Umberto Contarello
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Umberto Contarello (1958 − vivente), sceneggiatore e scrittore italiano.
Citazioni di Umberto Contarello
[modifica]Citazioni in ordine temporale.
corrieredelveneto.corriere.it, 6 marzo 2014.
- Travaglio si ciba della decadenza dell'Italia come un bambino del latte, e ce lo ricorda ogni giorno.
- Quando un film arriva a parlare a un venditore di macchine di Denver o a uno di Amsterdam, è anche ingenuo stabilire i motivi per cui questo film parla e perché ha suscitato interesse o critiche.
- [Su La grande bellezza] Questo film nelle intenzioni e nel risultato non ha velleità di raccontare il Paese che vive una discesa agli inferi, anzi. Oltre agli aspetti più evidenti, oltre alla sontuosità visiva, alla malia, il motivo per cui questo film si è conquistato questa strada è che parla agli strati più profondi delle persone.
- [Su La grande bellezza] Penso che una collettività abbia aspetti vitali, proprio come i balli, che hanno una loro bellezza, simile alla corsa di un giaguaro: sono spettacoli fisici. Nel film ci sono i balli e la bellezza estatica di Roma. Sono due specchi, e uno si specchia nell'altro. Un meraviglioso ballo è altrettanto ammaliante di un palazzo barocco notturno a Roma. In questo film le persone si innamorano, ballano e muoiono indipendentemente da un giudizio sociologico del nostro Paese.
- [...] le persone hanno maggiori similitudini rispetto a quello che stabilisce la geografia, e anche il concetto di "origine" si sta sciogliendo. Il mio sogno è fare sempre di più film che dicano che un cittadino di Glasgow è come un cittadino di Padova.
Intervista di Gigi Riva, espresso.repubblica.it, 20 ottobre 2016.
- [Su Casinò] Dopo averlo visto sono uscito con la sensazione che aveva un materiale romanzesco. Il film non era più racconto ma, appunto, romanzo, con digressioni, fili che non si chiudono. E i personaggi erano il traino della narrazione, non viceversa. Il personaggio di Sharon Stone era come una belva in gabbia perché lei era più forte della narrazione.
- Fargo è l'epifania della creatività che evolve sotto gli occhi. Comincia con la scena di un signore che paga due delinquenti perché rapiscano sua moglie. E quelli invece di parlare di ciò che devono fare discutono sul fatto che l'uomo è arrivato in ritardo all'appuntamento. Un linguaggio dislessico, non portatore di razionalità.
- [Su Joel ed Ethan Coen] Stanno profondamente dentro la storia del cinema americano, anche nei tratti mainstream, e nello stesso tempo hanno una grande libertà autoriale che è una classica caratteristica europea.
- I film prima nascevano da scambi di opinioni. Erano come un progetto architettonico, le fondamenta, i muri, la tinteggiatura eccetera. Trovo obbrobriosa l'idea che un film nasce se lo si ha chiaro prima in testa. È un abominio della creatività. Per quanto mi riguarda penso ci debba essere un'idea originaria e passo passo si vede dove porta senza averlo prefigurato prima. Altrimenti il film arriva stremato alla meta, è privo di energia, è il frutto di un lavoro che l'ha dissanguato invece di irrorarlo.
- Il piacere non nasce più dall'appagamento totale della persona ma può soddisfare gli occhi e l'udito in modo scisso. Un esempio? In molti hanno visto due volte La grande bellezza e credo di sapere perché: una volta l'hanno visto e una seconda l'hanno sentito.
- Quando qualcuno dice che un film non è credibile sta dicendo un'altra cosa. Sta dicendo: è brutto.
Intervista di Cristiano Carriero, rivistaundici.com, 18 dicembre 2017.
- Cerco di non utilizzare la parola calcio ma di utilizzare la parola pallone perché questa parola contiene, per me, l'origine primordiale dell'amore per questo sport. Perché io, da bambino non giocavo a calcio, come fanno i bambini di otto anni oggi, ma a pallone. La fonte del divertimento, nel senso profondo, è nella relazione fra un essere umano e un pallone. Il calcio è un'altra cosa, meno affascinante.
- Io per natura cerco di combattere strenuamente ogni forma di nostalgia. Penso fermamente sia un sentimento molto sopravvalutato, soprattutto quando viene condiviso e formalizzato, si trasforma in un racconto o in un film e diventa un sentimento deteriore. Quindi ci rimane il presente e il presente non è di per sé giudicabile. È solamente, direi, impressionabile.
- Il calcio visto dagli spalti non è uno spettacolo drammatico. L'aspetto drammatico è televisivo, uno spettacolo di primi piani sui volti dei protagonisti. È la differenza tra teatro e cinema. A teatro si è più vicini al corpo dell'attore, come allo stadio. Al cinema al volto, come in televisione.
- L'Inter è la squadra più retorica d'Italia. Non è necessariamente un aspetto negativo, parliamo anche degli aspetti più sublimi della retorica. Prima di essere una squadra, è un racconto. Una forma di onestà, di dignità senza tempo, di muscolarità senza violenza [...]. L'Inter è intrisa di una malinconia snob, così come lo siamo noi tifosi.
Intervista a cura di Andrea Valmori, longtake.it, 20 luglio 2020.
- Una parola si definisce sempre attraverso il suo nemico, il suo oppositore. La sensibilità ha a che fare con una parola simile e limitrofa che è intuizione: entrambe sono parole nemiche di conoscenza e di progettazione. [...] La sensibilità ha a che fare con uno stato di cose, c'è un attimo, come nell'intuizione, in cui le capacità combinatorie del cervello entrano in azione e combinano elementi diversi tra loro, teoricamente non combinabili, e il risultato di questo precipitato chimico non è uno più uno due, ma è uno più uno fa cento. E questo si raggiunge solo con l'intuizione, non con il ragionamento.
- Quando ho cominciato a fare questo lavoro il destino ha dato alla mia generazione un paradosso: normalmente i giovani sono destinati ad avere dei nemici, sono destinati a destrutturare, a non-costruire, a rompere, e tutte le avanguardie [...] sono nate così [...], ma purtroppo noi ci siamo trovati [...] di fronte ad un destino [...] cattivo, perché avevamo di fianco a noi un cinema dove non avevamo padri potenti da combattere perché i nostri padri non erano completamente padri, erano cugini maggiori: Amelio, Bellocchio... Era un cinema d'autore, era la fase del loro cinema d'autore meno felice nel senso che [...] la loro idea di cinema si era aggrovigliata psicoanaliticamente in modo eccessivo. [...] era un cinema che non era fatto di storie, non era fatto di presa diretta. Era un cinema retroflesso. [...] A noi è toccato fare i grandi, cioè ricostruire [...] un alfabeto della narrazione, [...] ricostruire una classicità. Quindi, in quella stagione, sono nati film [...] che avevano al centro l'idea di poter riraccontare storie scritte in modo composto, coerente, plausibile, storie dove il paesaggio italiano ritornasse al centro della visione, riprendendo anche come si utilizzava il paesaggio italiano prima di noi, dai veri nostri nonni che erano Antonioni e Fellini [...]. E così abbiamo trascorso molti anni, poi la storia si è trasferita piano piano in televisione, nelle serie, e ha liberato il cinema dal destino di raccontare storie. I film oggi non si sostengono più sulla storia, sono molti altri gli aspetti che motivano la riuscita, l'efficacia o la qualità.
- Non esiste una definizione di sceneggiatore perché non esiste ormai neanche più una definizione di cinema, i segmenti che componevano quello che era un film, come lo intendiamo, sono saltati tutti.
- [...] quando abbiamo scritto This Must Be the Place, abbiamo scritto il copione come piace a noi, cioè molto generoso, potrei dire anche impietosamente, in certe scelte, barocco. Ma a differenza della lingua media dello sceneggiatore medio italiano, che non ha lingua, ha la lingua della sceneggiatura, che non è una lingua personale: noi abbiamo una lingua. E significa poter dir tutto perché hai una lingua. Quindi il copione era un copione gonfio di allusioni, metafore, aggettivi. Ci dissero: «Guardate che questo in America non ve lo leggono neanche, perché sono abituati ad un altro tipo di scrittura», ma quando Sean Penn lo lesse ci chiamò e disse: «Finalmente ho letto una sceneggiatura entro cui, io, posso lavorare».
- Quando uno scrive cerca il piacere, non esiste altro movente.
- È il riso il sentimento più profondo, misterioso e intimo. È il riso che distingue. Perché la morte di un padre emoziona tutti, ma sapere cosa ti fa ridere tra le mille cose, è quello il mistero intimo.
- Molti sceneggiatori sono bravissimi osservatori, ma il problema è che c'è una grande differenza tra il guardare e il vedere. Allora cosa distingue il guardare dal vedere? Il vedere è condotto, è un guardare che è condotto da un obiettivo. Osservare è muovere gli occhi. Se io cerco il bello, vedo il bello. [...] Un osservatore guarda un semaforo e dice: «Ho visto un semaforo». Chi cerca il bello, vede degli occhi in un semaforo.
- Per un lungo periodo le parole sono come dei vagoni agganciati ad un treno. La locomotiva è il tirante della storia e i vagoni servono a trasportare passeggeri, sentimenti, quindi nessuno presta attenzione al vagone. Poi c'è un giorno in cui vedi il vagone separato, vedi la parola separata. La parola separata, quindi scelta tra tante, porta una sequenza di parole scelte, e se ogni parola è scelta non è più un vagone di vagoni uguali, ma è un vagone che è ornato, popolato diversamente, veloce e lento, antico e moderno, perché ogni parola è un colore. Quindi la frase finale, il periodo finale, è un colore, che è quello che serve per fare un film. Non serve tanto dire quello che succede, ma è il colore con il quale succede.
- Ci sono stati solo due sceneggiatori nella storia della cinematografia italiana che hanno inventato una lingua: Age e Scarpelli. Sono i due più grandi sceneggiatori italiani perché nei loro film si parla una lingua che hanno inventato loro. Hanno fatto un'operazione letteraria raffinatissima secondo la quale una lingua inventata sembra ogni volta mimetica a chi la parla, mai totalmente inventata. Sono i due unici sceneggiatori che sono scrittori a tutti gli effetti.
Filmografia
[modifica]- Marrakech Express (1989)
- La lingua del santo (2000)
- This Must Be the Place (2011)
- Io e te (2012)
- La grande bellezza (2013)
- The Young Pope (2016)
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