Ieri si è svolta la Giornata contro la violenza sulle donne.
In Italia, secondo dati Istat, una donna su tre tra i 16 e i 70 anni è stata, almeno una volta, vittima di violenza o maltrattamenti. Sono sei milioni 743 mila le donne che hanno subito nel corso della propria vita violenza fisica o sessuale.
Tre milioni di donne hanno subito aggressioni durante una relazione o dopo averla troncata, quasi mezzo milione nei 12 mesi precedenti all'intervista. Ai danni di mogli e fidanzate i reati gravi: 8 donne su 10 malmenate, ustionate o minacciate con armi hanno subito le aggressioni in casa. Un milione di donne hanno subito uno stupro o un tentato stupro. A ottenere con la forza rapporti sessuali è il partner il 70% delle volte e in questo caso lo stupro è reiterato. Il 6,6% delle donne ha subito una violenza sessuale prima dei 16 anni, e più della metà di loro (il 53%) non lo ha mai confidato a nessuno. Gli autori sono degli sconosciuti una volta su quattro, nello stesso numero di casi sono parenti (soprattutto zii e padri) e conoscenti.
da Rainews24
Non so quanto queste cifre siano reali, poiché da sempre la violenza subita è un atroce episodio in cui è la vittima la prima a nasconderla ed a negarla. Né tantomeno è l’Italia uno dei paesi più violenti, quindi i numeri, in questo caso, sono davvero poco chiarificatori. Avevo già pubblicato un post sull’argomento (Il silenzioso dolore delle donne grida) della violenza sulle donne, riportando anche uno splendido ed emblematico articolo dell’Agorà di cloro Donna (Donna: condizione o maledizione?) che richiamo e ripropongo, perché non fa mai male tenere presente che la violenza sulle donne – ma anche sulle bambine e sui bambini – non è un qualcosa di estraneo al nostro mondo civile e neppure è giusto relegarlo come problema riguardante i paesi del terzo o quarto mondo od addirittura affibbiarlo a popolazioni di religione musulmana od estremista. La violenza sulle donne vive tra noi, qui in Italia, in Europa, in America. Ed è una violenza subdola, perché colpisce spessissimo entro le mura della propria casa, i cui carnefici sono troppo spesso i compagni, i mariti, i padri.
Violenza però è anche quella che subisce una donna sul posto di lavoro, quando discriminatamente viene trattata male dal proprio datore di lavoro – a torto, davvero a tortissimo chiamato “Capo”! – dai colleghi che si lasciano scappare frasi del tipo “Bè lei ha figli, non possiamo contare su di lei al 100%!” – e dalle stesse colleghe che si permettono di denigrare una loro collega-donna con frasi e maldicenze che mai si permetterebbero verso un collega-uomo. Poi, violenza è l’indifferenza di chi sa e non vuol vedere, delle istituzioni che professano il garantismo solo per il carnefice, tanto la vittima o è morta e non può quindi difendersi o è viva – ed in fondo forse le è pure piaciuto. Violenza è anche il dimenticatoio dove vengono relegate le leggi contro la violenza, che esistono, ma che non vengono applicate appieno dai magistrati, né dalle istituzioni preposte all’aiuto di una donna vittima di violenza (e nel calderone ci butto Ospedali, Consultori, Tribunali, Polizia, Chiesa, preti e pure qualche psicologo!)
Violenza sono quelle immagini che vengono proposte dalla TV o dai giornali in cui è palese la pubblicità occulta (e non volevo fare un gioco di parole) della sottomissione e dell’inferiorità del genere femminile al genere maschile e dell’etticchettamento che la nostra società civile dà alla donna quale oggetto del piacere maschile. Tette grandi, minigonne su gambe magre e nude, atteggiamenti da cagnolina in calore: davvero noi donne vogliamo essere questo? Eppure molte, moltissime, troppe credono fortemente che sono questi i numeri per sfondare… ma sfondare dove, mi chiedo? In una trasmissione di Papi? Davvero il senso della vita è avere una telecamera che ti guarda sotto le gonne? Io credo che anche questo sia violenza a sfondo sessuale, visto che le trasmissioni di Papi vengono tutte trasmesse durante l’orario di cena, quando l’intera famiglia è seduta attorno ad un tavolo apparecchiato davanti a nostro Signore Televisore. Di questo non ringrazierò mai abbastanza i miei genitori che mi hanno insegnato la regola che quando si è seduti per la cena o per il pranzo, la Tv rimane spenta ed è quello che dovremmo insegnare anche noi ai nostri figli.
Violenza è l’incertezza della pena, pratica fin troppo usuale nel nostro Paese. Uccisori di donne, di bambine, di mogli vengono condannati a pene fin troppo brevi, depurate dall’aggravante dell’omicidio premeditato, dall’aggravante della vittima che era un familiare, delle aggravanti generiche che dovrebbero contrapporsi al delitto passionale, alla frase stupida a cui i giornali troppo spesso danno spazio: delitto d’amore, omicidio per troppo amore, “la uccide a coltellate davanti al figlio perché non poteva vivere senza di lei”… violenza è la connotazione che già scusa l’azione: morte che viene dal troppo amore. L’omicidio che si colora dei toni melodrammatici e romantici del se un uomo non ti picchia, non ti ama, cara donna, te lo vuoi mettere in testa o devo mollarti una sberla?
Da tempi ormai immemori botte, violenza, costrizioni, mortificazione ed annullamento di ogni “velleità femminile” è riconosciuta come pratica naturale maschile. Non si insegna forse alle bambine di stare buonine e calme, mentre si guarda al bimbo che dà una spallata all’avversario di calcio con un sorriso e si mormora dentro di noi: però, che carattere! Diventerà un campione!
Ricorda che partorirai con dolore, donna, che il tuo corpo non ti apparterrà e che davanti a te stessa dovrai sempre mettere la tua famiglia. Ricorda, donna, che sei imperfetta, che sei nata dalla costola di un uomo e che solo questi è fatto ad immagine e somiglianza di Dio. Ricorda, donna, che dovrai sempre camminare un passo dietro a tuo marito… forse molti si ribelleranno a queste parole, forse molte donne diranno “Io no, mai!” e molti uomini grideranno “Non io, certo che no!”. E sono certa lo faranno in perfetta e sincera buona fede. Ma quanti non sentirebbero, in fondo alla mente, che se quella quattordicenne non fosse rimasta a casa, invece di percorrere di sera, con la minigonna, la strada isolata dietro al cimitero, non se la sia in parte cercata? E perché sono più numerose le madri a formare associazioni contro la violenza alle donne, contro la giustizia che non difende le figlie ammazzate dai mariti e non i padri, che preferiscono chiudersi nel loro dolore?
Secondo la mia modestissima opinione, forse anche troppo piena di sdegno e rabbia, il male della violenza esiste, c’è sempre stato ed è riconducibile all’eterna lotta del forte che schiaccia il più debole. Solo che il grave stravolgimento a cui assistiamo nella nostra società , è che nel caso in cui ci mettiamo dentro anche l’elemento sessuale, il delitto diviene più leggero, quasi light, mentre dovrebbe essere esattamente il contrario, come avviene per i delitti razziali. Ma fin troppo spesso l’aggravante della violenza sessuale viene addossata alla donna, non giammai all’omicida.