Sergio Pellissier
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Sergio Pellissier (1979 – vivente), dirigente sportivo ed ex calciatore italiano.
Citazioni di Sergio Pellissier
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Talent-academy.it, 4 febbraio 2019.
- Per diventare un calciatore professionista servono tante componenti. Prima di tutto, la qualità, perché se non ne hai difficilmente puoi fare il calciatore. Arrivano in alto anche giocatori con meno qualità, però hanno testa e fisico fuori dal comune, in serie A ce ne sono tanti esempi. Uno su tutti è Chiellini, che magari non è eccelso con i piedi, ma oltre il fisico ha una testa straordinaria, intelligenza e attenzione oltre la media, e così è diventato uno dei difensori più forti d'Italia. La testa, infatti, è il secondo elemento fondamentale, soprattutto se non sei un fenomeno con i piedi. La testa e il carattere, perché non è semplice arrivare, ma ancora più difficile è rimanere a certi livelli. Non ultima, serve la fortuna, ovvero trovare un allenatore che crede in te, avere le occasioni di mettersi in mostra al momento giusto e sfruttarle appieno. Se non riesci tu, dietro ce ne sono molti altri...
- Dopo aver fatto tutta la trafila del Toro, mi è dispiaciuto non esordire in serie A con la maglia granata: prima sono stato dato in prestito al Varese, poi mi hanno scaricato. Ci sono rimasto molto male, ma io sono molto orgoglioso, penso di aver costruito una carriera di alto profilo perché sono così a livello caratteriale: se uno mi attacca, reagisco. Non essere considerato dal Torino, che alle buste mi ha lasciato al Chievo senza mettere un soldo, dopo anni di sacrifici e sudore, mi ha dato molto fastidio ma è stato anche uno stimolo a dimostrare che io me la meritavo, la serie A. Con il senno di poi, magari è stata la mia fortuna, perché se non fossi andato via non avrei fatto la carriera che ho fatto.
- [Sul Chievo] È una società che, nel suo piccolo, ha sempre fatto cose straordinarie [...]. Altre società hanno soldi, pubblicità, pubblico, televisioni, noi otteniamo risultati grandiosi senza avere niente di tutto questo: qui se vinci è perché te lo sei meritato pienamente, e la nostra vittoria è la salvezza, quando la ottieni ti togli un peso immenso, perché se retrocedi cambia tutto e in una realtà come la nostra rischi di non avere più la forza di tornare su.
Intervista di Fabrizio Gabrielli, Ultimouomo.com, 10 settembre 2021.
- Io li sapevo, i miei limiti: sapevo dove potevo arrivare, ma sapevo anche i miei difetti, oltre che i miei pregi. Ho sempre guardato tutto quello che facevano gli altri giocatori più vecchi di me, e cercavo di carpire le qualità che avessero per potermi migliorare. La mia forza è sempre stata quella di correggere gli errori che facevo, cercare di non ripeterli. Guardavo gli altri e cercavo di capire: perché io sbaglio e gli altri no? Ero abbastanza intelligente, da questo punto di vista. Ho avuto la fortuna di trovarmi in una società in cui c'erano tanti uomini, prima che calciatori, giocatori che non scendevano in campo per uno stipendio e basta. Era una famiglia, quindi ci si aiutava tutti, per crescere.
- Non avevo le qualità di Ronaldo, di Del Piero, non inventavo i gol: io ero più esplosivo, cercavo l'errore, pensavo a come fregare l'avversario. Non avendo talento, qualità speciali, dovevo pensare ad altre cose per poter fare gol.
- Io sono vecchio stampo, non credo che meritassi la Nazionale: credo che in Azzurro debbano andare i più forti che ci sono, non chi ha fatto meglio in un anno. Adesso un giovane fa bene per due mesi e lo porti in Nazionale: lo rovini perché non avrà più un sogno, perché ci è già arrivato. Io me la sono coltivata: ho lavorato, faticato, e alla fine trovato un allenatore che mi ha voluto dare questa soddisfazione a trent'anni. [...] La Nazionale deve essere simbolo e obiettivo massimo di un calciatore: se sei un fenomeno è giusto che ci vai anche a sedici anni, ma per gli altri, quelli che non hanno ancora dimostrato niente, c'è da fare molta gavetta.
- Mai stato un giocatore che fa la differenza da solo. Io avevo bisogno di una squadra, di un aiuto.
- Ogni calciatore ha bisogno di un allenatore che sappia insegnargli qualcosa, ma soprattutto che abbia fiducia in lui. Tutti i giocatori che hanno avuto allenatori che hanno creduto in loro, alla fine, hanno fatto bene. La fiducia ti fa sempre fare qualcosa di più.
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