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Soluzione finale della questione ebraica

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La soluzione finale della questione ebraica (in lingua tedesca: Endlösung der Judenfrage) fu un'espressione usata dai nazionalsocialisti a partire dalla fine del 1940, dapprima per definire gli spostamenti forzati e le deportazioni ("evacuazioni") della popolazione ebraica che si trovava allora nei territori controllati dalla Wehrmacht, poi, dall'agosto del 1941, per riferirsi allo sterminio sistematico della stessa, che oggi viene comunemente chiamato Olocausto, o Shoah. Questo eufemismo serviva da una parte a mimetizzare il genocidio verso l'esterno, dall'altra era una giustificazione ideologica.

Fasi della soluzione finale

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Il violento antisemitismo del Partito Nazionalsocialista Tedesco dei Lavoratori si sviluppò in diverse fasi. I primi provvedimenti erano tesi ad escludere gli ebrei dalla vita pubblica e costringerli all'emigrazione, rendendo il territorio tedesco judenfrei (libero da ebrei).

La causa principale di questo comportamento "moderato" da parte del Partito fu dovuto alle necessità di consolidamento del potere e di creazione del consenso popolare. Un comportamento troppo "radicale" avrebbe rischiato di alienare al nuovo regime le simpatie della popolazione e soprattutto degli industriali, essenziali per il progettato programma di riarmo tedesco.

Le leggi di Norimberga e l'emigrazione

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Lo stesso argomento in dettaglio: Politica razziale nella Germania nazista.

Giunti al potere nel 1933, Hitler e il NSDAP intrapresero una serie di successive misure tese ad escludere la popolazione ebraica dalla vita pubblica. La politica discriminatoria culminò con la promulgazione delle leggi di Norimberga, il 15 settembre 1935.

La propaganda nazista fomentò inoltre l'odio della popolazione "ariana" nei confronti degli ebrei attraverso un'ossessiva campagna di stampa - basti ricordare la rivista Der Stürmer edita da Julius Streicher - che sfociò nel 1938 nel violento pogrom scatenato dai nazisti e passato alla storia come la Notte dei cristalli.

La reazione della popolazione ebraica a questa tragica situazione fu, ove possibile, l'emigrazione, soluzione approvata ed incoraggiata dalle autorità tedesche che imposero comunque gravose condizioni economiche a coloro che decidevano di emigrare. La popolazione ebraica tedesca passò, tra il 1933 ed il 1938, dalle 560.000 alle 350.000 unità. L'annessione dell'Austria (Anschluss), avvenuta nel 1938, portò all'interno dei confini del Reich altri 220.000 abitanti di origine ebraica.

Il progetto Madagascar

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Lo stesso argomento in dettaglio: Piano Madagascar.
Polonia, maggio 1941: controllo dei documenti di una donna ebrea, in un mercato, da parte di due poliziotti tedeschi

Subito prima dello scoppio della seconda guerra mondiale venne posto allo studio un progetto per l'emigrazione forzata della popolazione ebraica sull'isola di Madagascar, allora colonia francese. Uno dei personaggi chiave del progetto Madagascar fu Adolf Eichmann, esperto di «problemi ebraici» e di trasferimenti forzati di popolazione.

Nonostante i numerosi colloqui diplomatici intercorsi tra Germania e Francia non si arrivò ad una soluzione anche a causa del raffreddamento dei rapporti tra i due stati nell'imminenza della guerra. Dopo la conquista tedesca della Francia e il successivo armistizio nel giugno 1940 il progetto tornò in auge. La Germania intendeva trasformare il Madagascar in una sorta di immenso ghetto per ebrei che sarebbero stati forzatamente trasferiti a loro spese.

Il previsto trasferimento via nave, però, presentò fin dall'inizio insormontabili difficoltà tecniche dovute al dominio dei mari della Gran Bretagna, in guerra con la Germania. Nonostante queste difficoltà il progetto continuò ad essere sviluppato ed ampliato fino alle successive decisioni scaturite dalla Conferenza di Wannsee.

Lo stesso argomento in dettaglio: Colonia ebraica in Etiopia.

Benito Mussolini nel 1938 propose ad Hitler la creazione di un territorio autonomo ebraico nel quale trasferire gli ebrei d'Europa, in Etiopia, allora occupata dall'Italia. Sarebbe dovuto sorgere sul modello della sovietica Oblast' autonoma ebraica e nella regione etiope già abitata da ebrei, la regione dei Falascia[1]. Non è noto se Hitler avesse già preso in considerazione il progetto.

I ghetti orientali

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28 febbraio 1941, lager di Buchenwald: Deportati ebrei olandesi (riconoscibili dalla lettera N di Niederlande, Paesi Bassi in tedesco, appuntata sul petto) all'appello quotidiano

La successiva conquista di Polonia, Belgio, Paesi Bassi, Francia, Danimarca e Norvegia da parte delle armate tedesche ampliò ulteriormente il problema ebraico. Contemporaneamente al progetto Madagascar, di difficile realizzazione pratica, venne studiata ed attuata la deportazione degli ebrei verso i territori del Governatorato Generale, un'unità amministrativa non direttamente annessa al Reich, in modo da rendere il territorio tedesco judenfrei.

Tutti gli ebrei trasferiti dall'Europa occupata, inclusi quelli polacchi, avrebbero dovuto essere concentrati in grandi ghetti in vista di una futura "soluzione definitiva". La soluzione dei ghetti si scontrava infatti con un pilastro ideologico del nazismo: lo "spazio vitale" (Lebensraum) da conquistarsi ad oriente per essere occupato da coloni "ariani": la presenza di ebrei, "razzialmente impuri", avrebbe causato difficoltà al loro progetto.

L'invasione dell'Unione Sovietica e le Einsatzgruppen

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Lo stesso argomento in dettaglio: Einsatzgruppen.

Nel 1941, con la preventivata invasione dell'Unione Sovietica, le autorità tedesche si trovarono a dover progettare una "soluzione" per i milioni di ebrei residenti nelle immense regioni russe. La ghettizzazione avrebbe presentato gravi problemi a causa dell'elevato numero di ebrei da rinchiudere.

Nel marzo 1941 Hitler ordinò ad Himmler di organizzare speciali reparti di SS (Einsatzgruppen) che, agendo sotto l'esclusiva autorità del Reichsführer, avrebbero dovuto seguire le truppe tedesche in avanzata ed eliminare, mediante fucilazione, tutti gli ebrei e comunisti che avessero incontrato.

Il 22 giugno 1941, con l'avvio dell'Operazione Barbarossa, i progetti si trasformarono in realtà. Le Einsatzgruppen, completamente svincolate dall'autorità dell'esercito tedesco, iniziarono le loro "operazioni" che si tradussero in un numero imprecisato di morti (molti storici considerano 1.300.000 - 1.500.000 vittime)

La conferenza di Wannsee

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Lo stesso argomento in dettaglio: Conferenza di Wannsee.

«Adesso, nell'ambito della soluzione finale, gli ebrei dovrebbero essere utilizzati in impieghi lavorativi a est, nei modi più opportuni e con una direzione adeguata. In grandi squadre di lavoro, con separazione dei sessi, gli ebrei in grado di lavorare verranno portati in questi territori per la costruzione di strade, e non vi è dubbio che una gran parte verrà a mancare per decremento naturale. Quanto all'eventuale residuo che alla fine dovesse ancora rimanere, bisognerà provvedere in maniera adeguata, dal momento che esso, costituendo una selezione naturale, è da considerare, in caso di rilascio, come la cellula germinale di una rinascita ebraica. (Vedi l'esperienza della storia.)»

I tedeschi concentrarono la popolazione ebrea nei ghetti, e successivamente nei campi di concentramento, per il loro sfruttamento col lavoro schiavistico e per lo sterminio sistematico.

La conferenza di Wannsee, che ebbe luogo nei pressi dell'omonimo lago, vicino a Berlino, il 20 gennaio 1942, fu una discussione condotta da un gruppo di ufficiali per decidere le modalità della "soluzione finale della questione ebraica". L'incontro è noto per essere stata la prima discussione della "soluzione finale" tra funzionari nazisti. Della conferenza fu redatto un verbale da Adolf Eichmann seguendo le istruzioni di Reinhard Heydrich che venne distribuito in trenta copie delle quali ci è pervenuta una sola minuta (la sedicesima del lotto) appartenente a Martin Luther, sottosegretario del Ministero degli Esteri.

Gran parte del mondo dà al risultato della "soluzione finale" il nome di Olocausto; molti ebrei e anche non ebrei, invece, preferiscono il termine ebraico Shoah (השואה), o "calamità", a causa delle origini etimologiche del termine 'olocausto', che significa 'offerta sacrificale completamente bruciata'.

Dibattito storiografico circa le origini della «soluzione finale»

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Esiste ancor oggi un considerevole dibattito tra gli storici sul periodo esatto nel quale i vertici nazionalsocialisti decisero lo sterminio della popolazione ebraica europea. La conferenza di Wannsee del gennaio 1942 fu considerata nell'immediato dopoguerra il punto di origine e la pietra miliare della «soluzione finale». Tale interpretazione è stata successivamente rivista in considerazione del fatto che alla Conferenza parteciparono figure di secondo piano che non avrebbero potuto decidere autonomamente il genocidio, stimato nel corso dell'incontro in oltre 11 milioni di individui. A proposito del protocollo redatto nel corso della Conferenza e che ne tratteggia sinteticamente lo svolgimento lo storico Mark Rosemann afferma:

«I pubblici ministeri statunitensi pensavano di aver scoperto l'equivalente della Stele di Rosetta per quel che riguardava lo sterminio nazista e il Protocollo del Wannsee risulta ancora tale nell'odierno immaginario popolare. Ma gli storici hanno sostenuto da tempo che potrebbe non essere quel che sembra. Intanto alla conferenza del Wannsee Hitler non c'era e gli uomini presenti non avevano incarichi tali nella gerarchia nazista da poter decidere un genocidio.[2]»

La maggior parte degli storici sono concordi nel porre la decisione di dare avvio ad una «soluzione finale» nell'anno 1941, anche se lo specifico periodo varia considerevolmente (tra il marzo e il dicembre). Non esistono prove incontrovertibili dato che non è mai stato trovato un ordine scritto firmato da Hitler e che, forse, tale ordine non è mai esistito. La precedente Aktion T4 (il programma di uccisione dei disabili tedeschi) aveva mostrato ad Hitler come il popolo tedesco non fosse «ancora pronto» per le sue radicali politiche, tanto che questo programma dovette essere bloccato nel maggio 1941 in seguito alle numerose proteste. In questo caso Hitler aveva firmato un documento segreto, poi ritrovato, per dare una parvenza di legalità all'operazione del quale, però, si era successivamente lamentato, temendo che si potesse collegare la sua figura al programma. Tale timore può aver influito sulla decisione di non lasciare nessuna traccia scritta, limitandosi ad ordini verbali, e di utilizzare, nel caso della «soluzione finale», un linguaggio circonvoluto e burocratico teso a nascondere alla maggior parte della popolazione tedesca ed all'estero quello che stava realmente accadendo.

  1. ^ Il gazzettino, 4 dicembre 1967, tratto dal volume "1887-1987 cent'anni di Gazzettino"
  2. ^ Citato nella recensione di Il Protocollo di Wannsee e la «soluzione finale» di Mark Roseman dal sito web «Società Italiana per lo Studio della Storia Contemporanea (SISSCO)». Riportato il 1º maggio 2013.

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