Ci sono momenti nella vita in cui ci si sente vuoti, dopo una dura battaglia, dopo una lotta che ci ha coinvolti profondamente e da cui siamo usciti con la morte di qualcuno a noi caro. Qualsiasi lotta porta sia sconfitta che vittoria, quello di sicuro che porta è un vuoto in cui a volte annaspiamo, altre invece galleggiamo come in una profondità senza fine, percependo la nuova quotidianità con sensazioni e rumori attutiti come se nulla più ci appartenesse: ci sentiamo straniti perché era l'urgenza del momento passato che dominava le nostre vite e finita quella restiamo disorientati, perchè la fine, la morte ci toglie il respiro, il fine più importante per cui tanto lottavamo. Tanto che il solo proclamare la fine in qualche modo ci spaventa, il non dirlo è un modo per farlo ancora esistere, se non materialmente almeno spiritualmente.
Difficile ricominciare. Certo il Sole si alza ogni giorno, la notte succede al giorno e pietosa ci preclude l'attività nel sonno ristoratore, anche se agitato.
E' morta Mina, la seconda moglie di mio padre, la mia seconda madre, la nonna amorevole dei miei figli che con amore e pazienza mi ha aiutato a crescerli, con tanto amore, ma con rigore e attenzione. L'esserle stata vicina mi ha arricchita di un indomito esempio di coraggio e di resistenza, perchè ha lottato fino al suo ultimo respiro. La prima frase che disse quando scoprì di avere una malattia maligna resta ancora nella mia memoria: la malattia non influirà sulle mie abitudini di vita. Ed è così che fino all'ultimo si era riservata di fare con nuovi stratagemmi alcuni servizi a suo nipote sia pure girando per casa con il girello, aveva preteso di badare alla propria igiene personale da sola, faceva qualche piccolo lavoretto per sentirsi ancora utile ed autonoma e solo nell'ultimo mese mi aveva permesso di aiutarla in qualche faccenda. La malattia l'aveva prosciugata e piegata fisicamente, tanto che aveva perso 40 kili e si era accorciata di 20 cm. Gli ultimi giorni non riusciva quasi a camminare. Era lentissima nei movimenti, ma orgogliosamente tirava avanti a se una gamba alla volta, impiegava un'eternità a percorrere i tratti in uno sforzo sovrumano ma testardo. Solo un'emorragia cerebrale ha avuto la meglio su di lei piegandola definitivamente, in poche ore se l'è portata via.
A noi che restiamo, lo stupore della sua perdita ci fa riprendere la routine senza di lei al rallentatore, camminiamo e lavoriamo automaticamente, qualcosa di importante ci manca fisicamente. Restiamo vicini per affrontare meglio una realtà che ancora non abbiamo fatto completamente nostra.