mercoledì 29 aprile 2020

Se non è una dittatura, troviamogli un nome


Uno di loro ha torto.



Dottore, lei ha ragione, non è scientifica. Tuttavia esistono varie forme di dittatura e non trovo nulla da ridere, anzi. Qualsiasi interpretazione degli eventi attuali che trascuri il parallelo con la dittatura, o è miope o non è sincera. Guardiamo alla sostanza di certe attuali misure restrittive delle libertà individuali.

Dica un po’, dottore, a quale principio di diritto e di razionalità (anche sanitaria) s’ispira un provvedimento che ci consente di andarcene a zonzo per dieci e più chilometri in una grande città e, per contro, pone il divieto di recarci a un isolato da casa nostra se questo è posto fuori dal territorio comunale?


Che senso ha obbligare sessanta milioni di persone a compilare delle autocertificazioni ai sensi degli artt. 46 e 47 del DPR 445/2000 (??) perché possano spostarsi di pochi metri dalla propria abitazione, dichiarando di essere edotte di un profluvio successivo di norme spesso contraddittore e poco chiare? Dovendo motivare esigenze che un fallito in divisa può sindacare e sanzionare a proprio arbitrio, com’è successo a esempio alla povera pastorella di Schio.


A quale eventuale pericolo andiamo incontro quando usciamo da casa e quale nocumento potremmo provocare alla comunità? Il contagio? Vi sono milioni di persone autorizzate a recarsi al lavoro, cono gli stessi rischi e anche di maggiori.


L’art. 16 Cost. stabilisce che “ogni cittadino può circolare e soggiornare liberamente in qualsiasi parte del territorio nazionale, salvo le limitazioni che la legge stabilisce in via generale per motivi di sanità o di sicurezza”. Le citate “limitazioni” si sono tradotte in domicilio coatto sine die per l’intera nazione. Oltretutto disposte da un atto amministrativo come il DCPM, che non può però essere esercitato in concreto senza una norma di legge ordinaria che lo autorizzi, dunque approvata dal parlamento, e non può avere ad oggetto incriminazioni penali.


Insomma, dotto’, se questa non è una dittatura, ci assomiglia parecchio. Lascio a te trovargli un nome.





Ach!

Non è divina ma nemmeno inedita


Dice Giacomo Marramao in un’intervista a Repubblica di sabato scorso: “Ma quello che stiamo vivendo non è il segno della sventura o della punizione divina (come in certe parti del mondo si continua a credere) ma l’effetto del modo in cui la natura reagisce, con il virus, all’alterazione che abbiamo prodotto in quel mondo-ambiente che è alla base della nostra sussistenza”.


Nessuno mette in dubbio il saccheggio delle risorse e i gravi effetti sull’equilibrio naturale del nostro modello economico (insuperabile, dicono!). Tuttavia smettiamola di dire che il virus è uscito da certi ambienti naturali perché siamo andati a rompere quell’equilibrio. Per l’ebola, tanto per fare un esempio noto, non è così. Del resto le pandemie virali e batteriche ci sono sempre state.


Per fare un esempio legato ai batteri, la famosa peste del 1348 impiegò una decina d’anni per giungere dall’estremo oriente in Europa. Oggi batteri e virus per viaggiare prendono l’aereo o i moderni cargo della marina mercantile. Il fatto è che da questo virus ci stiamo difendendo come nel 1348 perché non abbiamo vaccini e non sappiamo ancora quale terapia farmacologica sia realmente efficace, semmai già esista.


La verità è fin troppo netta ed evidente, ma non si vuol vedere. Questa epidemia ha un indice di mortalità molto basso, colpisce in prevalenza persone anziane affette da diverse gravi patologie, ovvero persone il cui sistema immunitario risponde debolmente. Errori di sottovalutazione dell'infezione e assenza assoluta di un piano per fronteggiarla, dunque mancata delimitazione dei focolai e gravi approssimazioni sanitarie, non solo iniziali, hanno prodotto in gran parte quel bel casino che sappiamo (solo in parte, perché molto è stato coperto).


Il resto l’hanno fatto e continuano a farlo i media. Prendi le televisioni, con due tre giornalisti e un paio di sedicenti “esperti”, senza il bisogno di troppi tecnici televisivi, vanno avanti per ore a infinocchiarci con filastrocche virali, col risultato di cospicui introiti pubblicitari e costi di produzione bassissimi. Per i proprietari di questi media e per giornalisti grandi firme il coronavirus è una manna. Più dura il panico e più si guadagna. Naturalmente questi puristi dell’informazione diranno che è calunnia.


A Caltanissetta o a Potenza, per dire due città a caso, non c’è alcun rischio di epidemia, i casi con sintomi sono assolutamente inesistenti o circoscritti. Altro esempio con dati alla mano: abito a metà strada tra due grandi ospedali, ebbene da settimane i ricoveri sono zero (ripeto: dati alla mano). Adottare le stesse misure di lockdown per tutto il territorio nazionale, ora come ora, è da irresponsabili. Per contro, aprire tutte le attività con grande afflusso di persone nei trasporti pubblici, non è ragionevole. Piaccia o no, dobbiamo procedere verso l’immunità di massa, ma con metodo, proteggendo per quanto possibile le persone più a rischio, evitando di ricoverare in massa chiunque abbia la febbre (è successo, eccome). Insomma, è questione di buon senso, avrebbe detto lo zio del Boccaccio alle prese con una epidemia ben più grave dellattuale, non roba da far decidere a “esperti”.

martedì 28 aprile 2020

Problemi di distribuzione



Leggo che il signor Luca Sofri rimprovera al governo la mancanza di “un progetto, una strategia, una serie di iniziative che coinvolgano tamponi, analisi, tracciamento, riprogettazione delle strutture e delle gestioni ospedaliere, ottimizzazione e coordinamento della raccolta dati, ripensamento delle priorità sociali”.


Credevo fosse noto che bisogna accontentarsi più delle intenzioni che della qualità di ciò che si riceve da chi comanda, cioè da parte di coloro che delle istituzioni parlano così bene e le rappresentano così male. A me personalmente è rimasta una tenue speranza, ossia che questo nostro popolo diventi finalmente meno bravo e passi a essere più cattivo. Una cosa che è più facile a scriversi che farsi, ben lo so.


A volte è sufficiente ricordare realtà semplici. Due situazioni principali ci hanno portato allo stato in cui siamo: l’inadeguatezza delle misure sanitarie e la leggerezza con la quale si è giunti a stipare in ospedali e case di riposo gli infetti; quindi il disorientamento con il quale si prosegue imperterriti di fase in fase è semplicemente la conseguenza della medesima inettitudine. Non siamo a un fatto nuovo.


Di quale progetto, strategia, iniziative si dovrebbe occupare chi ha già fallito in modo così clamoroso? Procedono al buio, di giorno in giorno, sperando che passi la buriana tenendoci segregati in casa ad libitum. Stesse misure per il pastore maremmano quanto per il travet milanese. È l’unica strategia che si trovano in mano, basata sulla minaccia di sanzioni e sostenuta dalla paura profusa h24 dai media. In quanto alle sanzioni, come leggevo stamane su un sito notoriamente bolscevico, lasciano anche all’ultimo ausiliario dei vigili urbani “l’interpretazione di norme delle quali nel sistema delle fonti del diritto non vi è traccia, tanto che non si sa che cosa siano, chi le emani e quale funzione svolgerebbero”.


Tuttavia non bisogna dimenticare altri responsabili del disastro, ossia il famoso comitato tecnico scientifico, delle cui sedute e relativi verbali non c’è traccia poiché le une e gli altri sono segreti, così come ha confermato da ultimo ieri sera il signor Borrelli in diretta televisiva. È sempre questo comitato, affiancato da una miriade di task force, a suggerire “atti d’imperio” senza capo né coda.


Pertanto, se proprio vogliamo parlare di “teste di coccio”, come fa Luca Sofri, non dobbiamo dimenticare, per non essere faziosi, che ve ne sono molte altre di teste da prendere in considerazione. Il fatto è che questo paese, che si autoproclama libero e democratico, è in realtà diretto da poche centinaia di eroici imbecilli, i quali temono molto più le conseguenze dell’intelligenza degli altri che quelle della propria stupidità. E questa loro stupidità non rischia mai neppure di essere sanzionata nelle nostre fiere elettorali, per cui ho sempre dubitato che l’intelligenza sia la cosa meglio distribuita nel nostro paese.

La cosiddetta "lotta per l’esistenza"



Purtroppo non se ne rendono conto (con questi chiari di luna?), ma con queste frasette, apparentemente innocue, propriamente da osteria, dapprima instillate nel senso comune e poi distillate in forma più “scientifica”, venne a suo tempo aperta la strada all’eugenetica (non solo nazista) che portò ad Ausmezen.


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Pertanto credo sia utile, in questi giorni di grande confusione, e più in generale in tempi di revisionismo di quello che fu l’autentico apporto scientifico di Marx ed Engels (di quest’ultimo grandissimo pensatore e scienziato ricorre quest’anno il 200° anniversario, ma figuriamoci …), riproporre un post di otto anni fa.


I brani sono tratti dall’opera Dialettica della natura di Friedrich Engels, pubblicata postuma. L’autore redasse i materiali che concernono quest’opera, interessantissima anche per molti altri aspetti che riguardano la scienza, tra il 1873 e il 1886. Struggle for life, lotta per la vita, costituisce una breve digressione che pone in evidenza il rapporto di critica esplicita stabilitosi tra Marx/Engels e una certa concezione delle scoperte darwiniane. Va contro quella fola che venne ben presto a costituire il darwinismo sociale. Il testo è tratto dalle Opere Complete di Marx-Engels, vol. XXV, pp. 584-86. In internet, almeno in traduzione italiana, mi risulta inedito.


Struggle for life (*).


Fino a Darwin, coloro che sono attualmente suoi seguaci mettevano appunto in evidenza l’armonico coordinamento del lavoro nel mondo organico: come il regno vegetale offre agli animali cibo e ossigeno, e questi ultimi alle piante letame e ammoniaca e acido carbonico. Appena le teorie di Darwin vennero accettate, le stesse persone videro ovunque e soltanto lotta. Tutt’e due le concezioni giustificate entro ristretti limiti, ma tutt’e due ugualmente unilaterali e limitate. L’azione mutua dei corpi inanimati include sia armonia che collisione; quella dei corpi viventi tanto collaborazione inconsapevole e consapevole quanto consapevole e inconsapevole “lotta”, che è solo una delle facce. Ma è poi assolutamente puerile il voler riassumere tutta la multiforme ricchezza dell’intreccio e dello sviluppo storico nella scarna, unilaterale espressione: “lotta per l’esistenza”. Che detta così è meno di niente.


Tutta la teoria darwiniana della lotta per l’esistenza è semplicemente il trasferimento dalla società al mondo organico della teoria hobbesiana del bellum omnium contra omnes [guerra di tutti contro tutti], e della teoria della concorrenza dell’economia borghese, come pure della teoria di Malthus sulla popolazione. Una volta fatto questo gioco di prestigio (la cui incondizionata legittimità, in particolare per ciò che concerne la teoria malthusiana, è ancora assai problematica), è molto facile trasferire di nuovo queste teorie della storia naturale nella storia della società, ed è allora un’ingenuità davvero troppo forte affermare di avere con ciò dimostrato che tali affermazioni sono eterne leggi naturali della società.


Accettiamo per un momento la frase: lotta per l’esistenza, for argument’s sake [per comodità di polemica]. L’animale arriva al massimo a raccogliere; l’uomo produce, allestisce i mezzi necessari all’esistenza nel senso più vasto della parola, che la natura senza di esso non avrebbe prodotto (*). Ciò impedisce di trasferire, così senz’altro, le leggi di vita delle società animali alla società umana. La produzione porta rapidamente al punto in cui la cosiddetta struggle for existence non gravita più soltanto attorno ai puri mezzi di sussistenza, ma attorno ai beni voluttuari e a quelli necessari allo sviluppo. A questo punto, quando beni per lo sviluppo sono prodotti socialmente, diventano già totalmente inapplicabili le categorie derivanti dal regno animale.




*

Fin qui il messaggio di Engels che mi pare molto chiaro. Non si tratta della mera lotta per l’esistenza, ma della lotta per il bottino, per l’eccedenza, per la ricchezza socialmente prodotta. Dunque la lotta incessante di una classe per il proprio dominio sul resto della società, per il dominio sull’alveare e sugli schiavi utili che lo alimentano. Quelli non più utili diventano superflui. 


(*) Il contenuto del testo eglesiano si può rinvenire, in parte, in una lettera di Engels a Peter Lavrovic Lavrov in data 12 novembre 1875, nella quale si legge tra l’altro: «La differenza sostanziale tra la società umana e quella animale è data dal fatto che gli animali al più raccolgono, mentre gli uomini producono. Quest’unica, ma enorme differenza rende, da sola, impossibile l’immediata trasposizione delle leggi delle società animali in quelle umane […]». La lettera, non pubblicata nelle MEOC, è ora disponibile in italiano nel volume delle Lettere 1874-1879, per le edizioni Lotta comunista, 2006.

lunedì 27 aprile 2020

A futura memoria

Bisogna vedere i video trasmessi da una tv svizzera (clicca) per rendersi conto in quale enorme inganno siamo finiti e dal quale difficilmente usciremo.


Ad ogni modo e a futura memoria, segnalo quanto scrive Guido Melis in Il Parlamento dalla Grande Guerra al fascismo in Italia: «con la legge 22 maggio 1915, n. 671, erano stati conferiti poteri straordinari al Governo “in caso di guerra e durante la guerra”, sicché il Parlamento italiano (“solo tra i parlamenti del mondo”, come ebbe a notare Tommaso Tittoni), si era spogliato delle sue principali prerogative, consentendo al Governo di autoristrutturarsi per semplici decreti (nuovi ministeri, istituzione di commissariati generali e di sottosegretariati, l’inedita figura del ministro senza portafoglio, i comitati di governo ecc.» (pp. 14-15).



Allora vigeva lo Statuto albertino, tuttavia non bastò a frenare la deriva autoritaria. Se qualcuno pensa che ciò non possa accadere ancora una volta, si sbaglia, poiché è proprio ciò che sta accadendo ora sotto i nostri occhi.








Non servirà di lezione


L'eccezionalità delle circostanze. Ancora di 'ste cose ebeti dobbiamo campare?
Questo che scrive è uno che ha capito tutto e bene ma gli conviene chiosare così. 
Diamogli tempo e ci scriverà un libro promosso in tv.
Quel genere di libri cui poi ricaveranno dei film,
degli sceneggiati a puntate che ora chiamano fiction.

Un filosofo greco osservò che un esercito di cervi comandato da un leone avrebbe avuto la meglio su un esercito di leoni comandato da un cervo. Ai nostri giorni non abbiamo né leoni né cervi.


*


Ci chiedono di assolverli per non aver compreso il fatto. Un’incomprensione e una sottovalutazione che è costata la vita a centinaia e forse migliaia di persone. Un’inabilità politica, operativa, organizzativa e comunicativa che ha provocato il caos negli ospedali, nelle residenze per anziani e che è all’origine di tanta parte della situazione attuale, quindi causa dei danni umani ed economici patiti dalla popolazione. Non bisogna dimenticare che tutto ciò ha avuto inizio un mese dopo la proclamazione dello stato d’emergenza nazionale. Pesiamo bene le parole. Dunque non si è trattato di un evento improvviso, ed invocare la fatalità è solo una scusa per allontanare le proprie responsabilità.


Napoleone ad un suo luogotenente sconfitto che si scusava con la “fatalité”, rispose: “La fatalité, l’excuse des incapables et des maladroits”.


Si è parlato di “modello italiano”, in realtà è stato mutuato pedissequamente dal modello cinese, vale a dire che ci si è rifatti a un modello d’intervento adottato su un tessuto sociale e scala geografica diversi dal nostro. Nelle situazioni di crisi è pericoloso lavorare secondo un modello che non si conosce bene, giacché le situazioni non sono mai interamente sovrapponibili. Le situazioni cambiano, bisogna essere abili e pronti a cambiare le proprie linee d’azione. Scrivevo giorni or sono che non si possono applicare le identiche misure nei riguardi di un pastore maremmano e di un travet milanese. Ciò che vale per le persone vale per le situazioni più generali.


Infatti, la Germania ha adottato un suo modello, la Svizzera un altro, la Svezia un altro ancora. Hanno capito che in attesa di un vaccino, l’unica strada è l’immunizzazione di massa attuata in modo progressivo, controllata a tappeto con i tamponi e altre misure sanitarie. In Italia, invece, ci si attarda ancora su un modello che non produce risultati apprezzabili se non in tempi molto lunghi, a scapito di tutto il resto. Il numero dei morti decresce e così i ricoveri nelle rianimazioni perché in quelle province, dove si sono contati due-trecento decessi il giorno per molte settimane, si sta esaurendo la platea delle povere vittime anziane con diverse patologie pregresse, mentre il numero dei contagi rilevati, ancora ieri, è in aumento o comunque non scende come ci si aspetterebbe dopo 50 giorni di quarantena.


Scrivevo il 25: Mi pare che non si stia capendo, oppure si fa finta di non capire. Soggiungo oggi: se la situazione non cambia rapidamente, cominceranno a capire volenti o nolenti. E a ogni modo ripeto tra me e me per lennesima volta, quando un generale (dicono che siamo in guerra, no?) si dimostra incapace, lo si sostituisce immediatamente, sul tamburo. Nel nostro caso si tratterebbe di sostituire interi stati maggiori. Sono stati eletti dal popolo sovrano, che se li deve tenere e pagarne le conseguenze. Il peggio è che non servirà di lezione.


domenica 26 aprile 2020

Punibilità di gregge





Siamo abituati alla fame


Prima viene la salute e poi l’economia. Truismo tra i più scadenti. Salute ed economia costituiscono un binomio inscindibile. Per migliaia di anni salute e soddisfazione dei bisogni primari sono stati nelle mani degli dei, oggi in gran parte in quelle della cibernetica. Lo stesso destino degli Stati è sempre stato legato all’andamento economico.


Nelle aree economicamente più povere la mortalità infantile è la più alta del mondo. In ogni caso economia e speranza di vita sono inscindibili. È sufficiente prendere i dati della Grecia degli ultimi 10 anni per comprendere quale impatto abbia prodotto la crisi economica sugli indici della mortalità infantile e nella speranza di vita della popolazione. Nella stessa Italia possiamo constatare l’impatto della stagnazione economica e della divaricazione tra ricchezza e povertà sull’andamento demografico (per regione, titolo di studio, condizione sociale, ecc.). Anche se questi fenomeni non sono le sole cause del declino delle nascite, tuttavia ne costituiscono i motivi fondamentali.


Quanto alla fame, non dobbiamo dimenticare che siamo abituati alla fame: abbiamo fame due o tre volte il giorno. Nelle nostre vite non esiste niente che sia più frequente, più costante, più presente della fame, anche se per noi che abitiamo nel Nord del pianeta nulla è più lontano della fame vera. Finora almeno. Tuttavia il passo tra una condizione e l’altra è più breve di quanto si creda.

*

Ricordiamoci di quando un computer era un delirio dei film di fantascienza; quando le donne non usavano i pantaloni; quando non si sapeva che cazzo era la soia; quando venivano a salutarci all’aeroporto come se si partisse per Marte; quando farsi una canna era una novità spaventosa; quando i preti dicevano la messa in latino, importunavano i bambini e nessuno diceva niente; quando il Che era un guerrigliero che avrebbe vinto una rivoluzione da qualche parte; quando si era sospesi da scuola per una frase che ora dicono tutti in televisione; quando era più facile vedere un cavallo per strada che una tetta al cinema;  quando la parola cazzaro non esisteva.

Anche questi cambiamenti sono un portato delleconomia.

Il Conte nel bosco



Avevamo bisogno, non da oggi, di un Conte di Cavour. Di statisti à la Cavour, sfortunatamente, siamo sprovvisti. Ripiegando l’Italia s’è accollata un Conte qualsiasi. È questi un uomo forse senza gravi difetti, tuttavia sprovvisto delle attitudini necessarie per farne uno statista, sia pure di passabile affidabilità.


Basta guardarlo quando parla alla nazione in un momento di grave e inedita contingenza. Sembra un fanciullo che va per il bosco in cerca di funghi, indeciso su quali cogliere e quali no. In tal modo una situazione molto seria s’è via via trasformata in tragedia. Tutto è sotto controllo, aveva assicurato con soverchia baldanza il 30 gennaio, quando dichiarava lo stato d’emergenza. È possibile che mentisse sapendo di mentire, o forse ciò che diceva era frutto di estrema superficialità. L’una ipotesi non attenua la gravità dell’altra e viceversa.


Quando si dichiara uno stato di emergenza di sei mesi vuol dire che si ha, o si dovrebbe avere, contezza che qualcosa di grave sta accadendo, e dunque ciò non dovrebbe indurre alla placida tranquillità, bensì all’immediata predisposizione di misure, per l’appunto, d’emergenza, ossia profilattiche ad ogni evenienza.


Michel Montaigne aveva ragione quando non suoi Essai, diceva: “tous le maux de ce monde viennent de l’ânerie” (asineria).


Non si tratta del senno di poi, bensì di rendere per tempo operativo un piano d’emergenza datato 2018, che è rimasto evidentemente lettera morta. Per non dire del ventilato “piano” di cui si ciancia in questi giorni e rimasto, senza che vi sia stata smentita, arcana imperii.


Nessuno poteva prevedere ciò che è successo, si dice ora. Vero è che non si preventivava accadessero certe situazioni di cui oggi con fatica e reticenza emergono particolari agghiaccianti. Così come non risponde a verità che era impossibile prevedere il virus in l’Italia, tant’è che per tale timore fu interrogato il dott. Burioni, il quale fugava ogni dubbio di essere colpiti da un virus piuttosto che da un meteorite.


L'Italia non è mai stata un paese di solida democrazia, se non nelle intenzioni di una parte di benpensanti cittadini, e molto meno nella corrispettiva volontà delle istituzioni. Ne è prova, ancora una volta, l’opacità della comunicazione ufficiale e la resistenza opposta alle richieste di chiarezza su ciò che realmente è accaduto e si prefigura per l’innanzi. Pertanto non dovrà sorprendere che il comune cittadino, passata l’iniziale isteria mediatica, prenda le misure della situazione in atto e diventi restio ad aderire con fiducia a quanto gli viene imposto o “suggerito” per il bene suo e di quello altrui.


sabato 25 aprile 2020

«Speriamo non sia tutto un bluff ... »



La liberazione

C'era il rischio d'infettare il milite ignoto.

Mi pare che non si stia capendo, oppure si fa finta di non capire. Per settimane s’è cincischiato con la storia delle librerie aperte, come se la questione più urgente fosse quella della lettura. Politici e sedicenti esperti con stipendio garantito si fanno intervistare immancabilmente con la loro domestica libreria alle spalle, inabili a capire che le persone non sono bottiglie vuote da riempire con i loro distillati dialettici. La gente ha il problema concreto di fare la spesa! Se non torniamo al più presto alla normalità, se non riaprono le frontiere, se non ricomincia il flusso turistico, gli scambi commerciali, milioni di persone non avranno più un lavoro.


Ci sono situazioni storiche nelle quali i giorni valgono anni. E noi questi giorni li stiamo buttando inesorabilmente. Uno dei centri internazionali del tessile, l’Italia, da mesi è alle prese col problema delle mascherine. Da ridere se non fosse tragico. Non ne possiamo più di sentirci dire “stiamo lavorando” a questo e quell’altro, vi faremo sapere; di sentirci addosso responsabilità che non abbiamo, di subire nuove ansie con annunci isterici, pressapochismi, confusione, allarmismi immotivati.

Bisognava fin da subito raccontare la verità, ossia che in talune province si sono trasformate le residenze per anziani in carnai, gli ospedali in lazzaretti, che i tamponi non si fanno perché non si vogliono fare. Dobbiamo prendere atto che, in questa fase, è inutile nascondersi al virus stando coatti dentro casa. Adottare misure di contenimento, ovvio, ma circoscritte e mirate, non punitive e demenziali. Di più non si potrà fare. Sennò prima dell’autunno avremo le barricate nelle strade.

venerdì 24 aprile 2020

La Fame 2


Il più grande biscazziere, lo Stato, autorizza la mungitura.


Linformazione, abbiamo letto nella lettera daddio dell'ex direttore di Repubblica, è una questione di DNA. Conosciamo a memoria le posizioni di principio, politiche e morali. Però non hanno fatto breccia nei nuovi proprietari del giornale, e quelli che hanno venduto se la godono in Svizzera.

I giornali sono stati per quasi due mesi impegnati a farci indignare contro chi faceva una passeggiata. Ora sono dediti  alloperazione storico-monetaria che ci dovrebbe salvare dal fallimento e a catechizzarci sulla Fase 2, che devessere intesa come premio e solo per chi si comporta bene.

Componenti del governo e dei comitatoni tecnico-scintifici, pagati ognuno come quindici operai, da molte settimane, dopo aver sbagliato e smentito su tutto ciò in cui si poteva fallire e contraddire, stanno studiando come ridurci alla fame 2.

Ci saranno persone che potranno lavorare e avere uno stipendio e persone che non si sa quando potranno guadagnarsi di che campare. Penso per esempio ai lavoratori dello spettacolo, ma anche a moltissimi altri che lavorano in proprio. Penso a un’amica con un negozio di vetri di Murano a Venezia, lei è nel giro “fortunato” e potrà riaprire dal 4 maggio, ma a chi li vende i suoi vetri? Intanto paga affitto, bollette e tasse (pure per linsegna luminosa rimasta spenta per due mesi). Ci saranno dunque negozi che potranno riaprire e lavorare, ma anche attività che non si sa se e quando potranno farlo. Tutta colpa della natura, certo. Anche della natura italiana.


Pare che l’ormai famosa applicazione (che non serve a nulla senza analisi e tamponi di massa) faccia capo a una delle società produttrici in cui figurano azionisti: tre figli di Berlusconi, un colosso della Sanità privata lombarda (Centro Medico Sant’Agostino), il finanziere leopoldo-londinese Davide Serra e altri. In Italia non si controlla nulla, tantomeno i proventi e i profitti.


Molti dicono che poi tutto sarà diverso, si parla di rinnovamento, di rinascita. Non facciamoci fantasie, bene che vada sarà simile.

giovedì 23 aprile 2020

A prescindere

Attenzione: stiamo in casa anche dopo il 4 maggio, sta per uscire un altro libro di Veltroni.

È bastato ed è ancora sufficiente che qualsiasi comportamento venga inteso dalle “pubbliche autorità” come vagamente edonistico perché sia sanzionato amministrativamente o addirittura con denuncia penale. A prescindere. Stare per conto proprio in spiaggia o fare una passeggiata solitaria oltre 200 m da casa, perfino entro un bosco, è stato considerato esecrabile e additato al pubblico ludibrio. Fatto più grave è fare una corsetta da soli in mezzo alla campagna (in un parco è gesto ancor più irresponsabile e criminale).


Ciò che era ed è consentito davanti e dentro a un supermercato, è proibito se si sta seduti al proprio tavolo in un ristorante o in un bar (perciò i locali sono chiusi da Terme di Brennero a Lampedusa). Ed è stato pure vietato nei weekend di acquistare assorbenti femminili, libri, cancelleria, casalinghi, eccetera. Guai solo vino, bevanda “non necessaria”, e vietato acquistare solo pane e salame se non con una spesa superiore a 50 euro. S’è visto anche questo. Ciò dimostra una volontà punitiva le cui motivazioni andrebbero indagate da psichiatri piuttosto che da psicologi.


Non so se ce ne rendiamo conto, e fino a che punto, ma questo tipo di strategia emergenziale e mediatica, all’italiana, è stata trasformata fin da subito in una ideologica patriottica, con bandiere e canti ai balconi, col dichiarare apertis verbis di combattere una “guerra”. E ogni sindaco e fino all’ultimo assessore, ogni vigile urbano e chiunque si sentisse investito di autorità, fosse pure il magazziniere del supermercato, s’è sentito in dovere di interpretare in senso ancora più restrittivo e coattivo le disposizioni delle autorità regionali e centrali.


Il cosiddetto “modello italiano” è stato sostanzialmente questo, dal lato del “contenimento”, mutuato da quella ben nota democrazia asiatica che lo aveva adottato per una sola regione, mentre da noi si è operato in grande estendendolo a tutta la nazione, riconoscimento implicito della nostra “creatività”, quindi anche laddove la situazione era ben diversa dalla Val Seriana. In tal modo il pastore maremmano è stato sottoposto allo stesso regime coattivo del travet milanese.


Quanto alle misure sanitarie adottate, c’è materiale abbondantissimo per stabilire quali sono gli errori marchiani e capitali che in futuro andrebbero evitati, magari predisponendo un piano per le epidemie che non sia ridicolmente “segreto” (anche questa s’è sentita).


Discorso a parte meritano i media, ma come esempio, a mio avviso sufficiente per illustrare la situazione, cito quanto accaduto martedì sera in una trasmissione televisiva: il professor Gattinoni, interpellato con domanda specifica sul numero di decessi così diverso tra l’Italia e la Germania, paese quest’ultimo dov’egli risiede e lavora, rispondeva: “da noi in Germania non abbiamo trasformato gli ospedali in lazzaretti”. Nemmeno finita la frase gli si è tolta la parola per darla a un premio Nobel per la chimica: Lapo Elkann!


Dopo le critiche una proposta, seria, anzi serissima. Decreto con il quale si blocca stipendio e conto corrente alle vedettes del giornalismo cartaceo e televisivo. Così provano a vivere come milioni di italiani. Alte grida: attentato ai diritti costituzionalmente garantiti, alla libertà di stampa, al giusto emolumento, eccetera!

mercoledì 22 aprile 2020

Maledetta primavera


Dai e dai sta prendendo atto, poco a poco, della situazione. Magari tra un mesetto gli scappa qualcosa in più. 

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E quelli che pubblicarono una loro lettera su un quotidiano tedesco? Maledetti crucchi, non si ricordano degli amici, di quelli che li hanno aiutati nel bisogno. Scrocconi. Con il loro surplus commerciale possono fare tanti tamponi. Povero Nando Meniconi, lui ci ha avuto la malattia. 


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Fa molto glamour la città deserta, ma a Venezia nemmeno i colombi trovano da mangiare. Non va meglio per gli esseri umani che ci lavorano, reduci già delle maree eccezionali dell’autunno scorso. Quando la dittatura del coronavirus permetterà che negozi e alberghi riaprano, se riapriranno, mancheranno i clienti. Lo stesso vale per le altre città che di turismo vivono. In Italia non si muore di fame, si sa. Meglio farci morire negli ospizi e negli ospedali ridotti a lazzaretti. Abbiamo messo la plancia in mano a dei bambini, oltretutto dei bambini mona, e non mi riferisco solo alla classe politica il cui livello è il più basso di sempre. La nave affonderà, su questo non ho più dubbi, semmai ne avessi avuti.


Continuiamo a dire che questa situazione dipende dal virus, che è un po’ come prendersela con la primavera.


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Parliamo d’altro. Il prezzo del greggio Brent, punto di riferimento internazionale, è sceso ieri a meno di 20 dollari al barile per la prima volta in 18 anni mentre continuava la scivolata nei contratti a termine per WTI (greggio texano e parametro di riferimento). Lunedì i contratti futures WTI per maggio erano precipitati sotto i tacchi delle scarpe, per un motivo tecnico che ha dato luogo alle grida dei giornali. Ad ogni modo i contratti futures su giugno erano rimasti sui 20, poi ieri a un certo punto sono scesi a 6,50, prima di risalire a 11,57 alla fine della giornata un calo del 43%.


Il prezzo spot per il greggio Brent è sceso a 17,51 al barile ieri prima di recuperare a 19,33, un calo del 24% in un giorno. In questo momento è sempre sotto i 18 dollari.


È difficile credere che il prezzo scenderà ancora, eppure sarà così perché a dominare è sempre l’antica legge dello scambio. Mentre ci spostiamo verso le date di consegna fisiche, in assenza di una significativa ripresa della domanda il segno rosso dilagherà più del virus. Non sarà certo lo stoccaggio del greggio nei siti e sulle petroliere in mare, che non può essere infinito, a salvarne il prezzo.


I livelli di prezzo attuali sono insostenibili per i produttori statunitensi, ma non solo per loro. Potrebbero innescarsi anche tensioni a livello internazionale, poiché è noto che le disgrazie non vengono mai sole.


Il tentativo del presidente americano Trump di arrestare la riduzione dei prezzi facendo sì che la Russia e l’Arabia Saudita riducessero la produzione di 9,7 milioni di barili il giorno non vale più nulla. Perciò ha indicato che potrebbero essere imminenti misure di salvataggio del governo. Infatti, ieri, Trump ha twittato di aver “incaricato il segretario dell’Energia e il segretario del Tesoro di predisporre un piano per rendere disponibili le risorse in modo che queste importanti aziende e posti di lavoro siano garantiti a lungo nel futuro”.

Non si può garantire tutto e a lungo nemmeno se stampi dollari a manetta e da un lato solo. Ripeto, per ciò che vale, quello che ho scritto il 22 marzo: non ci sarà soluzione al di fuori di uno sforzo coordinato a livello internazionale. Che non ci sarà.

martedì 21 aprile 2020

Non ne usciamo


Si toglie la parola al prof. Gattinoni, che tra l’altro sta dicendo cose spiacevoli per chi ha gestito da noi la faccenda, per darla a Lapo Elkann. Spettacolo, solo indecente spettacolo. Non ne usciamo con questa gentaglia.



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Con calma, la recidiva è prevista solo per l’autunno.

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Il piano l’avevano chiuso in un cassetto e non s'è più trovata la chiave.

Crollo del prezzo del petrolio



Il motivo è il crollo della domanda globale e, incidentalmente, la mancanza di capacità di stoccaggio negli Stati Uniti. Le principali struttura di stoccaggio (Strategic Petroleum Reserve) degli Stati Uniti si trovano in caverne di sale sulle coste: due siti in Texas (Bryan Mound e Big Hill) e due in Louisiana (West Hackberry e Bayou Choctaw), che hanno 77 milioni di barili di capacità, meno di quanto quel paese utilizzi in quattro giorni. Questi hub detengono circa 635 milioni di barili di petrolio, perciò si è pensato di stoccare presso il principale hub di stoccaggio commerciale del paese, a Cushing, in Oklahoma, una città di 10.000 abitanti. La settimana scorsa l’hub di stoccaggio era al 70% sui 6,6 milioni di barili di capacità (un’inezia), con gli operatori che affermavano che sarebbe stato al colmo entro due settimane. Ciò ha spinto il sell-off sui futures.


Perciò il crollo del prezzo non è un fatto legato semplicemente a una presunta “psicologia” ribassista. La dinamica di domanda-offerta è legge anche nell’ambito degli accordi di monopolio, e nonostante cosa ne pensi Trump. I produttori e gli intermediari stanno cercando di sbarazzarsi del petrolio e non ci sono acquirenti. Potrebbe andare anche peggio, tuttavia dei trader di futures stanno ancora scommettendo su un rilancio e quindi i contratti per giugno rimangono positivi. L’estate è la stagione di maggior domanda di greggio. Vedremo.


La domanda globale di petrolio era di 100 milioni di barili al giorno nel 2019, ora è diminuita di 30 milioni di barili. I contratti futures più negoziati sono scesi ieri del 18%, chiudendo a poco più di 20 dollari al barile. A gennaio chiudevano a 65.


Il Brent rimane positivo perché viene stoccato in petroliere che hanno ancora capacità di carico aggiuntive. Alla fine di marzo c’erano 109 milioni di barili nelle petroliere in mare. Venerdì scorso la quantità è salita a 141 milioni, dunque è solo questione di tempo (vedo ora che in giornata sul mercato future il Brent è precipitato sotto i 20 dollari e quello texano (WTI) lo regalano se porti la tanica).






L’industria dello scisto, che produce circa 10 milioni di barili al giorno, fornendo quello che Trump ha salutato come il “dominio statunitense dell’energia”, ora sta affrontando un rapido declino, anzi, un crollo.


Tra circa unora aprirà New York, non è difficile prevedere che per la Borsa sarà una nuova legnata e forse anche di più.

Quello che sta succedendo non riguarda solo il greggio, investirà tutte le materia prime e sarà inevitabile che s’inneschi un circolo vizioso che proprio non so di preciso dove ci porterà. La classe politica e quella padronale credo stiano sottovalutando le conseguenze di questo blocco economico. E quando certe cose si muovono si sa dove cominciano ma non come andranno a finire.  


Per quanto riguarda l’Italia (ove sarebbe stato necessario avere ai vertici istituzionali nazionali e locali persone di buon senso, con ampia esperienza dal “basso”, visione strategica e capacità comunicativa, dotate di nervi saldissimi), non scommetterei un euro sulla stabilità sociale. A quel punto, questa volta in forma diretta, chiederò all’on. Bersani, che pure quelle qualità le possiede, s’è sempre convinto che nel nostro paese “nessuno muore di fame”, e s’è per “fame” intenda semplicisticamente quella dell’antico.

lunedì 20 aprile 2020

Non proprio l'ultima, dotto'



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The number of deaths was estimated to be at least 50 million worldwide with about 675,000 occurring in the United States.

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Nel ventesimo secolo si sono verificate tre pandemie influenzali: nel 1918, 1957, e 1968, che sono identificate comunemente in base alla presunta area di origine: Spagnola, Asiatica e Hong Kong. Si sa che sono state causate da tre sottotipi antigenici differenti del virus dell’influenza A, rispettivamente: H1N1, H2N2, e H3N2.

Sebbene non classificate come pandemie, tre importanti epidemie si verificarono anche nel 1947, nel 1977 e nel 1976.


Dopo la pandemia del 1918, l’influenza ritornò al suo andamento abituale per tutti gli anni trenta, quaranta e cinquanta, fino al 1957, quando si sviluppò la nuova pandemia.

Nel febbraio del 1957, un nuovo virus influenzale A (H2N2) emerse in Asia orientale, innescando una pandemia ("influenza asiatica"). Questo virus H2N2 era composto da tre diversi geni di un virus H2N2 originato da un virus dell'influenza aviaria A, inclusi i geni di emoagglutinina H2 e neuraminidasi N2. Fu segnalato per la prima volta a Singapore nel febbraio del 1957, a Hong Kong nell'aprile del 1957 e nelle città costiere degli Stati Uniti nell'estate del 1957. Il numero stimato di decessi era di 1,1 milioni in tutto il mondo e 116.000 negli Stati Uniti.


Come nel 1957, la nuova pandemia provenne dal Sud Est Asiatico e anche questa volta fu la stampa a dare l’allarme con la notizia di una grande epidemia in Hong Kong data dal Times di Londra. Nel 1968, come nel ’57 le comunicazioni con la Cina continentale erano poco efficienti. 
Poiché l’epidemia si trasmise inizialmente in Asia, ci furono importanti differenze con quella precedente: in Giappone le epidemie furono saltuarie, sparse e di limitate dimensioni fino alla fine del 1968. Il virus fu poi introdotto nella costa occidentale degli USA con elevati tassi di mortalità, contrariamente all’esperienza dell’Europa dove l’epidemia, nel 1968–1969, non si associò ad elevati tassi di mortalità. In Italia l’eccesso di mortalità attribuibile a polmonite ed influenza associato con questa pandemia fu stimato di circa 20.000 decessi.



La più grande scoperta terapeutica



Giovedì scorso ho accennato alla storia del Prontosil, il primo antibatterico per uso interno disponibile in commercio, punto di svolta nella ricerca farmaceutica e nella storia della medicina poiché ha rivoluzionato il trattamento delle malattie infettive. Preso atto dell’entusiastico riscontro che ha avuto il post (c’è stato anche un commento!), racconto un’altra storiella che ha a che fare con questo protofarmaco che forse potrebbe aver salvato la vita di qualche nostro nonno o bisnonna, permettendoci in tal modo di essere qui a raccontarcela, almeno fino a quando non sceglieranno una bara anche per noi.


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Nel gennaio 1933, Hitler aveva appena firmato l’accordo per un governo di coalizione con quel bel soggetto di Franz Papen, preludio di un regime che avrebbe provocato infine una cinquantina di milioni di morti. Negli stessi giorni un lattante di 10 mesi entrava in un ospedale coperto di piaghe e di ascessi, febbre a 40 e un polso a 180. Il bambino era ridotto in uno stato catechetico, con speranze di sopravvivenza nulle. Gli esami di laboratorio avevano indicato che si trattava di una setticemia da stafilococchi.