In un’epoca in cui domina una concezione strumentale (e quindi strumentalizzata) del linguaggio, dove viene utilizzato solo per comunicare il più velocemente possibile, e se possibile in maniera binaria, scrivere per proprio conto, facendo attenzione alle sfumature, diventa ancora una volta una forma di resistenza.
La passione per un mucchio di frasi scritte può innescare un’avventura stravagante, quale può essere quella di un blog. Scrivere è l’arma di chi rifiuta di armarsi per conto di ... . E non importa se ciò che scrivi non riesce a farsi sentire: come potrebbe? La cosa migliore, certo, sarebbe avere la giusta distanza: lasciarsi coinvolgere senza lasciarsi assorbire. Ma è possibile una cosa del genere? Chi o che cosa potrebbe darci questa “buona distanza”, garantirci che il nostro rapporto ironico e disgustato con il mondo, con l’orrore politico, sia quello giusto? E poi, che cos’è “giusto”?
C’è il solito (nel senso di sempre quello) che ti scrive: “sei poco materialista, il tuo è solo cazzeggio”. Oddio, non se ne può più di queste idiozie, di chi non è in grado di capire quanto sia importante conservare la nota musicale interiore, quella che ci lega ancora al sorriso, che ti fa scrivere e sognare, dipingere e fare scherzi. Ricordo una frase dei Canti di Maldoror, di Lautréamont: “L’elefante si lascia accarezzare. Il pidocchio, no”.
Adesso Lautréamont è diventato paccottiglia da rigattieri, ma cinquant’anni fa chi lo conosceva? Ah sì, Debord, solito. Era maestro di quegli eccessi verbali che vanno oltre il significato stesso di una frase e a beneficio della sua pura espressione godibile. Chi è più capace del suo umorismo dissacrante e insultante senza scadere nella più vieta trivialità.
Oggi non abbiamo più il diritto (c’è stato, ce lo siamo presi, ma solo per un attimo) di insultare per esempio le religioni, di fare la caricatura di dio, di prendersi gioco di tutti gli dei (anche quando li amiamo, e questo è il mio caso: non c’è letteratura migliore di quella che riguarda i casini che combinano le divinità). Sento Lautréamont descrivere il Creatore, che giace ubriaco fradicio, vomitando il suo vino, e gli umani cagare in faccia al “supremo ubriacone”. E ometto, nel senso di autocensura, il Marchese de Sade e il personaggio di Vespoli, oppure Georges Bataille chiedersi se Dio non sia ... .
Oggi perfino Rabelais solleverebbe indignazione. La fine della grande letteratura e dell’umorismo libero.