Matteo Marani
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Matteo Marani (1970 − vivente), giornalista e dirigente sportivo italiano.
Citazioni di Matteo Marani
[modifica]- [Sulla Fortitudo Bologna] Una passione, quella per i colori bianco-blu, che travalica tutto, è totalizzante. In altri posti la tifoseria è più salottiera, invece per la Effe si tratta di un tifo di pancia.[1]
Guerin Sportivo
[modifica]Citazioni in ordine temporale.
- Ha il viso del ragazzo perbene. Del «brav burdel», come si usa dire dalle sue parti. Le consonanti calcate e le vocali che si aprono dolcemente tradiscono subito i sapori di una Romagna felliniana, lavoratrice, instancabile e ottimista perenne. Lorenzo Minotti se le porta nel cuore queste origini e con esse la semplicità, il buonumore e la schiettezza della gente romagnola.[2]
- Non la penso come [...] altri [...] che vorrebbero i club ricchi di Serie A sempre più ricchi e le società povere sempre più povere. Il più grande calcio italiano ha coinciso con la fioritura rigogliosa della media nobiltà. Gli anni della Fiorentina, del Verona, del Torino, dello stesso Napoli, della Roma, della Lazio da scudetto, ma persino del Perugia o del Vicenza di Rossi, piazze ormai ignorate dai giornali. Avevamo un campionato forte, combattuto, unico. Poi sono arrivati i soldi della tv, il dominio dei top club, le cene lussuose. E ora, ricoperti da una quantità di soldi mai vista, siamo retrocessi [...] per bellezza e importanza.[3]
- [...] la Juventus non era l'unica squadra compromessa con Calciopoli, un sistema complesso e articolato. Resta invece l'unica che ha azzerato il vertice societario in seguito allo scandalo e che è finita in Serie B. Se si voleva fare giustizia, facendo pagare un prezzo più salato ai bianconeri, bisognava farlo in misura proporzionale con tutti i club. Cosa che non è successa: i concorrenti hanno vinto scudetti e Champions. [...] non basta essere migliori di altri per essere puliti.[4]
- [Sul campionato di Serie A 2011-2012] Fra le meraviglie del calcio, c'è la forza del risultato. C'è chi vince e c'è chi perde. Ha vinto la Juve. E nel mio piccolo, piccolissimo, ho perso anch'io, dubbioso sul possibile successo finale dei bianconeri. Intuivo che il Milan – poi appesantito in modo decisivo dagli infortuni – avrebbe faticato a bissare il successo dell'anno precedente. E che l'Inter, con giocatori sempre più vecchi e giovani non all'altezza, avrebbe incontrato parecchi problemi, puntualmente sopraggiunti. Per questo, come auspicio di novità, a settembre dissi Napoli, senza immaginare che la squadra di Mazzarri avrebbe conquistato gli ottavi di Champions e la finale di Coppa Italia. Invece ha vinto la Juve. Hanno vinto i suoi milioni di tifosi. Da sei anni aspettavano questo benedetto giorno. Non semplicemente per gioire, come era successo tante altre volte, ma per liberarsi dal dolore di una ferita subita. Un senso di sopruso che la Juve non aveva mai provato nella sua secolare storia, nato all'indomani della cacciata in Serie B. Con questo trionfo si chiude la stagione di Calciopoli, in modo più netto di quanto sia riuscito ad alcune, ambigue sentenze sportive.[5]
- Il Napoli di Sarri è una grande realtà, con un'eccellente organizzazione di gioco. Il tecnico ha costruito una difesa solida, a partire dal carismatico Reina e con un movimento della linea che è un piccolo gioiello di automatismo. [...] Il centrocampo gira a meraviglia, con la forza di Allan (applausi), le geometrie di Jorginho e le galoppate di Hamsik. Ma è Higuain a decretare la differenza [...]. Anche i meritevoli Insigne, Callejon e le buone alternative in panchina (Mertens, Gabbiadini, Maggio, Valdifiori, David Lopez, Chiriches) non cambiano la sostanza del giudizio. La capacità realizzativa dell'argentino, la sua completezza e universalità, segnano il "più" del Napoli.[6]
- Higuain ha dimostrato [...] di sapere segnare i gol da centravanti classico, da Center Forward per dirla con una definizione anglosassone. Ma è anche capace di una progressione che lo rende unico nel genere, da Striker, da attaccante di movimento. Può segnare andandosi a prendere il pallone, può decidere in proprio e in qualsiasi momento, anche quando il risultato sembra bloccato. [...] può segnare di testa dentro l'area piccola e può trafiggere un minuto dopo da fuori area con il destro micidiale. Può offrire il gol di rapina se la squadra cerca il vantaggio e quello di potenza quando [...] agisce in contropiede, correndo per venti o trenta metri [...]. In questa versatilità [...] sta la sua reale superiorità sul resto dei colleghi di Serie A. Higuain è un esemplare unico nel nostro campionato e gli unici paralleli li riscontro – tra le prime punte – con Suarez e Lewandowski.[6]
- Il Guerino profuma di buono, di pulito, di intelligenza. [...] Questo giornale è sopravvissuto a due guerre mondiali, a una dittatura, alla monarchia sabauda, a una settantina di governi ed è sopravvissuto prima di tutto all'imbarbarimento della critica sportiva, sempre più faziosa e partigiana. Sono gli stessi anticorpi che hanno consentito al giornale di esistere dopo i suoi fondatori e l'addio di Carlin, dopo l'epopea letteraria di Brera e del conte Rognoni. Il Guerino [...] è più forte di tutto, di tutti.[7]
Pensieri Real
Guerin Sportivo nº 10 (1086), 6-11 marzo 1996, pp. 10-13.
[Su Fabrizio Ravanelli]
- Campetti di provincia, erba alta e scarpe fatte da sconosciuti artigiani. Un self-made-man del pallone, un divo arrivato dal basso e per questo mai troppo rispettato. Tutta la carriera di Fabizio è stata in salita, dal sud al nord, dalla provincia alla città.
- Quanta strada ha fatto, Rava. Quanti pregiudizi ha dovuto cancellare. Troppo alto per essere bravo con i piedi, troppo genuino per essere una star. Un parvenù del calcio, insopportabile per la nobiltà pedatoria.
- È contento Fabrizio, felice di essere arrivato in alto. Si guarda attorno: tutto quello che c'è l'ha conquistato con le sue mani. Meglio, con i suoi piedi.
Sky
[modifica]Citazioni in ordine temporale.
- Il Filadelfia è stato il primo vero luogo dell'identità di una squadra di calcio italiana. Talmente forte come messaggio che è continuato dopo la fine fisica dell'impianto [...]. Ricordo i tifosi anziani che negli anni '90 andavano ogni mattina a vedere il Torino allenarsi: è stata l'identità.[8]
- Ciò che resta unico in Totti è stata la sua capacità di essere centravanti nascendo trequartista. Non si era mai visto prima di lui un "10" fisicamente così forte, un fantasista con stazza da bomber. Come del resto non si era mai visto un centravanti con quei piedi, un attaccante dal tocco fatato per confezionare pallonetti, cucchiai, colpi perfetti. In questo Totti è stato irripetibile.[9]
- [Sulla violenza – verbale e non – nel calcio italiano] Uno squallore assoluto che purtroppo, chi frequenta i campi del calcio giovanile lo sa, è quasi diventata un'abitudine, tra risse sugli spalti tra genitori, insulti. È un problema profondo e serio, di educazione. Penso che l'Italia sia precipitata: nel modo di vivere e di relazionarsi con gli altri. Diciamo sempre che in rete ci sono gli haters, ma questi ci sono anche nei campi, sono quelli che urlano, sono dei trogloditi. Chi ancora pensa di offendere e colpire sull'aspetto fisico appartiene ad un'altra era, ma purtroppo è una cosa ancora diffusa.[10]
- Lo stadio non può essere uno spazio di anarchia in cui lo Stato non c'è. Lo Stato deve essere allo stadio come in ogni angolo del paese. Non ci può essere una zona franca priva di legge. Purtroppo oggi, nei nostri stadi, questo succede. Non solo con episodi di razzismo, ma anche striscioni, coreografie: in questo periodo stiamo assistendo ad un repertorio molto triste. Poi c'è un aspetto molto più profondo: spesso quando si usa la parola "culturale" sembra una parola vuota, invece è fondamentale. Queste persone che fanno gli ululati sono veramente fuori dal tempo, anacronistici. È gente che è spaventata da quello che è il mondo attuale. Chi ha la possibilità di viaggiare e visitare le grandi città sa cosa siano integrazione, multietnicità, multiculturalismo. Ormai sono cose del quotidiano. Oggi chi risponde "ululando" in uno stadio vuol dire che è una persona ignorante, che non ha studiato, ferma a categorie vecchie e datate. Quando vedo atti di razzismo mi vengono in mente il colonialismo, il nazionalismo: categorie dell'Ottocento. Mi spiace dirlo, ma vedo gradi sociali e culturali bassi che rispondono con un'arma che loro ritengono molto oltraggiosa, non capendo che si tratta di un autogol [...][11]
- [Sulla Juventus Football Club 2019-2020] L'impressione è [...] che il matrimonio tra Sarri e la Juve stenti a suscitare passioni e trasporti. È una questione antropologica, non tanto tecnica. L'allenatore è uomo contro, cresciuto nel mito operaio del padre e nelle letture di Bukowski, membro dell'ala più popolana della vita. La Juve è l'esatto opposto: tradizione, conservazione, borghesia, difesa del primato societario e del potere acquisito. Come se Che Guevara sedesse alla Casa Bianca. Eppure così diversi, ma uniti, la Juve e Sarri hanno vinto l'ennesimo scudetto.[12]
- La Superlega non è il primo atto, ma è l'atto finale di una situazione che ha perso il controllo negli ultimi anni, nel silenzio generale. Si è comprato, speso. Tanto. Troppo. E questo è il conto. Parliamo delle società più indebitate del mondo del calcio. Si è fatta finanza creativa, con plusvalenze che sono triplicate. Finzioni di bilancio, spesso passate sotto silenzio, che hanno prodotto questo. Di fronte alla Champions riformata, hanno capito che non ce l'avrebbero fatta. La Superlega non è un atto di forza, è un atto di debolezza. Di disperazione. Non è la rivoluzione dei ricchi, ma quella dei poveri. Perché chi ha debiti è povero.[13]
- È un giocatore fantastico e non so se nella sua vita e nella sua carriera ha pagato il fatto di essere rimasto figlio della sua città. [...] A volte diamo Insigne un po' e per scontato e probabilmente, a volte, anche Napoli fa lo stesso. [...] lui è nato ed è maturato lì, quindi quasi non ci si accorge del suo valore complessivo reale.[14]
- Il nostro è un mondo di analisi arbitrale che non ha pari in Europa. Non esiste che un giornale inglese o spagnola abbia la rubrica sulla moviola, o che se ne parli in radio o in tv. Siamo, in sintesi estrema, tutti figli del Processo di Biscardi [...]. Non c'è la voglia di capire come andare oltre.[15]
- L'arbitraggio non può diventare centrale in una partita, perché l'arbitro è lì per garantire la partita, non per diventare lui la partita.[15]
sport.sky.it, 8 maggio 2020.
- Nel 1999, allo scoccare del secolo rossonero, un sondaggio [...] scelse Baresi come calciatore del 900. Una decisione contestata da alcuni. In realtà Rivera è stato superiore per qualità, un campione di livello mondiale e Pallone d'oro [...]. E ancora più completo – per chi scrive – è stato Paolo Maldini, lui sì davvero il più grande milanista di ogni tempo. Ma Baresi è stato il più amato e su questo non esistono discussioni. Nessuno come e quanto lui. A Rivera non è mai stato perdonato il pessimo risultato da dirigente [...], a Maldini una certa indipendenza di giudizio [...]. Baresi ha messo invece d'accordo tutti: sostenitori della tribuna e ultras, compagni di squadra e avversari, giornalisti e il presidente Berlusconi, che lo considera ancora oggi un sesto figlio, qualcosa di speciale e pure di diverso dagli altri giocatori. Un amore che Kaiser Franz si è certamente meritato per fedeltà e per l'alto rendimento assicurato nel tempo. Dopo quella stagione del debutto, condita con la stella rossonera, è rimasto per lottare e combattere nel purgatorio della B, senza mai arretrare di un passo. Lo ha fatto per due volte: dopo lo scandalo del Totoscommesse e dopo un'ultima e drammatica giornata di campionato a Cesena, anno 1982. Il Milan sprofondò nel periodo più nero della sua storia, il futuro sembrava non esistere più e nessuno poteva immaginare i trionfi che sarebbero giunti nel giro di pochi anni. Ma Baresi non scappò e questo gli è valso un posto inalienabile nel cuore del pubblico casciavit.
- Baresi è stato il migliore interprete del nuovo corso [...] concretizzatosi [...] con lo sbarco di Arrigo Sacchi a Milanello. I maligni raccontano di quando il profeta della zona consigliò al sempre più apprezzato libero del Milan e della Nazionale di guardare le videocassette del Parma per capire i movimenti di Signorini. Verità o leggenda, Baresi è diventato il punto fermo, l'ultimo baluardo, la prima garanzia del Milan più bello di ogni tempo.
- Gli rimproveravano la mano alzata sul fuorigioco, in realtà ha sollevato più spesso le coppe.
sport.sky.it, 20 giugno 2020.
[Su Mario Corso]
- Un pezzo fondamentale della Grande Inter, se vogliamo l'irregolare di quella squadra. Era diverso da tutti gli altri. Aveva un suo pubblico di devoti e fedelissimi, c'era una sorta di grande chiesa che lo seguiva. È stato un giocatore divisivo: c'era chi lo amava tantissimo, pendeva dalle giocate di sinistro e dalle punizioni a 'foglia morta' ovvero una sorta di copyright. Altri come il "Mago" Herrera oppure Mazzola, dal rapporto abbastanza dinamico, [...] non lo accolsero sempre così.
- Un calciatore straordinario [...]. Estroso, creativo, istintivo. Un rapporto unico con l'Inter [...]. Per i più giovani, con le proporzioni dovute, fu un po' Recoba per Massimo Moratti. Per papà Angelo era così: genio, passione e protezione. Ogni estate Herrera lo metteva tra i partenti ma Angelo Moratti lo toglieva, non si poteva toccare.
- È stato uno dei più grandi calciatori italiani degli anni '60 e in parte dei '70. [...] Aveva caratteristiche di fantasista puro: giocava con maglia numero 11, trequartista, partiva da destra per colpire col sinistro. Il suo idolo era Sivori: portava i calzettoni abbassati come omaggio, diventò una rappresentazione di sé. Quel sinistro era figlio della sensibilità nel piede. Corso era inoltre cosciente che dal punto di vista fisico era inferiore [...]. Suppliva a questa carenza con colpi e invenzioni uniche. Nell'immaginario è diventato il più fantasioso di quell'Inter nonostante la presenza di Mazzola e Suarez [...]. Era la fantasia allo stato puro, ecco perché i Moratti da intenditori lo hanno sempre amato. Un grandissimo protagonista, di grande rilievo. Nella storia del calcio uno spazio importante è suo.
sport.sky.it, 10 dicembre 2020.
- La festa della Repubblica, per quelli del calcio, non è mai stata il 2 giugno, bensì l'11 luglio. Anno 1982, Santiago Bernabeu. Italia campione del mondo per la terza volta nella storia, la prima nel Dopoguerra. Paolo Rossi, per tutti semplicemente Pablito, divenne il simbolo di quella leggendaria impresa. Tra lui e Sandro Pertini, in piedi a esultare sulle tribune prima di portarsi tutti a pranzo al Quirinale, non c'erano più differenze quella notte. Entrambi padri della patria.
- Ci sono associazioni di idee quasi automatiche: architettura e Renzo Piano, moda e Giorgio Armani, calcio e Paolo Rossi. Nel luglio '82 nessuno lo chiamava così, piuttosto paolorossi, tutto attaccato. [...] Paolorossi lo cantarono al cinema e in musica, al teatro, ovunque, sui libri, nei giornali, alla radio. Fu l'eroe di Spagna, seppure diverso dalla persona gentile, discreta e umile della vita reale. Paolo Rossi divenne il più celebre degli italiani nel mondo, un piccolo Garibaldi con la maglia azzurra. Ovunque si andasse in vacanza nelle estati successive, dalla Costa Brava al Peloponneso, quelle dieci lettere erano divenute il Bel Paese. «Tu italiano? Ah, Paolo Rossi». Ci rappresentava nel modo migliore, solare e composto, era noi, con quel nome comune, comunissimo, che ce lo faceva sentire compagno di banco. Orgogliosi di essere suoi connazionali, fratelli dell'uomo che aveva sconfitto il grande Brasile con una tripletta magica e magnifica. I maestri del calcio battuti dal ragazzino di Prato. Spalle gracili, ricurve, il viso esangue, il corpo minuto che sembrava chiedere permesso prima di segnare il gol.
- Ci sono attaccanti che hanno segnato più di Pablito, ci sono altri che sono stati più forti di lui, ma solo a pochissimi è toccato in sorte di fare i gol che valgono la storia e un pezzo di eternità.
- [Sulla finale del campionato mondiale di calcio 1982] Quella notte gli italiani ebbero una ragione per essere fieri e per lasciarsi alle spalle il sangue e la violenza degli Anni 70. Si chiudevano a Madrid gli anni di piombo, si apriva la leggerezza del nuovo decennio. [...]
- [Su Paolo Rossi] Dietro al personaggio pubblico si è sempre celato la persona cordiale, disponibile, sorridente, cresciuta in una Italia molto diversa da oggi, tra i tinelli dei nonni e una sana educazione familiare.
Interviste
[modifica]- [Nel 2010] In occasione di Italia 1990, si sprecò una buona occasione per ristrutturare al meglio gli stadi. Lì purtroppo è stato fatto un lavoro all'italiana, in un periodo storica sfavorevole. Fino ai primissimi anni 90 si pensava al grande catino, che il calcio fosse il fenomeno di decine e decine di migliaia di persone: c'è stato l'ingrandirsi dell'Olimpico, del San Paolo, e la costruzione del terzo anello di San Siro su modello del Maracanã. In realtà stava arrivando la televisione, che avrebbe cambiato il modo di fare spettacolo, e allora gli inglesi hanno colto questo aspetto e hanno fatto impianti molto modellati, che partivano più avanti rispetto ai nostri perché non hanno piste di atletica, e li hanno fatti più adeguati rispetto alle esigenze televisive, mentre noi abbiamo ancora l'idea di stadio pre-diretta televisiva.[16]
Intervista di Giacomo Pratelli, contropiede.ilgiornale.it, 18 aprile 2013.
- Io sono molto pessimista sul giornalismo sportivo di oggi, sul giornalismo in generale. [...] Sono pessimista innanzitutto perché c'è poca, pochissima preparazione. C'è gente che si occupa o che comincia ad occuparsi di calcio, ma che non conosce la storia del calcio. [...]. Molti si buttano, molti si inventano, con i social network si cerca di fare qualcosa che però è comunicazione, non giornalismo. [...] Fare il giornalista, oltre il dover dare la notizia e le informazioni, è la capacità, attraverso gli strumenti con cui ti formi, di interpretare e analizzare ciò che succede. Io quello che chiedo a un giornalista oggi non è avere la notizia esclusiva, ma, in un mondo di notizie rutilanti e continue, che sia in grado di spiegarmi veramente che cosa stia succedendo. Non deve vivere in un unico presente, senza avere la capacità analitica di giudicare ciò che accade. Il giornalista deve garantire una buona informazione, che significa separare le cazzate dalle cose che hanno un senso, essere capace di trattare le fonti, capire perché avvengono certi fenomeni e spiegarli a chi li sta seguendo.
- La cultura [italiana] con la C maiuscola, l'Accademia, non si è mai occupata di calcio, guardandolo anzi con un po' di pregiudizio. Secondo la mia opinione perché nel post guerra il calcio era stato interpretato da questi storici come compromesso col fascismo, visto che era stato forse il più grande strumento di propaganda fascista, quindi la cultura e gli storici, soprattutto di sinistra, lo vedevano con grande pregiudizio. All'estero la storia sociale sul calcio ha fatto e sta facendo molto, in Italia poco o nulla.
- È ridicolo che ci siano dei giornalisti di sessant'anni che guardano a internet come al "mostro" perché non sanno accendere un computer, ma verranno spazzati via loro dalla rivoluzione (tecnologica, ndr) che sta arrivando, perché non la si può fermare. Nel '700 i luddisti in Inghilterra spaccavano le macchine, ma la rivoluzione industriale non si è fermata, così non si fermerà la tecnologia e chi non sarà in grado di usarla o miscelarla con la carta, chi non saprà adeguarsi ai nuovi linguaggi, verrà fatto fuori, come già sta accadendo. Il web sta portando alla ribalta figure di riferimento dal punto di vista giornalistico che sulla carta stampata non erano così brave, così come esistono giornalisti di "carta" fortissimi e autorevolissimi che oggi non lo sono, o lo sono meno, perché non hanno saputo unire anche l'aspetto tecnologico. Oggi un giornalista non può più essere solo uno scrittore, ma dev'essere capace di stare sul web, stare in televisione, parlare in radio, capire le diversità del linguaggio tra blog e articolo stampato. Insomma, o si ha la capacità di rimettersi in discussione o si è spazzati via.
Note
[modifica]- ↑ Citato in Giampaolo Cattaneo Sala, Matteo Marani: «Finalmente un buon momento per il basket bolognese», incronaca.unibo.it, 7 marzo 2018. [collegamento interrotto]
- ↑ Da Lorenzo il magnifico, Guerin Sportivo nº 6 (932), 10-16 febbraio 1993, pp. 24-27.
- ↑ Forza Napoli, dall'editoriale Il corsivo; Guerin Sportivo nº 9, settembre 2011, p. 3.
- ↑ La Juve doveva finire tra i Dilettanti, dalla rubrica La Posta; Guerin Sportivo nº 9, settembre 2011, p. 8.
- ↑ Da Scudetto Juve, Conte ha zittito tutti, blog.guerinsportivo.it, 7 maggio 2012.
- ↑ a b Dal Napoli di Maradona al Napoli di Higuain, dall'editoriale Il corsivo; Guerin Sportivo nº 1, gennaio 2016, p. 3.
- ↑ Penso che un sogno così non ritorni mai più, dall'editoriale Il corsivo; Guerin Sportivo nº 2, febbraio 2016, p. 3.
- ↑ Da Marani: "Roma il laboratorio del calcio italiano", sport.sky.it, 24 maggio 2017.
- ↑ Da Marani: Totti il migliore calciatore italiano degli ultimi 20 anni, sport.sky.it, 26 maggio 2017.
- ↑ Da Marani: "Fermiamo gli haters del calcio. Insulti alla Girelli uno squallore. Violenza verbale in crescita", sport.sky.it, 26 novembre 2018.
- ↑ Da un intervento a a Sky Sport 24; citato in Lukaku contro il razzismo: il post su Instagram dopo Cagliari-Inter, sport.sky.it, 2 settembre 2019.
- ↑ Da Juventus, la stagione di Maurizio Sarri, sport.sky.it, 26 luglio 2020.
- ↑ Da Superlega? Vendicarsi sarebbe da stupidi, sport.sky.it, 22 aprile 2021.
- ↑ Da Italia, Mancini sta lanciando un messaggio al Paese, sport.sky.it, 3 luglio 2021.
- ↑ a b Da Marani: "In Italia l'arbitraggio pesa troppo. Non devono diventare i protagonisti", sport.sky.it, 21 ottobtre 2021.
- ↑ Da Intervista a Matteo Marani, inchiostro.unipv.it, 10 giugno 2010. [collegamento interrotto]
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