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Equipaggiamento calcistico

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Pavel Nedvěd con una divisa da calcio degli anni 2000

Citazioni sull'equipaggiamento calcistico.

  • [«Lei non ha mai amato le magliette sgargianti»] A me non importava della foto o dell'immagine TV. Io mi occupavo solo del campo. Diversamente dagli inglesi che pensavano che la maglia gialla attirasse l'attaccante, [...] io mi ero convinto che non dovessi dare punti di riferimento ai tiri avversari e che perciò nero, grigio o beige, in Nazionale, fossero l'ideale. (Dino Zoff)
  • Effettivamente certe "arlecchinate" che appaiono oggi sui campi di gioco offendono il buon gusto prima ancora della tradizione. Ma una corretta evoluzione cromatica (oltreché, naturalmente, di materiali) è assolutamente imprescindibile sia nel rispetto dei nuovi mezzi di "osservazione" (tv, ecc), che di una ricerca applicata a tutti i settori, alla quale non possiamo ragionevolmente sottrarci. E poi [...] questa mutazione ci fa affezionare ancora di più alle immagini e ai piccoli feticci del nostro passato. Quelle sono e quelle rimarranno per sempre: nella storia e nella nostra memoria. Ce lo vedresti, con tutto il rispetto, Paramatti con la stessa maglia bianconera n. 3 un po' stretta di Cabrini? O Serena con la divisa di Picchi? Cristallizziamo quelle sagome e quei ricordi e teniamoli cari nel nostro cuore. Credimi: stanno meglio lì. (Marino Bartoletti)
  • Io volevo solo il nero o il grigio. La nuova tendenza non mi piace affatto, e credo che almeno la prima maglia andrebbe rispettata al cento per cento. Poi, mi rendo conto che esistono pure gli sponsor. Il mondo cambia, però a me sembravano poco serie persino le maniche corte: ero un portiere, mica andavo al mare. (Dino Zoff)
  • La maglia è una bandiera, e l'hanno sporcata. La divisa della nostra squadra di calcio è una casa dove tornare, uno specchio dove vedere riflessa la passione di tanti anni, un ricordo d'infanzia, un segno di appartenenza tribale, è un colore dell'anima che non può sbiadire. Ma se arriva lo stilista e la pennella di fucsia o verde pisello, se insieme allo stilista c'è l'esperto di marketing che cancella simboli, tinte, riferimenti [...]. Li chiamavano "colori sociali": sono diventati una tavolozza confusa e griffata, un carnevale, un delirio creativo che spesso crea solo imbarazzo. (Maurizio Crosetti)
  • Quando il mondo, del calcio e non, era più semplice [...] vigeva una regoletta elementare: la squadra di casa mantiene la prima divisa, e quella che gioca in trasferta la cambia se la prima ha tinte più o meno simili a quelle dell'avversario [...]. Ancora non esisteva la tirannia del marketing, né lo strapotere della grafica che tanti danni ha provocato non solo nello sport: trattasi di forma che si sovrappone al contenuto e lo confonde, lo indebolisce anziché potenziarlo. E quando non si ha nulla da dire, lo si disegna. Poi è arrivata la stagione dello sponsor tecnico che impone prima, seconda e terza casacca, e bisogna – per contratto – indossarle a rotazione, altrimenti non si vendono. E il tifoso, poveretto, è stato preso nella trappola delle nuove collezioni neanche fosse un cliente di Prada, ogni campionato nuovi campionari, disegni, sfumature, colorazioni, e chi non sta al passo è un poveraccio. Mica come quando si comprava una maglia della propria squadra, la si indossava per anni, e più era stinta e infeltrita più testimoniava fedeltà alla causa. Ora, invece, è tutto sintetico come i tessuti di queste casacche da carnevale [...]. Poi, forse, c'è anche un senso nascosto in tutto questo sport di terital: e cioè il calcio si è talmente impoverito di identità, che ripudiare i colori della propria storia è quasi un atto di involontaria coerenza. Insomma, bisognerebbe essere degni di certe tinte, bisognerebbe meritarle. (Maurizio Crosetti)
  • Quando l'Inter vinceva gli scudetti sul campo, ancora il calcio non si era venduto e svenduto alle logiche del marketing. Era dunque perfettamente normale, in quei tempi non dominati dalle esigenze del business, che i giocatori scendessero in campo indossando maglie numerate dall'1 all'11. Per i tifosi, era molto semplice memorizzare la squadra ideale: snocciolare la formazione-tipo [...] a mo' di mantra era un esercizio rassicurante, era un aggrapparsi alla coperta di Linus [...]. Poi, appunto, è arrivato il business, si sono moltiplicati i soldi, ci si è messo di mezzo Arrigo Sacchi, gli allenatori hanno scoperto il turnover e i fabbricanti di quattrini hanno decretato che era meglio assegnare ad ogni atleta un numero «personale» e «permanente», così da accentuare l'identificazione tra l'asso in questione e una specifica casacca. Come se, per chi era bambino negli anni Sessanta, l'11 nerazzurro non appartenesse sempre e comunque a Mariolino Corso o il 3 a Giacinto Facchetti. E d'altronde il 10 rossonero era indiscutibilmente Gianni Rivera: nessuno era sfiorato dal dubbio per il solo fatto che talvolta, in occasione di assenze per infortunio del Golden Boy, [...] Nereo Rocco si era visto costretto a consegnare la stessa maglia a tale Zazzaro o a tale Scarrone. (Leo Turrini)
  • Sinceramente credo che il numero personalizzato (e quindi il nome sulla schiena) appartengano all'ala "utile" del progresso applicato al calcio. E poi, per quanto insaporita di un velo di retorica, la possibilità di ritirare la maglia di un grande campione credo che possa essere uno dei piccoli vantaggi di questa moda: uno di quei vantaggi che quelli "come noi" non possono non apprezzare. (Marino Bartoletti)
  • Una maglia è molto più che una maglia, un colore più che un colore. Si dice, appunto, "attaccamento alla maglia", si parla di "nostri colori". Se cambiano, si aggiunge sconcerto a sconcerto. Le facce, salvo poche eccezioni, non le riconosce più nessuno, resta(va) la maglia, resta(va)no i suoi colori. Segna(va)no un confine, determina(va)no una scelta di campo. [...] Il calcio moderno è imploso, ha subito un big bang che ha cancellato ogni punto di riferimento: la formazione tipo da ricordare a memoria, i capitani bandiera [...]. E non c'è allenatore in Italia che duri quanto un'automobile. Restava la maglia. Poi hanno cominciato a confondere le idee anche con quella. [...] La maglia non è un accessorio della squadra. La maglia è la squadra. L'accessorio è lo sponsor, tecnico o meno. Quello è il portato dei tempi, della fine delle ideologie, delle mezze stagioni e della capacità di distinguere. [...] Ma se i colori diventano intercambiabili quanto le convinzioni, come si sceglie da che parte stare? (Gabriele Romagnoli)

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