Uno degli ultimi atti del pontificato di Innocenzo XII riguardò la successione al trono di Spagna. Infatti, su richiesta di Carlo II, senza eredi diretti, il papa consigliò di assegnare il trono a Filippo d'Angiò, nipote di Luigi XIV di Francia, in virtù del legame di parentela fra i due sovrani[1]. Inoltre Carlo II non voleva che la Spagna perdesse la propria indipendenza venendo riunita ai domini imperiali. Questa disposizione poneva però seri squilibri fra le nazioni europee, squilibri che potevano sfociare in un conflitto armato.
Il 27 settembre 1700 moriva papa Innocenzo XII (all'età di 85 anni) in seguito alle complicazioni dovute alla podagra che lo affliggeva dall’autunno precedente. Il 1º novembre successivo si spegneva Carlo II e il giorno 6 successivo Filippo d'Angiò veniva proclamato nuovo Re di Spagna con il nome di Filippo V. Calava il sipario su due secoli di dinastia asburgica e iniziava la dinastia borbonica. La successione non fu gradita dagli Asburgo d'Austria: da Vienna l'ImperatoreLeopoldo I comunicò che non avrebbe accettato la disposizione testamentaria di Carlo II, facendo intendere che era sua intenzione ricorrere anche alle armi pur di assicurare la continuità asburgica sulla Spagna e i suoi possedimenti.
Si profilava, quindi, un conflitto su scala europea che vedeva coinvolte le tre maggiori monarchie del continente, la Francia e la Spagna tra loro alleate, contro gli Asburgo, con il coinvolgimento di Inghilterra e Paesi Bassi, che temevano la potenza franco-spagnola. Tutto questo avveniva in piena sede vacante. La Santa Sede, consapevole dell'incombente conflitto, si rese anche conto che i contrasti tra le fazioni filo-francese e filo-imperiale all'interno del Sacro Collegio avrebbero potuto paralizzare a lungo i lavori del Conclave, con conseguenze disastrose all'interno della Chiesa in generale e dello Stato Pontificio in particolare.
Occorreva quindi una scelta rapida che non poteva indirizzarsi, in questo delicato frangente politico, a un papa remissivo e accomodante, ma a un valido candidato che potesse far sentire la voce della Santa Sede nel mezzo del conflitto che andava profilandosi. I papi Innocenzo XI (Odescalchi) e Innocenzo XII erano stati fermi oppositori del nepotismo, quindi i membri del Sacro collegio da essi nominati (che costituivano la stragrande maggioranza del Sacro collegio) poterono redistribuirsi a seconda delle loro esigenze e desideri; inoltre non era presente alcun cardinal nipote.
Il gruppo dei francesi era capeggiato da César d'Estrées, forgiato dall’esperienza di tre conclavi e dal lungo ruolo diplomatico rivestito presso il Re Sole, mentre la fazione spagnola, guidata dal cardinal Francesco de’ Medici, poteva contare sui voti dei porporati del Ducato di Milano e del Regno di Napoli. Anche la Repubblica di Venezia aveva un suo gruppo che faceva capo ad Ottoboni e aveva una posizione filo-francese, mentre gli interessi del Duca di Savoia erano rappresentati dal cardinale Carlo Barberini.
Il conclave si aprì il 9 ottobre. Nei primi giorni il principale favorito, nonostante l’avanzata età (73 anni), fu Galeazzo Marescotti, ex nunzio apostolico in Austria, Polonia e Spagna, esperto nell’attività di governo e assai influente nella Curia romana. Egli era fortemente avversato da re Luigi XIV, che riteneva avesse lavorato contro gli interessi della Francia, favorendo la causa del Duca di Lorena per la successione al trono di Polonia quando era nunzio di quella nazione.[2] Quando Marescotti giunse vicino all’elezione, verso la fine di ottobre, il cardinal d’Estrées lanciò il veto contro di lui.
Fra gli altri papabili si fecero anche i nomi di Carlo Barberini, Leandro Colloredo, Bandino Panciatichi, Giovanni Battista Spinola, Marcello Durazzo, Jacopo Antonio Morigia e Niccolò Acciaiuoli, le cui candidature tuttavia non ebbero mai un valido supporto e sfumarono una dopo l’altra. Spinola fu l’unico a ottenere un certo riscontro, giungendo a dieci voti dall’elezione.
Nella notte fra il 19 e il 20 novembre 1700 giunse a Roma, tramite il nunzio in Spagna monsignor Francesco Acquaviva, la notizia della morte, avvenuta il 1º novembre, di Carlo II d'Asburgo. La notizia fece mutare improvvisamente tutti gli schieramenti interni al conclave: il timore di una possibile guerra fece superare le varie ragioni di scontro interno e portò all'elezione, quasi unanime, del cardinale Giovanni Francesco Albani, un fine diplomatico noto per le sue doti di temporeggiatore nonché influente consigliere di Alessandro VIII e Innocenzo XII.
Albani, aspettandosi l'elezione, non celò la sua riluttanza ad accettare la tiara, ben consapevole del delicato panorama geopolitico che andava stagliandosi all’orizzonte europeo, e chiese tre giorni per valutare l’accettazione. Nonostante fosse cardinale da dieci anni, si fece ordinare prete solo il giorno prima dell'elezione a romano pontefice, e celebrò la sua prima Messa solamente poche ore prima.
Il Sacro collegio fece una grande pressione su di lui, facendogli presente che il rifiuto della nomina sarebbe stata una grave disubbidienza al volere dello Spirito Santo.[3] Finalmente il 23 novembre fu eletto all’unanimità con 57 voti. L’Albani si risolse quindi ad accettare, scegliendo il nome di Clemente XI in onore del santo del giorno, papa Clemente I. Aveva appena 51 anni e avrebbe retto le sorti della Chiesa per i successivi 20 anni.