratore, Giovan Francesco Susini, recatosi a Roma nei primi anni '20 del secolo, copiò alcune sculture antiche note a Roma in quegli anni.[14] A parte il Toro Farnese e l'Ermafrodito Borghese, le opere replicate erano quasi tutte entro le raccolte del principe Niccolò I Ludovisi (di cui era anch'egli stesso collezionista di talune di queste, esposte al primo piano del casino dell'Aurora): i bozzetti erano quindi di un Gladiatore che si riposa (forse il Guerriero seduto), dell'Ares (oggi all'Ashmolean Museum di Oxford), del Gladiatore ferito e moribondo (ossia il Galata morente, oggi al Museo del Bargello a Firenze), del Galata suicida e la moglie (oggi al palazzo Colonna di Roma) e altre ancora.[14]

Ermes Ludovisi

Nel 1638 l'incisore francese Francois Perrier pubblica una raccolta di 100 acqueforti, il "Segmenta Nobilium Signorium et Statuarum....", ossia un catalogo delle più prestigiose sculture antiche presenti nelle collezioni romane,[15] dove su circa 80 opere totali, dalla collezione Ludovisi meritarono menzione ben 12 sculture (il Console, il Galata suicida e la moglie, il Castore e Polluce, l'Ares, l'Oreste ed Elettra, l'Hermes Loghios, il Pan e Dafne, il Bacco, la Musa, la Sabina, il Galata morente e il Sileno sdraiato) più di quelle della collezione Farnese (cinque), leggermente meno di quella Medici (quattordici) e meno di quelle della raccolta Borghese (venti).[16]

Guido Reni, Caduta di Saulo

Nonostante questi riconoscimenti, con la successione di Niccolò a Ludovico Ludovisi, la famiglia iniziò ad accumulare alcuni debiti che costrinse la stessa a smembrare parte dei propri beni pur di riuscire a fronteggiare le insolvenze generate.[9] Gran parte dei dipinti venduti dal principe Niccolò presero la via della Francia o della Spagna: in quest'ultimo caso, dove presero direzione opere come le due tele di Tiziano, Baccanale degli Andrii e Baccanale con la festa di Venere, il Noli me tangere del Correggio, il Lot e le figlie del Guercino e la Caduta di Saulo di Guido Reni,[17] i dipinti ebbero un deflusso per donazione in favore del re Filippo IV già a partire dal 1640, in riconoscenza della concessione di questi del titolo di principe di Piombino, che avvenne nel 1634, e per ulteriori favori ricevuti da Niccolò durante gli anni del suo regno in Spagna.[9]

Nel 1649 lo stesso re di Spagna invia a Roma Velazquez, soprintendente alle opere d'arte.[14] Tra i vari incarichi assegnati all'artista spagnolo durante il suo soggiorno in Italia vi fu anche quello di selezionare e riprodurre alcune opere di antichità, utili sia come modelli per temi pittorici (è il caso dell'Ares con il Marte in riposo), ma anche come base per effettuare in terra ispanica le repliche scultoree a grandezza naturale.[14] Anche in questo caso, come avvenne per i bozzetti Susini o le incisioni Perrier, molte scelte ricaddero sui pezzi della collezione Ludovisi: sono questi i casi dell'Ares, del Galata morente, del Satiro versante e dell'Hermes Loghios.[14]

La collezione sotto il principe Giovan Battista e l'estinzione del casato

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Pan e Dafne

Alla morte di Niccolò, avvenuta nel 1664, la raccolta passa al suo primogenito maschio, Giovan Battista, unico maschio di cinque figli, il quale, già a partire dal 1665, avviò ulteriori smembramenti delle opere e delle proprietà di famiglia.[8] A questi anni risale infatti la cessione del palazzo già Colonna e del ducato di Zagarolo alla famiglia Rospigliosi, con contestuale trasferimento anche di parte della collezione pittorica conservata nella dimora Ludovisi del territorio, che poi trasmigrarono successivamente dalle raccolte Rospigliosi alle collezioni Pallavicini (soprattutto tele di provenienza bolognese, come il Peccato originale del Domenichino, il Sansone e i filistei, attribuito inizialmente a un Carracci e oggi riportato a Francesco Brizio, il Rinaldo e Armida e il Trionfo di David di Lucio Massari).[18]

Galata suicida con moglie

Al 1666 risale l'interesse del re di Francia verso la villa Ludovisi Pinciana con tutte le sculture facenti parte della collezione.[19] Jean-Baptiste Colbert tentò infatti di concretizzare la trattativa di acquisto senza però ricevere esito positivo.[19] Ciò che il Colbert ottenne in ordine alla statuaria fu invece solo la realizzazione dei calchi di gran parte delle opere (circa 300 pezzi), che poi furono inviati in Francia intorno al 1670 per consentire la realizzazione dei marmi da utilizzare per i viali della reggia di Versailles e di altre residenze reali d'oltralpe.[19] Con il trasferimento dei calchi, la magnificenza della collezione Ludovisi si diffuse anche nei territori contigui a quello francese, come quello svedese, dove nel 1687 Nicodemus Tessin tentò di acquistare tutti i calchi dei pezzi, o come quello polacco, dove al re furono donate diverse repliche derivate.[19]

Intorno al 1668-1669 avvenne un'altra stesura di tavole raffiguranti i pezzi d'antichità più importanti delle collezioni europee, sulla falsariga di quella Perrier, ossia le Icones dell'olandese Jan de Bisschop: grazie alla realizzazione di questo catalogo, le sculture Ludovisi, delle quali erano incise il Galata suicida con la moglie e la Venere accovacciata, giunsero alla notorietà anche nei territori fiamminghi.[20] Nel 1669 Ferdinando II de' Medici acquista per la propria collezione l'Ermafrodito dormiente (oggi agli Uffizi di Firenze), altra versione del soggetto particolarmente celebre già dai primi del XVII secolo grazie soprattutto alle due versioni Borghese (di cui una, la più nota, confluita al Louvre di Parigi mentre un'altra rimasta alla villa Pinciana di Roma).[21]

Al 1670, per fronteggiare ancora una volta i debiti, avvenne su volontà di Giovan Battista un'altra importante cessione in blocco di opere pittoriche della collezione, tra cui le tre grandi tele del Domenichino con il Paesaggio con Caco, il Paesaggio con Ercole e il Paesaggio con Ercole e Acheloo (oggi al Louvre di Parigi) presero la via della Francia di Luigi XIV, quella del Guercino con la Susanna e i vecchioni, prese quella della Spagna (oggi al Prado di Madrid) e, ancora, il Paesaggio con la fuga in Egitto fu venduto al cardinale Giulio Mazzarino (oggi al Louvre di Parigi).[9]

Nel 1679 con le incisioni di Joachim von Sandrart effettuate anni prima, durante gli anni in cui era impegnato per i Giustiniani nell'esecuzione del testo sulla Galleria Giustiniana, tra il 1629 e il 1635, si proseguì il tracciato di Perrier e Bisschop.[22] Fu infatti pubblicato a Norimberga un volume sul trattato delle arti, l'Accademia Todesca, che includeva nel testo anche tavole sulla statuaria classica riprese da disegni dello stesso Sandrart: vi erano segnalati, ancora una volta, il Galata suicida con la moglie, l'Oreste ed Elettra e il Marte elmato (Lucio Scipione).[22]

Morto Giovan Battista nel 1699, senza eredi, la linea maschile della famiglia si estinse.[8]

Guerriero seduto
Galata morente
Acrolito Ludovisi

La collezione, rimasta superstite per lo più delle opere di antichità, fu ereditata da Ippolita Ludovisi, sorella di Giovan Battista e moglie di Gregorio I Boncompagni, il quale acquisirà i titoli e i beni Ludovisi, dando origine al ramo nobiliare Boncompagni-Ludovisi ancora attualmente esistente.[8] Nel corso del XVIII secolo la villa di famiglia perse di rilevanza nelle logiche interne dinastiche (gli ultimi ad abitarla furono proprio Ippolita e Gregorio Boncompagni) seppur gli spazi di sua pertinenza, sia esterni che interni, restavano adorni delle sculture antiche della collezione.[8] Tra il 1709 e il 1713 avvengono le commesse del monumento funebre a Gregorio XV e della tomba del cardinale Ludovico, realizzati da Pierre Legros il Giovane nella cappella Ludovisi della chiesa di Sant'Ignazio di Loyola a Roma, dove furono traslate le rispettive spoglie, dalla cappella dell'Annunziata del Collegio Romano, per quanto riguarda il pontefice, e dalla cattedrale di San Pietro di Bologna, per quel che riguarda il cardinal nipote.

L'Oreste e Elettra e il Ritratto di Francis Basset di Pompeo Batoni, dove sulla colonna è ripresa la scultura antica

Nel 1733 dagli horti fu ritrovato l'Acrolito Ludovisi, statua raffigurante il volto della Venere Ericina. Nel 1737 papa Clemente XII acquistò la statua del Galata morente, all'epoca entro il palazzo Piombino di via del Corso a Roma (distrutto nei primi del Novecento), per collocarla nel nascente museo cittadino del palazzo dei Conservatori, i Musei capitolini (giacché nei primi dell'Ottocento la scultura fu requisita durante le spoliazioni napoleoniche e ritornò a Roma solo nel 1815).[23]

Non mancarono anche durante questo secolo illustri personalità che giunsero a Roma per ammirare le opere Ludovisi, le cui testimonianze contribuirono ulteriormente a diffonderne in tutta Europa la loro stesura.[24] Domenico De Rossi nel 1704, con le sue Raccolte di statue antiche e moderne, elenca diverse opere del catalogo, Etienne Parrocel invece ne riprende alcune con i disegni e Johann Joachim Winckelmann, ancora, ne esalta le fattezze nei suoi scritti del 1764 e 1767, dove giudicò l'Ares come «una delle tre più belle statue sul dio» mentre l'Apollo citaredo (Nomios) la più bella in assoluto dopo quello Belvedere.[24]

Anche il giovane Antonio Canova nel 1780 esegue alcuni disegni delle opere, che poi porterà a Venezia, mentre diversi pittori del tempo utilizzarono le sculture come modelli o elementi riempitivi per i propri dipinti: sono questi i casi di Pompeo Batoni, che riutilizzò diversi busti e gruppi marmorei, tra cui l'Ares e l'Oreste ed Elettra, o Giambattista Canal che negli affreschi del palazzo Mangilli Valmarana a Venezia inserì in una composizione sempre il gruppo dell'Oreste ed Elettra.[24]

Sul finire del Settecento, con l'avvento della Repubblica romana e il primo controllo delle truppe francesi dei territori italiani, la famiglia Boncompagni Ludovisi fu interessata da una condizione debitoria aggravata rispetto a quella precedente che la condusse in crisi finanziaria stabile, costringendola a cedere diverse sculture del proprio catalogo, fino a quel momento scampate a questa sorte.[8]

Ottocento e Novecento

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Satiro versante

Nel corso del XIX secolo la collezione fu risistemata pressoché tutta negli spazi coperti della villa Ludovisi, essenzialmente nel casino Capponi, che fu restaurato in tal senso per ospitare la raccolta scultorea, dove erano collocate l'Ares, il Guerriero seduto (che si spostavano da sempre in pendant) il Busto di Antinoo Ludovisi, il Pan e Dafne (fino a quel momento esposto nei giardini) e altre opere, ma anche nel palazzo Grande, dove già dal 1665 fu collocato il Satiro versante (un tempo esposto all'esterno in un'edicola apposita, poi sostituito dal cosiddetto Pan di Michelangelo) e nel casino dell'Aurora, mentre solo una minima parte dei pezzi rimase lungo i viali del giardino per abbellire le passeggiate.[13] I lavori di adeguamento espositivo furono supervisionati da Antonio Canova nel 1806.[8]

Al 1820 risale l'editto Pacca, con il quale la collezione veniva vincolata allo Stato Pontificio, così da evitare la dispersione delle ricchezze romane nei territori d'oltralpe e non solo.[13]

Busto di Antinoo Ludovisi

Tra il 1825 e il 1851 il principe Luigi Boncompagni Ludovisi e il figlio Antonio ripristinarono l'interesse familiare verso la villa, espandendo i propri spazi con l'acquisto di altri lotti di terra e fabbricati contigui.[13] La proprietà raggiunse i 25 ettari, dunque il massimo della sua estensione fin dai tempi del cardinale Ludovico (quando ammontava a 19 ettari).[13]

Contestualmente ai lavori nella villa, la collezione scultorea fu interessata anch'essa da nuove immissioni, arrivando a contare in totale, nel 1880, circa 339 opere d'antichità.[13] Con Rodolfo Boncompagni Ludovisi, intorno al 1883, la proprietà fu lottizzata: il palazzo Grande fu parzialmente ridotto per consentire l'edificazione di un altro fabbricato accanto, la dimora Piombino di via Vittorio Veneto, in sostituzione di quella di via del Corso, da cui i proprietari furono espropriati per la costruzione della Galleria Colonna, mentre diversi ettari di giardino della villa Pinciana furono distrutti del tutto, in favore di altri edifici, tutti sempre entro le pertinenze della villa storica originaria, tra cui il villino Boncompagni Ludovisi e quello Maraini.[13]

Nel 1885 avvennero gli abbattimenti dell'Uccelleria e di altre strutture della villa: il principe di Venosa, Ignazio Boncompagni Ludovisi, per l'occasione avviò una campagna fotografica di tutta la villa, costruendo così un catalogo storico della residenza (poi donato nel 1930 al comune di Roma e esposto nel Museo di palazzo Braschi).[2] Durante questi cantieri, da cui si salvarono solo il casino dell'Aurora e la facciata con la scalinata del palazzo Grande, oggi addossata al palazzo Margherita, sede dell'Ambasciata degli Stati Uniti in Italia, furono rinvenuti ulteriori pezzi che entrarono a far parte della collezione, tra cui il Trono Ludovisi.[25].

Sul finire del secolo la famiglia Boncompagni-Ludovisi si attivò per smembrare del tutto la propria collezione d'arte, tuttavia il vincolo di indivisibilità e inalienabilità delle collezioni d'arte che era intanto entrato in vigore dopo l'abolizione, nel 1865, della legge sul fidecommesso impedì di procedere in questo senso.[2] Lo Stato italiano di contro si prodigò per attivare una convenzione con la famiglia atta a salvaguardare il patrimonio artistico lasciandolo alla città di Roma: in questo modo si riuscì ad acquistare nel 1901 solo una parte della stessa collezione archeologica, un centinaio di sculture costituenti il nucleo della collezione di antichità,[2] oggi tutte al Museo nazionale Romano, per lo più al palazzo Altemps.[26]

Già smembrata del tutto la collezione, sia nella componente artistica che archeologica, nel 2021 viene messo in vendita all'asta dagli ultimi eredi Boncompagni Ludovisi il casino dell'Aurora, dove sono rimasti gli affreschi del Guercino commissionati dal cardinale Ludovico e quello del Caravaggio, risalente alla precedente gestione del cardinale Francesco Maria Del Monte.[27]

Elenco parziale delle opere

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Amore e Psiche
Apollo citaredo (Nomios)
Athena con serpente
Dionisio con serpente
Dioniso Ludovisi
Ercole in riposo
Satiro e ninfa
Testa di Hera Ludovisi

Scultura e pittura

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Correggio, Noli me tangere
Domenichino, Paesaggio con Ercole e Acheloo
Domenichino, Santa Cecilia
Giorgione (attribuito), Doppio ritratto
Tiziano, Baccanale degli Andrii

Albero genealogico degli eredi della collezione

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Segue un sommario albero genealogico degli eredi della collezione Ludovisi, dove sono evidenziati in grassetto gli esponenti della famiglia che hanno ereditato, custodito, o che comunque sono risultati influenti nelle dinamiche inerenti alla collezione d'arte. Per semplicità, il cognome Ludovisi viene abbreviato a "L.".

 Pompeo Ludovisi
 
  
 Alessandro L.
(1554-1623)
(papa dal 1621 al 1623 col nome di Gregorio XV)
Orazio L.
(1561-1624)
 
   
 Ludovico L.
(1595-1632)
(cardinal nipote, fu l'artefice della collezione d'arte di famiglia)
Niccolò L.
(1610-1664)
(sposò in terze nozze Costanza Pamphilj, nipote di papa Innocenzo X, figlia di Pamphilio Pamphilj e Olimpia Maidalchini)
Ippolita L.
(sposò Giovan Giorgio Aldobrandini e fu madre di Olimpia Aldobrandini, quest'ultima moglie in prime nozze di Paolo Borghese e in seconde di Camillo Francesco Maria Pamphili, anch'egli nipote di papa Innocenzo X, figlio di Pamphilio Pamphilj e Olimpia Maidalchini)
 
     
Giovanni Battista I L.
(1647- 1699)
(cedette il ducato di Zagarolo con la propria residenza familiare e le pitture ivi custodite alla famiglia Rospigliosi)
Olimpia L.
(1656 -1700)
(fu monaca)
Lavinia L.
(1659-1682)
(sposò Giangirolamo Acquaviva d'Aragona, duca di Atri)
Ippolita L.
(1663-1733)
(sposò Gregorio Boncompagni, V duca di Sora (1642-1707), da cui ebbe seguito la dinastia Boncompagni-Ludovisi)
Nicolina L. (1665-?)
 
   
 Ugo Boncompagni L.
(1684–1686)
Maria Eleonora Boncompagni L.
(1686–1745)
(divenne erede dopo la prematura morte dell'unico maschio primogenito; sposò lo zio Antonio I Boncompagni)
...e altre 4 sorelle
 
  
 Gaetano I Boncompagni L.
(1706-1777)
... e altre 4 fratelli/sorelle
 
  
 Antonio II Boncompagni L.
(1735-1805)
... e altre 8 fratelli/sorelle
 
  
 Luigi I Boncompagni L.
(1767-1841)
(assieme al figlio ripristinò l'interesse familiare verso la villa Ludovisi effettuando lavori che la portarono alla massima espansione mai raggiunta fino a quel momento)
...e altri 2 fratelli/sorelle
 
  
 Antonio Boncompagni L.
(1808-1883)
(assieme al padre ripristinò l'interesse familiare verso la villa Ludovisi effettuando lavori che la portarono alla massima espansione mai raggiunta fino a quel momento)
...e altri 2 fratelli/sorelle
 
   
Rodolfo Boncompagni L.
(1832-1911)
(assieme al fratello cedette nel 1901 la collezione di antichità allo Stato italiano)
Ignazio Boncompagni L.
(1843-1913)
(assieme al fratello cedette nel 1901 la collezione di antichità allo Stato italiano)
...e altre 3 sorelle
  1. ^ a b c d e A. Giuliano, p. 9.
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Voci correlate

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