venerdì 31 gennaio 2014
Bloody Sunday
Gli "anniversari" non possono altro che allontanarsi e svanire. Nulla di strano in questo; a parte qualche avvenimento epocale, tipo il 14 luglio 1789. Così, vattelappesca chi si sarà ricordato che ieri, 30 gennaio, era l'anniversario (il 42°, per la precisione) della "Domenica di sangue" in Irlanda del Nord. Libri, film, canzoni (non solo quella degli U2), tutto quanto. L'esercito inglese che spara sulla manifestazione per i diritti civili, i "troubles" (così il famoso "understatement" inglese chiamò la guerra civile), l'IRA, l'operazione Motorman...a volte mi sembra di essere un alieno. Un po' perché nel 1972 avevo nove anni (anzi, poco più di otto perché sono di settembre) e di queste cose mi ricordo bene; un po' perché non so se interessarmi di simili cose a poco più di otto anni mi abbia fatto crescere sano e equilibrato, come si suol dire. Temo proprio di no; ma così è.
In Irlanda del Nord, si diceva. A Londonderry; anzi no, a Derry. La guerra si vedeva anche in questa cosa: la città si era sempre chiamata Derry, dal gaelico Doire che significa "bosco di querce", e così la chiamano ancora i cattolici; i protestanti unionisti, per sottolineare l'appartenenza alla corona inglese, vi aggiunsero il nome di Londra. London-Derry, appunto. Nel '72 e dintorni, durante i servizi televisivi e giornalistici sulla guerra irlandese, si vedeva e sentiva solo Londonderry. In quel doppio nome c'era tutto quel che stava accadendo.
Quaranta e rotti anni dopo, la cosa sembra essere stata "risolta" in un modo, come dire, salomonico. La città ha ora ufficialmente un doppio nome: Derry/Londonderry. Nello scorso 2013 il governo del Regno Unito, a somiglianza di quanto accade a livello europeo da trent'anni, ha istituito l'annuale "città della cultura UK": la prima è stata (London)Derry. La cosa è finita, come si vede nella foto, pure sulle barche a vela, con apposito indirizzo internet. La famosa scritta all'ingresso del Bogside, "You are entering free Derry", sembra sia diventata una delle principali attrazioni turistiche della città, fotografata ogni anno da migliaia di persone al pari dei murales con le immagini della "Domenica di sangue" e con i volti di Bobby Sands e degli scioperanti della fame dei primi anni '80. Di quelli mi ricordo ancora meglio, perché di anni ne avevo quasi diciotto; ne avevo sedici quando la Thatcher andò al potere e, pochi giorni dopo, un deputato ultraconservatore, tale Enoch Powell, dichiarò che la signora "non era un'intellettuale". Magari, chissà, della battuta avrà ridacchiato anche qualche minatore.
Va bene, basta così. Derry e Londonderry. Che so io, come se in una futura guerra d'indipendenza in Sardegna gli indipendentisti dicessero Cagliari e gli unionisti Romacàgliari. Quarantadue anni dopo, però, veleggiano barche a vela con scritto Cagliari/Romacagliari. Quei ragazzi ammazzati da un esercito coloniale (perché ragazzi erano, in massima parte) sono diventati attrazioni turistiche, come si confà a volti di un remoto passato. I "diritti civili" saranno, ora, sicuramente assicurati; pare anche che Derry/Londonderry sia una città molto viva culturalmente e dove "si vive bene". Tutto è bene quel che finisce bene. Il prossimo anno sarà il 43° anniversario, poi si arriverà al cinquantesimo nel 2022. Restaureranno i murales, la casa "free Derry", il film, le canzoni e persino le barche a vela. Secondo me, ovunque si trovi o non si trovi ora, c'è pure il caso che Bobby Sands si faccia un bel panino imbottito.
martedì 28 gennaio 2014
mercoledì 22 gennaio 2014
La domenica delle talpe.
L'originale del détournement.
LA DOMENICA DELLE TALPE.
Tentò la fuga sembra
proprio montando su un treno
da una stazione, mi pare
quella di Bussoleno
non fu difficile arrestarlo
il No Tav della Valtellina
lo aspettavano a Bormio
fino dalla mattina
lo portarono dentro
come gli altri a Torino,
accusa di terrorismo
per una sassata a un celerino.
I procuratori arrivarono subito
la modulistica già pronta e le
Waterman
per obbedire alle troie di regime
impegnate nel cantiere
i distributori di Molinette
parevan la Fiera dell'Est,
oggi quaranta provvedimenti
e domani quarantuno
le scimmie italiane
e francesi
ballavano il vertice
dentro a un muro
e mentre ribadivano
l'opera
si strofinavano bene
il culo
la montagna della
Valsusa
volle essere
bucherellata in quel giorno di festa
mafia per mafia
muratore per
muratore
cementista per
cementista.
La domenica delle
talpe
non si presero le
pietrate
la truppa
antisommossa
presidiava le strade
La domenica delle
talpe
si lavorò in tutti
i cantieri,
le pecorelle in
divisa armata
si occuparono dei
sentieri.
Nell'assolata
Procura patria
il sostituto
sostituito
disse all'eroe
Antimàfio che era il primo:
Si può fare domani
a breakfast finito
e furono inviati
messi
fanti rocciatori e
un palombaro
ad annunciare il
lancio dal traliccio
di Luca Abbà
il carbonaro
il senatore con le
mogli blindate
in un tripudio di
annunciazioni
inneggiava alla
trenocrazia
col cappello da
Sanpei calato fino sui coglioni:
Voglio vivere in un
mondo
più veloce di un
sincrotrone,
moglie ti porto
tutti i giorni a mangiare
da Bocuse a Lione.
A tarda sera un
filosofo e lo scrittore De Luca
li cercavano da
tutte le parti
in quella famosa
valle civile,
si eran nascosti in
un covile
(o magari era un
porcile).
La domenica delle
talpe
nessuno si fece male
tutti quanti a
trivellare
una montagna normale
La domenica delle
talpe
si sentiva cantare:
Quant'è bella
giovinezza,
quant'è bello
lavorare.
Gli ultimi occupanti
si ritirarono in
baite e stazzi
e coi binocoli
puntati ci guardarono cantare
per una mezz'oretta
poi ci mandarono a cacare:
Voi che avete
traforato Sangottardi e Mugelli,
visto crepare fiumi
sorgenti e Pietro Mirabelli
voi che siete stati
zitti per i democratici e per i leghisti
per gli azzurri gli
scelti civici e per i fascisti
per gli opinionisti
e per i giornalisti
voi avevate ricatti
sempre pronti
sempre a base di
sviluppo e di lavoro
avevate ricatti
sempre pronti
e menzogne pagate a
peso d'oro.
La domenica delle
talpe
gli addetti al getta
e poi usa
accompagnarono alle
discariche
i detriti della
Valsusa
la domenica delle
talpe
fu una domenica come
tante,
il giorno dopo passò
un treno
con un fischio
terrificante.
Mentre il culo
d'Italia
con indignati
accenti
si gonfiava in un
coro
di balìa
dei violenti.
martedì 14 gennaio 2014
Il terminale uomo
Oggi ho, finalmente, risolto un mistero.
Mi ero fermato da un tabaccaio, nella periferia fiorentina, per fare una ricarichina da cinque euri su un telefonino (un Samsung di estrema base, venticinque euri vuoto a perdere). Per ricaricare vo sempre dal tabaccaio perché comprare la scheda, grattare il codice con la monetina eccetera mi fa orrendamente fatica.
Dopo aver fatto una coda di venti minuti perché il tabaccaio era impegnato al terminale per bollette e superenalotti, nonché a distribuire gratta & vinci alle consuete vecchie che ci lasciano mezza pensione al minimo, è arrivato il mio turno.
Ho chiesto una ricarica Tim da cinque euri e il tabaccaio si è messo a armeggiare a un cassetto per prendere una scheda da grattare.
"Mi scusi", gli ho fatto, "ma non me la può fare al terminale?"
Si è impappinato rispondendomi con un accento che, in linea di massima, mi ha ricordato quello descritto da Gadda per il commissario Ciccio Ingravallo, nel Pasticciaccio brutto de via Merulana.
Sarà capitato a tutti di andare a fare una ricarica in tabaccheria e sentirsi rispondere che il terminale è spento (guasto, non funziona, fa male ecc.). A volte ci sono autentiche epidemie di terminali guasti; e questo rappresentava il mistero. Ma 'sti terminali, terminano così facilmente? Il famoso "baco del millennio" avrà agito soltanto nelle tabaccherie?
Il tabaccaio periferico con accento molisano oggi si è premurato di risolvere il mistero:
"N...no...gghiè che si llo facciu allu terminale ci guaddagno di menu..."
Nel dire questo, si è quasi rinchiuso un dito nel cassetto dove teneva le schede telefoniche.
Dicono di me che, non di rado, ho un pessimo carattere. Infatti, pressoché all'istante, l'ho mandato pesantemente in culo inneggiando ai rapinatori che sparano ai tabaccai. E sono uscito dalla tabaccheria beccandomi peraltro una scrosciata d'acqua sul groppone perché stava diluviando.
In macchina, ripensandoci un minuto, però mi sono detto d'aver fatto male e di essere stato precipitoso. Accidenti al carattere di merda che mi ritrovo, insomma.
Non solo, infatti, il povero tabaccaio era stato totalmente sincero; ma mi aveva infine risolto anche l'annoso mistero dei terminali spenti. In pratica, funziona come coi bagni dei bar, che sono sempre guasti a meno che tu non prenda un caffè. Col caffè, i bagni si raccomodano all'istante.
Troppo tardi per tornare indietro e per ringraziare il terminale uomo.
Poco oltre ho trovato un'altra tabaccheria, dove la terminalessa donna era accesa.
E, in un poderoso rigurgito di italiano medio, ho comprato anche un superenalotto da du' euri precompilato.
Fosse mai.
lunedì 13 gennaio 2014
A proposito del presente e delle vittime.
Prima di parlare un po' del buffo signore col cappello da pescatore che si vede nella foto, bisognerà parlare brevemente del presente. Ogni tanto sento il bisogno di farlo, anche per ribadirmi in testa certe cose.
Se dovessi scegliere un aggettivo che riassuma, in una sola parola, il tempo in cui viviamo, sceglierei: ridicolo.
Un presente ridicolo non esclude naturalmente che sia, sovente, tragico, duro, sanguinoso. Che sia orrendo. E neppure che rechi in sé, comunque, dei germi, delle idee, dei percorsi, delle evoluzioni. Io credo fortemente che chiunque di noi sia chiamato a osservarlo e a parteciparvi, anche se molte volte è davvero difficilissimo.
Sono ferocemente contrario ai rifugi e a qualunque forma di chiamarsi fuori, ancorché condita con qualche bella citazione letteraria. Non amo affatto, poi, chi si diletta dell'arte della metafora insistita e scientifica. Se si sceglie di vivere e di agire nel presente, al presente ci si rapporti comunque esso sia e non se ne parli facendo finta di occuparsi di tutt'altro. Non me ne importa nulla di quel che è successo venti, quaranta, settanta o cento anni fa, e ancor meno dei fermi storia. La storia non si è fermata da nessuna parte. Se qualcuno vuole fermarla a suo piacimento, faccia pure; ma così facendo diventa un morto che parla della sua morte perché di altro, oramai, non sa parlare ed in altro non vive. Ne ho abbastanza di geremiadi sulle rivoluzioni che non ci sono state, ed anche dei "sogni", degli "slanci" e delle "illusioni" che hanno comportato. Du' coglioni più grossi di un casamento. Ci abbiamo già troppo da fare perché questo presente non crolli del tutto, perché ci garberebbe che fosse un po' meglio di com'è; e se non ve ne frega nulla, sarebbe meglio che prendeste in seria considerazione l'idea di suicidarvi. Trovate inconcludente e persino disprezzabile chi ancora non si rassegna ad accasarsi nella sua "rivoluzione" di dieci o mille anni fa, come fosse una sorta di buen retiro da dove si può (peraltro) continuare a spalare merda su tutti e su tutto profittando delle nuove tecnologie? Accomodatevi. Torno quindi a occuparmi di questo ridicolo e faticoso presente.
Si diceva di quel signore nella foto, quello col cappello da pescatore. Ecco: a mio parere quella è una figura che può essere perfettamente emblematica di questo presente ridicolo.
Qualcuno lo avrà (forse) riconosciuto: si tratta di Esposito Stefano, parlamentare del "Partito Cratico" (il "demo", che vuol dire "popolo", sarà meglio tralasciarlo definitivamente) nonché paladino della "Lotta SI-TAV".
Così esattamente, "Lotta SI-TAV", la definisce, in un'intervista, una cosa che generalmente, ancora, viene definita un "blog": L'Huffington Post. Non è naturalmente un caso che l'Huffington Post sia collegato a tutto il maialaio Repubblica-Espresso. Sono, questi, i veri organi ufficiali del Presente Ridicolo, in questo paese. I pupazzetti tra le macerie terremotate accanto alle ultime notizie su Rihanna e Lindsay Lohan. Le coësioni di Napolitano accanto ai fantastici gol e alle papere dei portieri di Pier Luigi Pisa. Le Leopolde accanto ai niù trendz. Il degradosihurèzza accanto alle sfilate di Pitti Immagine e ai "blogger dela moda". La povera bloggeressa cubana perseguitata accanto al dramma dell'allenatore del Milan esonerato. E così via, in crescendo che avrebbero fatto impallidire Gioacchino Rossini.
Il signore col cappello da pescatore, l'Esposito Stefano insomma, oggi si lamenta, appunto, dell'orribile persecuzione di cui sarebbe stato fatto segno dai NO-TAV. Porta le mogli a partorire nelle auto blindate, così magari gli nascono bambini già blindati. Viene pedinato assieme al giornalista della "Stampa" (magari si levasse il cappellino, ché sennò lo si riconosce facilmente). Tiene famiglia e tre figli piccoli, e ha paura che que' delinquenti gli facciano la bua. Si dichiara ormai "pronto a lasciare la politica"; peccato che Mario Merola è morto, sennò lo avrebbe senz'altro ingaggiato per una sceneggiata. Il cognome, Esposito, del resto ci starebbe a meraviglia, sebbene il tizio in questione sia nato a Moncalieri.
Insomma, la più tipica vittima della premiata ditta Repubblica-Espresso-Huffington Post; strano che non abbiano già creato un'Associazione dei Parenti delle Vittime dei NO-TAV. Esposito Stefano assieme alle famiglie dei circa diecimila poliziotti rimasti seriamente feriti durante gli scontri in Valsusa. Ottenere giustizia. Chissà che, prima o poi, non si decidano a crearsi il morto per poter scatenare ancora più repressione armata in un territorio più militarizzato dell'Afghanistan; sinceramente me lo aspetto da un bel po', il Raciti della Valsusa. Sacrificare uno dei loro potrebbe rivelarsi molto efficace, va da sé.
A questo punto, la scaletta prevedrebbe un'attacco di paragrafo del tipo: "Qualcuno vada a spiegare a Esposito che..."; ma sarebbe inutile. Esposito Stefano lo sa benissimo come vanno le cose, dato che ne è interprete e strumento obbediente. In fondo, non c'è bisogno di nessun Mario Merola: la sceneggiata è già in corso da anni, e l'Esposito agisce esattamente come un personaggio di Febbre d'amore o roba del genere.
E' quindi superfluo che si spieghi a Esposito Stefano che cosa sia accaduto e continui ad accadere in Valsusa. Raccontargli delle decine e decine di persone sbattute in galera dallo staff giudiziario della Sceneggiata (o Telenovela), dai Caselli, dai Padalino, dai Rinaudo (stesso cognome del furfante che ha azzoppato Giuseppe Rossi, mi piace far notare). Dirgli a quali potentati, a quali mafie, a quali interessi stia prestando la sua faccia e il suo cappellino da Sanpei. Dirgli che il suo amico giornalista e co-perseguitato lavora pur sempre per la stampa del Padrone (il quale, ovviamente, ci ha bene le mani in pasta nell'affare). Ma ci sarebbe davvero bisogno di dirglielo? Se ce ne fosse davvero bisogno, significherebbe che il presente è un po' meno ridicolo; non è così. Il presente resta ridicolo e nutre gli Esposito Stefano ed altri come lui. Nutre i "vertici" tra fulgidi progressisti come Letta e lo sciupafemmine Hollande (come faccia a sciuparle con quella faccia, rimane un mistero di fronte al quale quelli di Fatima e dell'UFO del Nuovo Messico sono barzellette). Nutre i cantieri trasformati in fortilizi inespugnabili. Nutre queste e decine di altre cose che dovrebbero essere ben note a tutti.
In questo ridicolo presente, il copione prevede che si trasformi in vittima uno come Esposito Stefano. Mentre tutto il movimento NO-TAV è stato sottoposto a una repressione la cui violenza e spietatezza non ha praticamente l'eguale, questi qui ancora si dilettano di affidare a figurine come questa dei ruoli "emozionali", facendogli persino fare il "magnanimo" che effettua dei distinguo tra i NO-TAV "buoni" e i "delinquenti" (una tattica dettata e già sperimentata a dovere dal democratico & eroico Caselli). Poi interviene la grancassa di "Repubblica" & similia, et voilà. Ma figuriamoci; questi qui, a un certo punto, hanno fatto intervenire persino il grande scienziato Odifreddi, ve lo immaginate se si fermano davanti a qualcosa.
Verrebbe voglia dire (o mandare a dire) a Esposito Stefano: "Bravo! Ma lasciala, 'sta politica brutta e cattiva! Goditi i tuoi figli piccoli, fai fare a tua moglie bambini non più blindati, vai a pescare e a fare passeggiate tranquille ai giardini col tuo amico giornalista!"; ma sarebbe un'occasione troppo ghiotta per le grancasse. Ci stanno provando in tutti i modi a creare le vittime, e l'Esposito Stefano è una delle più facili; naturalmente, non ci sarebbe da stupirsi che per la sua persecuzione ben presto finiscano in galera altre persone a cura dello staff giudiziario. Se l'Esposito si ritirasse a vita privata, crudelmente messo fuori causa dai NO-TAV pedinatori (che dispongono, evidentemente, di un servizio di intelligence pari a quello della CIA). Mi chiedo a questo punto come mai, in questo paese dove si danno le scorte persino a Nello Rega, ancora non sia stato protetto in armi l'Esposito Stefano in chiarissimo pericolo di vita, nonché blindatore di consorti partorienti. Magari sarebbe l'ora di mettere su una bella petizione su Avaaz: "Date la scorta a Stefano Esposito e portate sua moglie a partorire su una Mehari del '78".
E così va. Esposito Stefano è stanco. Mettono le molotov davanti al suo appartamento, magari (chissà) quelle riciclate della scuola Diaz. Sanno la targa della macchina di sua moglie, ottima occasione per proporre finalmente l'abolizione delle targhe automobilistiche. Sanno l'indirizzo e il numero di telefono del giornalista: o come avranno fatto, 'sti maledetti NO-TAV? Che ci avranno percaso, che so io, qualche aggancio nella Polizia?... Oppure avranno messo su a Bussoleno una centrale di spionaggio diretta da un non meglio precisato Giacomo Bondi, dallo spiccato accento britannico...?
Ma sarà meglio finirla qui; non vorrei ritrovarmi io, del resto, ad essere pedinato e messo sotto controllo da gente che lo fa professionalmente. Sono ragionevolmente certo che l'Huffington Post non mi farebbe nessuna intervista, ma comunque l'indirizzo e il numero di telefono sono pubblicamente espos(i)ti in casapàgina. La targa della mia macchina è: FI H09747. Non è blindata ma non vi consiglierei di farvi tamponare da un tamburlano del genere. La molotov è inutile: ce l'ho già, raffigurata fuori dalla porta di casa su un fazzoletto che era rosso e si è ormai sbiadito, con la scritta "CARPE DIEM". Non ho mogli da far partorire né amici giornalisti, per mia grande fortuna. All'Esposito Stefano augurerei, prima di morire in tardissima età e nel suo letto, contornato dall'affetto di figli e nipoti, di ripensare a chi si è servito di lui, in giorni lontani, per ammazzare un territorio. Un intero, insignificante territorio popolato da ancor più insignificanti persone. E, magari, di ripensare a quello che allora sarà un ridicolo passato, ovvero al nostro ridicolo presente di cui cerco di continuare a parlare.
domenica 12 gennaio 2014
Undici gennaio
U mæ ninin u mæ
u mæ
lerfe grasse au su
d'amë d'amë
tûmù duçe benignu
de teu muaè
spremmûu 'nta maccaia
de staë de staë
e oua grûmmu de sangue ouëge
e denti de laete
e i euggi di surdatti chen arraggë
cu'a scciûmma a a bucca cacciuéi de baë
a scurrï a gente cumme selvaggin-a
finch'u sangue sarvaegu nu gh'à smurtau a qué
e doppu u feru in gua i feri d'ä prixún
e 'nte ferie a semensa velenusa d'ä depurtaziún
perchè de nostru da a cianûa a u meü
nu peua ciû cresce ni ærbu ni spica ni figgeü
ciao mæ 'nin l'eredítaë
l'è ascusa
'nte sta çittaë
ch'a brûxa ch'a brûxa
inta seia che chin-a
e in stu gran ciaeu de feugu
pe a teu morte piccin-a.
u mæ
lerfe grasse au su
d'amë d'amë
tûmù duçe benignu
de teu muaè
spremmûu 'nta maccaia
de staë de staë
e oua grûmmu de sangue ouëge
e denti de laete
e i euggi di surdatti chen arraggë
cu'a scciûmma a a bucca cacciuéi de baë
a scurrï a gente cumme selvaggin-a
finch'u sangue sarvaegu nu gh'à smurtau a qué
e doppu u feru in gua i feri d'ä prixún
e 'nte ferie a semensa velenusa d'ä depurtaziún
perchè de nostru da a cianûa a u meü
nu peua ciû cresce ni ærbu ni spica ni figgeü
ciao mæ 'nin l'eredítaë
l'è ascusa
'nte sta çittaë
ch'a brûxa ch'a brûxa
inta seia che chin-a
e in stu gran ciaeu de feugu
pe a teu morte piccin-a.
Il mio bambino il mio
il mio
labbra grasse al sole
di miele di miele
tumore dolce benigno
di tua madre
spremuto nell'afa umida
dell'estate dell'estate
e ora grumo di sangue orecchie
e denti di latte
e gli occhi dei soldati cani arrabbiati
con la schiuma alla bocca
cacciatori di agnelli
a inseguire la gente come selvaggina
finché il sangue selvatico
non gli ha spento la voglia
e dopo il ferro in gola i ferri della prigione
e nelle ferite il seme velenoso della deportazione
perché di nostro dalla pianura al molo
non possa più crescere albero né spiga né figlio
ciao bambino mio l'eredità
è nascosta
in questa città
che brucia che brucia
nella sera che scende
e in questa grande luce di fuoco
per la tua piccola morte.
il mio
labbra grasse al sole
di miele di miele
tumore dolce benigno
di tua madre
spremuto nell'afa umida
dell'estate dell'estate
e ora grumo di sangue orecchie
e denti di latte
e gli occhi dei soldati cani arrabbiati
con la schiuma alla bocca
cacciatori di agnelli
a inseguire la gente come selvaggina
finché il sangue selvatico
non gli ha spento la voglia
e dopo il ferro in gola i ferri della prigione
e nelle ferite il seme velenoso della deportazione
perché di nostro dalla pianura al molo
non possa più crescere albero né spiga né figlio
ciao bambino mio l'eredità
è nascosta
in questa città
che brucia che brucia
nella sera che scende
e in questa grande luce di fuoco
per la tua piccola morte.
ילדי שלי ילדי
שלי
שפתים שמנים בשמש
דבש דבש
גדול אמך
מתוק שפיר
סחוט בחם הקיץ
המחניק
ועחשו קריש דם, אזנים
ושני חלב
ועיני החיילים ככלבים נלהבים
עם הקצף בפה
צידי טלים
שרדפו את האנשים כמו ציד
עד שהדם הפראי
כבה את צמאונהם דם
ואחר-כך הברזל בגרון, שרשרת הכלא
ובהפצעות, הזרע הרעלי של הגרוש
למען לא יכולים יותר לגדל ממישור למזח
עצים וגם לא שבלת וגל לא בן.
שלום ילדי, הירשה
מסתרה
בעיר הזו
שבוער שבוער
בערב נופל
ובאור הגדול הרשף הזה
למבתך קטן.
E così la sorte ha voluto che morissero nello stesso giorno, a quindici anni di distanza, il poeta e il macellaio.
La traduzione italiana è, probabilmente, di Fabrizio De André stesso. Quella ebraica è mia.
mercoledì 8 gennaio 2014
Quando sarò Re.
A
rivoluzione ultimata, quando sarò Re, dovrò pur promulgare degli
editti. Uno dei primi riguarderà la proibizione assoluta, sotto pene
studiatamente atroci (come l'ascolto obbligato e prolungato di album
neomelodici, con buona pace di Daniele Sepe -che avrò del resto
provveduto a nominare barone di Sant'Eufemia), della costituzione di
Associazioni dei Parenti delle Vittime.
Il Regno dovrà cessare di essere in balìa di vittime, vittimi,
vittimesse, vittimini eccetera, e sopratutto dei loro familiari.
L'editto comporterà il totale divieto di reclamare giustizie,
giustizie giuste, galere, certezze delle pene, inasprimenti, giri di
vite e quant'altro; la semplice pronuncia dell'espressione tolleranza
zero prevederà, oltre l'ascolto
forzato dei neomelodici, anche un'esposizione supplementare agli
ultimi successi di Povia. Ancor peggiore sarà la sorte riservata a
quella madre, a quel padre, a quella sorella o a quel cugino di
secondo grado che dichiarerà immediatamente: Credo nella
giustizia! In tale malaugurato
caso, il dichiarante dovrà passare anche un'intero mese in compagnia
di Emanuele Filiberto di Savoja, ivi comprese eventuali performances
canore di detto ultimo.
Il
Regno è attualmente popolato in massima parte da Parenti di vittime
giuste. La
suddivisione delle vittime è stata operata escludendo naturalmente
tutte quelle sbagliate. Le vittime sbagliate sono quelle che non
hanno nessuna utilità pratica per il potere: questo assioma potrà
essere meglio enunciato con alcuni esempi, ora tratti dalla realtà
storica, ora dalla cronaca. Il tabaccaio è una vittima giusta, il
rapinatore inseguito e ammazzato dal tabaccaio è una vittima
sbagliata. L'eroico magistrato (che prima o poi finirà in una
fiction della Rai) è
una vittima giusta, Giorgiana Masi e Francesco Lorusso sono vittime
sbagliate. Il bambino investito dal rom è una vittima giusta, il rom
investito sul marciapiede è una vittima sbagliata (oltre a suscitare
grida di giùbilo). Le vittime della Costa Concordia sono giuste,
quelle del barcone in mezzo al mare sono sbagliate (e anche sporche,
tanto è vero che devono fare sempre la doccia). La signora stuprata
e ammazzata dal rumeno è una vittima giusta, il rumeno bruciato dal
datore di lavoro è una vittima sbagliata. Gli operai della Thyssen
Krupp sono vittime giuste, i lavoratori cinesi di Prato sono vittime
sbagliate (e ne bruciassero un po' di più, di quei cinciampài).
Le vittime di Cesare Battisti sono vittime giuste, quelle del
generale Dalla Chiesa sono sono vittime sbagliate. Il generale Dalla
Chiesa è una vittima giusta, Riccardo Dura è una vittima sbagliata.
E così via. Vi sembrano enunciati brutali? Lo sono. Non penserete
mica che un Monarca Assoluto abbia di questi scrupoli. Sennò
togliete pure il Re Sole dai libri di storia, e tanto che ci siete
evitate di parlare di un monarca assoluto qual è il Sommo Pontefice
della Santa Romana Apostolica eccetera, anche se attualmente è più
buono del 3% di tutti gli altri papi della stessa fascia.
Come
questo Regno dalla lunga storia abbia potuto trasformarsi in un
querulo e insistente fracasso di invocazioni a forche e gattabuie mi
sfugge; la mia ferrea e spietata autocrazia tenterà in qualche modo
di porvi rimedio. Pochi giorni fa, ad esempio, mi è capitato di
sentire alla radio una signora facente, appunto, parte di una qualche
associazione di vittime della strada.
Come tutti sanno, è in via di approvazione una Regia Legge che
introdurrà nel Paese il reato di omicidio stradale,
con pene severissime che vanno incontro alle richieste
che, negli ultimi anni, si sono fatte martellanti e ben foraggiate da
tutto il circuito mediatico; tutto questo a partire, naturalmente, da fatti di
cronaca cui è stato
dato un riscontro senza precedenti, sfruttando alla perfezione l'impatto
emozionale che hanno sulla ”pubblica opinione” (un'altra cosa che
mi premurerò di abolire con apposito editto; l'opinione, d'ora in
poi, avrà da essere strettamente privata. O non vi garbano tanto le
privatizzazioni?). La
signora in questione, probabilmente una madre
o comunque una parente di una qualche vittima del pirata
ubriaco di turno (meglio se
pirata, ubriaco e rumeno/zingaro/albanese eccetera, possibilmente
anche senza patente),
entusiasta ovviamente dell'introduzione dell'omicidio
stradale, pareva realmente
scatenata nel suo furore giustizialista; avesse potuto invocare la
pena di morte per qualsiasi reato concernente
gli incidenti stradali, lo avrebbe fatto senza pensarci due volte. Il
parente della vittima (giusta),
e non soltanto per quanto riguarda la strada, ha due caratteristiche
salienti: la logica di vendetta pura (graditissima in ogni sua
declinazione dato che alimenta la costante ed eterna emergenza
che genera bisogno di sicurezza
e, quindi, controllo capillare, repressione e altre forme di
eliminazione delle libertà personali e collettive), e la tendenza ad
essere un piccolo stato d'Israele. Mi spiego meglio. Così come lo
stato d'Israele, servendosi dell'Olocausto, zittisce chiunque lo
critichi in nome della tragedia
che hanno subito gli ebrei (e che io, peraltro, non nego affatto), il
parente della vittima zittisce
chiunque ardisca a dire ”bà” perché lui/lei ha
subito la tragedia. Frase tipica: ”Vorrei vedere che cosa
faresti tu se ti avessero ammazzato
figlio/figlia/moglie/marito/amante/cane Fido”
eccetera.
E
così, almeno per quel che riguarda gli incidenti stradali, le nostre
città si sono trasformate in testimonial perfetti di forcaiolismo,
anche a cura delle amministrazioni locali. Sono in primis diventate
ricettacoli di Altarini & Angeli. Il semplice mazzo di fiori dove
si è verificato un incidente in cui qualcuno ci ha rimesso la
buccia non basta più: sui luoghi dove qualcuno è rimasto vittima
sono stati eretti tabernacoli con foto, altari, striscioni di dieci
metri, rock gardens tipo quello del tempio giapponese di Ryoanji,
muraglie di messaggi, pupazzettifici interi, sciarpate colossali
della squadra del quore
che manco se ne vedono in Curvasùdde e, naturalmente, Angeli. Angeli
a sfare. Angeli a profusione. Per diventare un angelo basta farsi
beccare da un Tir. Iddìo non scacciò un semplice angelo dal
Paradiso: il futuro Lucifero era stato ammazzato in motorino, da una
Fiat Lux di ultimo modello, all'angolo tra via della Creazione
Intelligente e viale Bereshit Barà Elohim. Il mio editto,
chiaramente, prevederà sia la rimozione immediata degli altarini,
sia la crudele e spietata abolizione degli angeli spiaccicati.
Prevederà anche l'obbligatoria diffusione di tale elementare
principio:
”Fratelli
e sorelle carissime, il vero 'omicidio stradale', o come lo volete
chiamare, è la stessa motorizzazione di massa che è stata imposta
in nome delle logiche industriali e capitaliste. Siete stati
condannati/e ad un suicidio di massa, cosa che avete fatto con
entusiasmo e partecipazione. E lo sapete perché? Perché
l'automobile e gli altri veicoli sono proprio delle ganzate. Perché
da un lato il 'mito della velocità' è stato diffuso con ogni mezzo
possibile e immaginabile, e dall'altro lo si demonizza e lo si
reprime sempre di più. A qualcuno è mai saltato per la testa di
condannare gli Agnelli, che hanno senz'altro contribuito ad ammazzare
migliaia di persone in nome del loro profitto? Purtroppo ci sta di
rimetterci la pelle in macchina, sia su un circuito sia in via
dell'Argingrosso uscendo dall'Esselunga. Fatevene una ragione anche
se non ne avete nessuna colpa, anche se eravate a piedi, anche se
eravate nel fiore dell'età e all'improvviso vi toccano i fiori sulla
tomba. Altrimenti, prima o poi vi beccate un bell'editto che abolisce
le automobili (detto ”Editto Zerzan”, ndr) e si ricomincia tutti
a andare a piedi e a cavallo. Ma si muore anche a cavallo, e i
cavalli non li posso abolire. Buona vita, ivi compresa la morte che
ne è parte.”
Ricevuto?
Non so. Probabilmente siete entrati anche voi nella logica
etilometrica e pattugliatrice. Probabilmente anche voi siete convinti
di essere ubriachi dopo
aver bevuto una Fanta mezza sgasàta. Probabilmente partecipereste
volentieri al Pogrom dopo che il Nòmade è piombato sul nonno
ciclista o sull'adolescente a bordo di uno ”scooter” che solo
pochi anni fa sarebbe stato catalogato come una motocicletta da
competizione. Intanto, oltre agli Altarini Angiolati, certi comuni
affiggono manifesti terroristici per le strade, appongono targhe del
tipo ”Qui si è verificato un incidente mortale” (il colmo si
avrebbe se uno si stiantàsse mentre lo legge), e si muore ogni
giorno di più di repressione. Ogni giorno sempre un pezzetto di
galera in più. Dacci oggi la nostra cella quotidiana. Capirete che
un Re per volontà di Dio e della Nazione dovrà preoccuparsi di
invertire la rotta per il bene dei suoi amatissimi Sudditi. A tale
riguardo, particolare spietatezza sarà riservata nei confronti
delle fiaccolate, dei
portatori di fiaccole & affini, delle richieste di
giustizia eccetera. Tanto la
Giustizia la amministrerò io di persona e non ho bisogno che me lo
si chieda. L'état c'est moi e voi fatevi gli affari vostri, perché
io so' Re e voi nun siete un cazzo. Del resto, funziona esattamente
così anche nella cosiddetta democrazia, o
che non ve ne siete accorti?!?...
Tutta
una serie di editti è già in preparazione, in attesa che la
Rivoluzione si compia ed Io sia elevato al Trono. Un altro, opportuno
assai, vieterà qualsiasi tipo di fiction
sugli ”anni di piombo”. Beppe Fiorello, sotto minaccia di
fustigazione, sarà costretto a interpretare uno sceneggiato sulla
vita e sulla morte di Adelchi Argada. Ennio Fantastichini sarà messo
alla prova come Nicola Ciocia, alias Professor De
Tormentis. Terence Hill sarà
mondato del suo mortifero Don Matteo e messo nelle vesti di Don
Cantini, parroco fiorentino della Regina della Pace (dei sensi). Se
Neri Marcorè, artista peraltro molto apprezzabile, si riazzarderà a
fare papa Luciani o qualche eroico carabiniere, sarà definitivamente
tolto di mezzo l'Ascoli Calcio, sua squadra del guore.
A chi intendesse interpretare per l'ennesima volta il commissario
Calabresi saranno fatti assaggiare non anni di piombo, ma un paio di
giorni di cromo-vanadio sul capino. [...]
Siete
arrivati fino a questo punto? Se non ci siete arrivati, interrompendo
la lettura e augurandomi di finire al più presto sotto un autobus
(guidato, ovviamente, da un autista zingaro ubriaco), pazienza. Se
invece ci siete arrivati, fate un'ultimo sforzo e leggete anche
questa ultima cosa, ché tanto, se leggete questo blog, è perché
non avete niente di meglio da fare e potete perdere altri cinque
minuti.
Volevo
dirvi che il qui presente non è né un ”irrispettoso”, né un
provocatore da strapazzo. E', il qui presente, uno che per tutta la
vita è andato a raccattare per le strade persone rimaste coinvolte
in incidenti stradali anche gravissimi, assistendo a scene di fronte
alle quali la maggior parte di voi sareste svenuti all'istante. Ho
assistito a strazi di parenti, a disperazioni coniugate in ogni loro
possibilità, a ragazzini delle medie segati in due in un tunnel, a
carbonizzazioni sulla FI-PI-LI. Non azzardatevi quindi a pensare che
io non porti rispetto verso tutto questo. L'esatto contrario.
Solo che
ho un modo un po' originale di mostrare il mio rispetto. Ritengo
altamente e schifosamente irrispettoso sfruttare delle tragedie per
creare la galera globale in cui ci stanno rinchiudendo; o meglio, in
cui ci stiamo rinchiudendo come galline, noi stessi, con le nostre
mani. Questa è la più odiosa forma di irrispetto che si possa
immaginare; dovremmo evitare di esserne complici.
Allora
metto in atto, ovviamente per il poco che mi è possibile e con la
piena coscienza di essere soltanto il titolare di un blogghino del
cazzo, una forma tutta mia di brutalità; la quale non è
”scorretta”, ma semplicemente disassata rispetto al cosiddetto e
famoso ”senso comune”. Il quale, peraltro, non è da me sempre
ritenuto sbagliato a priori; molto spesso, anzi, lo preferisco alle
elucubrazioni intellettualistiche di parecchi coglioni pixellati e
non. In certi altri casi, però, al ”senso comune” deve essere
riservata una sana distruzione; cosa davanti alla quale non ho mai
indietreggiato, anche a costo di ricevere indignazioni varie,
minacce, sarcasmi, promesse di denunce e altre cose del genere.
In fondo,
il mio sarebbe un costante appello all'equilibrio; il quale è, e
dovrebbe essere, una delle prerogative più importanti dell'essere
umano e del suo agire personale e collettivo; ma viviamo in tempi in
cui lo squilibrio è non solo generalizzato, ma promosso con ogni
mezzo, fomentato e beatificato in primis dalle cosiddette
”istituzioni” (senza contare, naturalmente, i ”media” e
quant'altro). E lo squilibrio non genera soltanto disuguaglianze
infinite: genera prigione. Genera morte. Genera disperazione. Genera
follia. Genera affari e economia, e sarebbe bene riflettere
particolarmente su questo punto.
Ora posso
anche, e tranquillamente, andare a farmi stiacciàre dall'autobus di
cui sopra. Per fortuna ho già dato istruzione a mio fratello, a suo
tempo, di non azzardarsi a ”chiedere giustizia”. Gli voglio
troppo bene per desiderare che diventi un boia in mio nome.
Pago un
debito: la battuta ”A rivoluzione ultimata, quando sarò Re” non
è mia. L'ho presa in prestito da Io Non sto Con Oriana. Ciò non
toglie, naturalmente, che quando sarò Re...
domenica 5 gennaio 2014
Sucate, niuiorchesi.
4 gennaio 2014, ca. ore 23
Temperatura: + 15° C
Mimosa già in fiore, giardino del CPA Firenze Sud
E voi congelatevi pure le palle col sindaco che spala neve
venerdì 3 gennaio 2014
One
La musicassetta che si
vede nella foto, una “Basf Ferro Extra 1” da 60 minuti, ha più
di vent'anni; si legge la data in cui è stata registrata, il 16
maggio 1993. Non so neppure se sia ancora ascoltabile; contiene
l'album Achtung Baby degli U2. Sul retro si
scorge il nastro avvolto ad un certo punto; quasi sicuramente lo è
in corrispondenza di una canzone. One.
Prima di parlare della
canzone, di quella canzone, vorrei raccontarvi una cosa a proposito
della musicassetta. E' l'unica e ultima cosa che mi rimane di una
persona; ogni altra cosa è scomparsa. Reciso ogni più
impercettibile filo dallo scorrere del tempo e dagli interventi della
coscienza e della vita; perduta ogni immagine, ogni fotografia, ogni
impronta; misurati infinite volte gli odi et amo
fino allo sgretolamento totale per sfinimento e per liberazione;
polverizzato ogni altro oggetto a parte il decrepito biglietto d'un
traghetto conservato in un libro, oramai del tutto illeggibile e
recante con sé l'allontanamento nelle galassie di parole morte;
resta soltanto quella sola cosa a resistere, forse per vita propria.
Registratami da quella persona sull'estremo limitare, al margine
della svolta, al bivio senza più nessuna possibilità d'incrocio.
Chi da una parte e chi dall'altra; due vite che si sono divise
andando a esplorare opposti inconciliabili.
E così, ogni volta che
mi è capitato di riascoltare quella canzone, One,
mi ha raccontato quel che doveva raccontarmi. Raccontato e riassunto.
Racchiuso. Si è assunta il compito di risucchiare tutto, come un
buco nero di inimmaginabile densità. Forse anche per questo è
rimasto là, il suo involucro, sopravvissuto a diciotto traslochi, a
viaggi interminabili, a oltre vent'anni di vagabondaggi. Parlavo di
vita propria; quella canzone la ha senz'ombra di dubbio.
Allora bisognerà dire
che il suo album è il settimo degli U2, e che fu pubblicato il 18
novembre 1991. Che la rivista Rolling Stone lo
ha inserito al 62° posto tra i 500 migliori album di tutti i tempi;
e che quella canzone, One, ha dato adito ad ogni
sorta di interpretazione. Tutto ci è stato visto. Ne furono girati
tre video; nel primo, girato dal regista e fotografo olandese Anton
Corbijn, si vede Bono confessare a suo padre di essere affetto
dall'AIDS.
Nel secondo si vedono scene rigogliose di praterie e
bufali, mentre compare la scritta “One” in diverse lingue.
L'immagine finale del video è una fotografia dell'artista
omosessuale David Wojnarowicz, che illustra come gli indiani
cacciavano i bisonti costringendoli a correre fino a precipitare in
un dirupo. Wojnarowicz identifica se stesso e noi stessi con i
bisonti, sospinti verso l'ignoto da forze che non possiamo
controllare o nemmeno comprendere. L'immagine dei bisonti sarebbe
dunque una metafora su di un tipico atteggiamento della gente che
tende a "tirare avanti" ignorando problemi gravi. Questo
atteggiamento rischia di portare l'intera umanità, come una mandria
di bisonti al galoppo, verso guai seri se non ci si fermerà un
momento per cercare di risolvere le questioni più gravi.
Il terzo video mostra Bono seduto in un bar, mentre beve birra e fuma un sigaro. Le angolazioni con cui fu ripreso, aggiunte alla luce soffusa, diedero adito alle critiche che videro nel video un'affinità con la pubblicità della birra Heineken.
Il terzo video mostra Bono seduto in un bar, mentre beve birra e fuma un sigaro. Le angolazioni con cui fu ripreso, aggiunte alla luce soffusa, diedero adito alle critiche che videro nel video un'affinità con la pubblicità della birra Heineken.
C'è chi ha visto nel
testo una difficile relazione amorosa: due persone che non riescono a
mantenere stabile il rapporto per continui litigi e ferite
reciproche. “The Edge”, il chitarrista David Howell Evans che è
peraltro l'autore del riff originale della canzone, rilasciò
un'intervista al Q Magazine in cui si stupiva
assai che One venisse suonata a molti matrimoni
come canzone d'amore e di essere “una sola cosa”: ”Ma
avete ascoltato il testo? Non è quel genere di canzone”,
disse. Altri ci vedono l'unicità in senso spirituale, mentre per
altri, visto il periodo trascorso dagli U2 in Germania, ci vedono una
metafora della riunificazione tedesca. Ci si rischia davvero di
perdere, in quella canzone; ma forse è il destino ineluttabile dei
veri capolavori della parola in musica. Semplicemente riesce a
riflettere, per qualche motivo sempre valido, la vita di ognuno di
noi. Ha nelle sue parole qualcosa che si incastra sempre. Alla mia
come alla tua, di vita; alle sue circostanze, alle sue storie, alle
tue perdite, ai tuoi rimpianti, al tuo alternarsi di vittorie e
sconfitte, alle speranze morte e alle illusioni vive.
Esiste peraltro
un'interpretazione più condivisa, vale a dire che il testo parli in
verità della vita passata assieme al padre da Bono, dopo che questi
perse la madre all'età di quattordici anni. Il testo pare riferirsi
proprio alle difficoltà nel superare quella perdita.
Tutto quanto è
possibile. Io resto ancora qui, in una qualsiasi notte d'inverno, a
rigirarmi in mano quella vecchia musicassetta e a domandarmi alcune
cose. Sono domande confuse, che non presuppongono risposte. Leggo la
scrittura di quella persona, chiedendomi come sarà adesso; con
quelle “G” maiuscole a forma di falce, la “y” elegantissima,
l'estrema minutezza della grafia; eppure, nella scrittura dei titoli
delle canzoni, si nota una specie di strano disordine che, per quel
che mi ricordo, non le era affatto consueto. Come dovesse sbrigare
una pratica da terminare. Come me lo mandasse a dire. Non siamo
uguali. Non eravamo uguali. Non c'è rimpianto; c'è perplessità,
ogni passione spenta. È stato possibile? Che significato ha avuto?
Anche la tua vita, lo sai, è una canzone dal testo tanto bello
quanto misterioso. Ogni tanto qualche altra canzone lo accompagna
prima che tu faccia la fine dei bisonti precipitati nel dirupo senza
fondo; e se capita, per qualche accidente del destino, di scivolarci
in quel dirupo ma di riprendersi perché il momento non è ancora
giunto, sai già bene che cosa ti attende. Continui quindi a farti
domande nella notte, allargando le braccia e accettando sia quel che
è stato, sia quel che non è stato, sia la possibilità che in
qualche altra dimensione tutto stia di nuovo cominciando per essere
poi sbagliato ancora.
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