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Billy Wilder

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Gloria Swanson e Billy Wilder (1950) in una foto pubblicitaria
Statuetta dell'Oscar Oscar al miglior regista 1946
Statuetta dell'Oscar Oscar alla migliore sceneggiatura non originale 1946
Statuetta dell'Oscar Oscar alla migliore sceneggiatura originale 1951
Statuetta dell'Oscar Oscar al miglior film 1961
Statuetta dell'Oscar Oscar al miglior regista 1961
Statuetta dell'Oscar Oscar alla migliore sceneggiatura originale 1961
Statuetta dell'Oscar Oscar alla memoria Irving G. Thalberg 1988

Samuel Wilder, detto Billy (pronuncia inglese americana: [ˈwaɪldər], pronuncia tedesca: [ˈvɪldɐ]; Sucha, 22 giugno 1906Beverly Hills, 27 marzo 2002), è stato un regista, sceneggiatore e produttore cinematografico austriaco naturalizzato statunitense.

Fratello dello sceneggiatore e regista W. Lee Wilder, è considerato uno dei registi e sceneggiatori più prolifici ed eclettici nella storia del cinema statunitense ed è divenuto celebre come uno dei padri della commedia brillante americana, ma è anche da annoverare fra i fondatori del genere noir.[senza fonte] Maestro indiscusso della commedia americana degli anni cinquanta e sessanta, ha saputo imporre il proprio stile di fumettista moralista e caustico. Wilder ha invocato temi polemici nei suoi film comici e ha tentato di sfidare l'opinione prevalente e l'anglosassone puritanesimo. In circa cinquant'anni di carriera ha diretto oltre venticinque film e scritto settantacinque sceneggiature, usando talvolta - agli inizi - anche il nome di Billie Wilder (pronunciato alla tedesca e non all'inglese).

Wilder nacque a Sucha, una cittadina della Galizia (all'epoca una provincia dell'Impero austro-ungarico, oggi parte della Polonia)[1], nel 1906 in una famiglia d'origine polacca [2], figlio di Max Wilder ed Eugenia Dittler, proprietari e gestori d'un negozio di dolciumi situato nei pressi della stazione ferroviaria cittadina. In famiglia era spesso chiamato affettuosamente (specie dalla madre) Billie, nomignolo col quale cominciò a firmarsi per la sua carriera cinematografica e che americanizzerà poi in Billy una volta stabilitosi negli Stati Uniti.

Trasferitosi al seguito della famiglia a Vienna, dove si diplomò presso il locale Gymnasium, anziché proseguire gli studi all'Università di Vienna, come avrebbero voluto i genitori, scelse piuttosto di dedicarsi al giornalismo. Nel 1926, ad appena vent'anni, emigrò in Germania, a Berlino, dove seguì la tournée europea del jazzista Paul Whiteman, di cui tra l'altro era un patito ed al quale s'era inizialmente avvicinato per intervistarlo per un quotidiano viennese[3].

Nell'effervescente ambiente artistico della capitale tedesca, Wilder, usufruendo di alcuni contatti passatigli dallo stesso Whiteman, cominciò ad addentrarsi nel mondo della celluloide, pur ritrovandosi costretto per sbarcare il lunario a svolgere vari lavoretti paralleli, come il ballerino da sala a pagamento[4][5]. Avviatosi dunque come sceneggiatore, partecipò alla lavorazione di Uomini di domenica, un documentario diretto da Robert Siodmak, Fred Zinnemann e altri, continuando a scrivere per Siodmak altre sue pellicole quali L'uomo che cerca il suo assassino (1930), ma lavorò anche con altri registi, come Hanns Schwarz, Gerhard Lamprecht, Paul Martin e Hans Steinhoff.

All'ascesa al potere di Adolf Hitler nel 1933, Wilder decise d'espatriare: nel gennaio del 1934 giunse negli Stati Uniti, dopo un breve periodo di passaggio in Francia (dove tra l'altro ebbe l'occasione di girare a Parigi, in coppia con Alexander Esway, il suo primo film in qualità di regista, Amore che redime, di scarso successo però[6]).

Carriera negli Stati Uniti

Grazie al sostegno di altri emigrati di origine ebraico-tedesca (fra i quali l'attore Peter Lorre, i registi Ernst Lubitsch, William Dieterle, Wilhelm Thiele e Joe May), negli USA Wilder proseguì la sua attività di sceneggiatore, riscuotendo significativi successi e ottenendo nel 1939 la prima candidatura al Premio Oscar per Ninotchka, interpretato da Greta Garbo. Tra le collaborazioni vanno ricordate anche quelle con Raoul Walsh, Edward Ludwig, Theodore Reed, Victor Schertzinger (per Rhythm on the River, con Bing Crosby) e altri registi, ma soprattutto con lo sceneggiatore Charles Brackett, con il quale collaborerà per anni anche da regista. Ormai consacrato come uno dei più dotati ed eclettici scrittori di Hollywood, l'anno successivo il trentaseienne Wilder ottenne due altre candidature all'Oscar per la sceneggiatura delle commedie La porta d'oro (1941) di Mitchell Leisen, e Colpo di fulmine (1941) di Howard Hawks.

Se già dal 1934 aveva debuttato come regista in Francia, è di fatto solo nel 1942 che Wilder riuscì a dirigere il suo primo vero film, la commedia Frutto proibito (1942), interpretata da Ginger Rogers e Ray Milland che, in forza degli equivoci e dei travestimenti che ne caratterizzarono la brillante trama, segnò quello che diventerà il tipico stile di Wilder nella narrazione cinematografica, da cui egli trarrà risultati artisticamente magistrali.

Il secondo film da regista, I cinque segreti del deserto (1943), basato su un lavoro teatrale di Lajos Biró, ma reso attuale e ambientato nella guerra contro Erwin Rommel (interpretato da Erich von Stroheim, altro emigrato austriaco che pare collaborò con Wilder e Brackett a qualche dialogo), fu di tutt'altro genere. In qualche modo, con le sue battaglie di carri armati (ambientate in Libia ma girate in realtà in California) e le azioni di spionaggio militare, il film si collegò a quel filone di opere di propaganda anti-nazista che vennero frequentemente realizzate all'epoca (anche da Hawks, o da Frank Capra, che però lavorò con un taglio più documentaristico) e per questo sottovalutate, ma poi rivalutate dalla critica più recente.

In un'intervista contenuta nel documentario che Volker Schlöndorff realizzò su di lui (Billy, ma come hai fatto?, 1992), Wilder ammise che durante la lavorazione del film non amava farsene vanto, ma credeva sinceramente di poter dare un contributo alla disfatta di Hitler (dichiarazione importante, visto che per tutta la vita il regista fu etichettato come "cinico").

Wilder e il dramma

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Il successivo La fiamma del peccato (1944), tratto da un romanzo di James M. Cain e sceneggiato con Raymond Chandler (che odiò il film e Wilder stesso[7]), è considerato uno dei classici del genere noir, e ottenne la candidatura agli Oscar per la migliore regia. L'indimenticabile interpretazione di Barbara Stanwyck e la suggestiva fotografia di John Seitz contribuirono al grande successo del film, del quale esiste un remake televisivo girato nel 1973 da Jack Smight con lo stesso titolo.

Nel 1946 Wilder vinse i primi 2 dei 7 Oscar della sua carriera, in veste sia di sceneggiatore che di regista del film drammatico Giorni perduti (1945). Anche se la guerra non era ancora terminata, e i veterani disadattati e alcolisti non popolavano ancora l'immaginario filmico degli americani, il film narrò il fallimento e la solitudine del protagonista (Ray Milland, premiato anch'egli con l'Oscar per la sua interpretazione), le cui allucinazioni vennero filmate con un uso sapiente dei chiaroscuri e dei piani di messa a fuoco, ispirati al cinema espressionista degli anni Venti.

Due anni più tardi fu la volta de Il valzer dell'imperatore (1948), commedia musicale con Bing Crosby, qui senza l'abituale partner artistico Bob Hope, e con Joan Fontaine, che nello stesso anno girò Lettera da una sconosciuta (1948) di Max Ophüls. Successivamente Wilder tornò in Germania per la prima volta dopo la guerra per ambientarvi Scandalo internazionale (1948), una storia d'amore ambientata nella Berlino dell'immediato dopoguerra, con in primo piano il caos della vita notturna e del cabaret e i problemi legati alla sopravvivenza e alla pratica della borsa nera.

A questo seguiranno altri capolavori come il noir Viale del tramonto (1950) (Oscar per la sceneggiatura originale, per la scenografia e per la colonna sonora[8]), che si apre con la morte del protagonista (William Holden) e poi ricostruisce la vicenda attraverso la narrazione fuori campo del morto (tecnica usata per la prima volta), che rievoca gli episodi che l'hanno portato a sfuggire ai creditori e a rifugiarsi nella villa di un'anziana diva del muto (interpretata da Gloria Swanson) e del suo strano e laconico domestico (interpretato dall'attore e regista Erich von Stroheim)[9]. Fu poi la volta de L'asso nella manica (1951) (candidato per la sceneggiatura scritta con Walter Newman e Lesser Samuels), ambientato nel mondo del giornalismo di provincia, e del tragicomico film di guerra Stalag 17 (1953) (candidato per la regia e Oscar al migliore attore per il protagonista William Holden).

Wilder e la commedia

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Se fino agli anni cinquanta i maggiori successi di Wilder furono rappresentati da pellicole drammatiche, verso la metà del decennio la sua produzione sembrò orientarsi sempre più spesso nella direzione della commedia leggera, esplicitamente ispirata allo stile del suo mentore Ernst Lubitsch (nello studio di Wilder si trovava una targa, ora esposta al Museo del Cinema di Berlino, con scritto: "How would Lubitsch do it?" cioè "Come lo farebbe Lubitsch?"). Grazie a questo genere, Wilder diresse con enorme successo pellicole entrate nella storia del cinema, come Sabrina (1954) con Audrey Hepburn e Humphrey Bogart[10]; Quando la moglie è in vacanza (1955), tratto da una commedia teatrale di George Axelrod e uno dei primi grandi successi di Marilyn Monroe, da allora divenuta simbolo dei sogni erotici dell'americano medio e non solo; Arianna (1957), per il quale Wilder inaugurò un'altra delle sue importanti collaborazioni, quella con lo sceneggiatore I. A. L. Diamond, A qualcuno piace caldo (1959) (Oscar ai costumi[11]), probabilmente il suo film più famoso e da molti definito "perfetto"[12], nuovamente con la Monroe e, per la prima volta, con Jack Lemmon, attore con cui Wilder collaborerà spesso; L'appartamento (1960), vincitore di cinque Oscar[13] nel 1961, ma con altre 5 candidature, tra cui quella ai protagonisti Lemmon e Shirley MacLaine.

Nel frattempo Wilder girò anche L'aquila solitaria (1957), tratto da un libro autobiografico di Charles Lindbergh (qui interpretato da James Stewart), in cui è narrata la storia della prima trasvolata atlantica, e Testimone d'accusa (1957), tratto da un racconto di Agatha Christie e dalla stessa pubblicamente celebrato come il migliore film mai tratto da una sua opera[14].

La tomba di Billy Wilder al Westwood Memorial Cemetery di Los Angeles.

Negli anni sessanta Wilder diresse ancora quattro commedie esemplari e di grande successo: Uno, due, tre! (1961), in cui si divertì a ironizzare sulle operazioni commerciali con i sovietici, in piena guerra fredda, Irma la dolce (1963) (Oscar alle musiche[15]), nuovamente con Lemmon e la MacLaine[16], dei quattro l'unico film a colori, Baciami, stupido (1964) con Dean Martin e Kim Novak, divertente commedia degli equivoci, ma anche spunto di riflessione più serio sui sotterfugi del successo, e Non per soldi... ma per denaro (1966), prima pellicola interpretata dalla coppia Lemmon-Matthau; il film, l'ultimo in bianco e nero diretto da Wilder, frutterà l'Oscar a Walter Matthau e una candidatura per la sceneggiatura alla rodata coppia Wilder e Diamond.

Dopo decenni di frenetica attività, negli anni settanta la vena creativa di Wilder apparve poco interessata ad adattarsi al mutare dei tempi. In questo decennio girò Vita privata di Sherlock Holmes (1970), in un momento di amarezza per non essere riuscito a dirigere La strana coppia, la commedia di Neil Simon che fu invece portata sullo schermo dal regista Gene Saks, in cui riprese in qualche modo il tema del confronto quotidiano tra due uomini scapoli, Che cosa è successo tra mio padre e tua madre? (1972) (a suo modo, una nuova variante di "strana coppia"), Prima pagina (1974), nuovamente di ambientazione giornalistica, e Fedora (1978).

Con Buddy Buddy (1981), remake del film francese Il rompiballe (1973) di Édouard Molinaro, Wilder chiuse la sua carriera. Ritiratosi dalle scene, morì nel 2002, a 95 anni, per una polmonite.

Wilder fu sposato due volte: dal 1936 al 1946 con Judith Coppicus, da cui ebbe due figli gemelli, Vincent e Victoria, nati nel 1939; sul set di Giorni perduti (1945) conobbe l'attrice Audrey Young, che sposò nel 1949 e con cui rimase fino alla morte.

Sceneggiatore

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Riconoscimenti

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Billy Wilder è la nona persona ad aver ricevuto più premi Oscar nella storia. Ha vinto, infatti, 7 statuette su 21 candidature[17].

Festival di Cannes

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Conquista il Grand Prix Speciale della Giuria nel 1946 per Giorni perduti (The Lost Weekend)

David di Donatello

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Conquista il David di Donatello nel 1975 per Prima pagina (The Front Page)

Festival di Venezia

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Nominato 4 volte, ottiene il riconoscimento in 2 occasioni:

Kennedy Center Honors - nastrino per uniforme ordinaria
— 2 dicembre 1990
  1. ^ Billy Wilder Biography, in Biography.com, 2015. URL consultato il 2 maggio 2015 (archiviato dall'url originale il 9 maggio 2015).
  2. ^ Dean E. Murphy, Polish Town Goes Wild Over Wilder, su Los Angeles Times, Los Angeles Times. URL consultato il 13 luglio 2020.
  3. ^ (EN) Aljean Harmetz, Billy Wilder, Master of Caustic Films, Dies at 95, in The New York Times, 29 marzo 2002, ISSN 0362-4331 (WC · ACNP). URL consultato il 4 febbraio 2020.
  4. ^ Philips, Alastair. City of Darkness, City of Light: Emigre Filmmakers in Paris, 1929–1939. Amsterdam University Press, 2004. p. 190.
  5. ^ Silvester, Christopher. The Grove Book of Hollywood. Grove Press, 2002. p. 311
  6. ^ Per attingere a notizie sulla biografia è utile consultare Hellmuth Karasek, Billy Wilder un viennese a Hollywood, Mondadori, 1993
  7. ^ Lo dice Axel Madsen nella sua monografia su Wilder del 1968.
  8. ^ Rispettivamente di Charles Brackett, Billy Wilder e D. M. Marshman Jr.; di Hans Dreier, John Meehan, Sam Comer e Ray Moyer; e di Franz Waxman.
  9. ^ È questo anche l'ultimo film scritto con Charles Brackett.
  10. ^ rimpiazzati con minore successo da Julia Ormond e Harrison Ford nel remake del 1995 di Sydney Pollack.
  11. ^ Di Orry-Kelly.
  12. ^ Definizione che gioca in antitesi con la battuta finale del film, quando, scoperto che Lemmon non è una donna, Joe E. Brown esclama: "Nessuno è perfetto".
  13. ^ Miglior film e migliore regia a Billy Wilder; migliore sceneggiatura originale a Billy Wilder e I. A. L. Diamond; migliore scenografia a Alexandre Trauner e Edward G. Boyle; miglior montaggio a Daniel Mandell.
  14. ^ È anche uno dei primi film che ruotano attorno a un processo, che in qualche modo si può definire un altro genere, o sottogenere dei film drammatici.
  15. ^ Di André Previn.
  16. ^ Protagonista femminile del film doveva essere però la Monroe, che morì prima delle riprese.
  17. ^ Shahrooz Bidabadi Moghaddam created 03 Jun 2013 | last updated-01 Apr 2015, IMDb: Most Oscar Winners - a list by Shahrooz Bidabadi Moghaddam, su IMDb. URL consultato il 30 novembre 2017.
  • Alessandro Cappabianca, Billy Wilder, La nuova Italia ("Il castoro cinema" n. 30), Firenze, 1976, 1984, 1995, 2006 ISBN 88-8033-022-5
  • (EN) Charlotte Chandler, Nobody's Perfect. Billy Wilder. A Personal Biography, Schuster & Schuster, New York, 2002
  • Cameron Crowe, Conversazioni con Billy Wilder (Conversations with Wilder, Knopf, New York, 2001). Adelphi, Milano, 2002 ISBN 3-8228-2819-X
  • Oreste Del Buono, Billy Wilder, Guanda, Parma, 1958
  • Leonardo Gandini, Billy Wilder, Le mani, Recco, 1999 ISBN 88-8012-117-0
  • Marco Giusti e Enrico Ghezzi, Billy Billie: tutti i film di Billy Wilder, Editori del Grifo, Montepulciano, 1981 ISBN 88-85282-00-8
  • Maurizio Grande, Billy Wilder, Moizzi, Milano, 1978; poi a cura di Roberto De Gaetano, Bulzoni, Roma, 2006 ISBN 88-7870-161-0
  • (DE) Daniel Hermsdorf, Billy Wilder. Filme - Motive - Kontroverses, Paragon-Verlag, Bochum, 2006
  • Glenn Hopp e Paul Duncan, Billy Wilder. Il cinema dell'arguzia 1906-2002, trad. di Liana Acquaviva, Taschen, Köln - New York, 2003 ISBN 3-8228-2819-X
  • (EN) Robert Horton (a cura di), Billy Wilder: Interviews, University Press of Mississippi, Jackson, 2001
  • (FR) Jérôme Jacobs, Billy Wilder, Rivages Cinéma, Paris, 2006
  • Hellmuth Karasek, Billy Wilder: un viennese a Hollywood, traduzione di Marina Bistolfi, Mondadori, Milano, 1993 ISBN 88-04-33930-6
  • (EN) Ed Sikov, On Sunset Boulevard. The Life and Times of Billy Wilder, Hyperion, New York, 1999
  • (FR) Noël Simsolo, Billy Wilder, Cahiers du cinéma - Le Monde, Paris, 2007
  • (EN) Maurice Zolotow, Billy Wilder in Hollywood, Pavillon, London, 1988

Voci correlate

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Altri progetti

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Collegamenti esterni

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