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L'amore segna anche gli animi più sensibili, nobili e positivi e seppur ne corrompa il corpo e ne avveleni la mente, cuore e spirito ne escono intatti. Questo è ciò che mi lascia l'ultima splendida e potente pellicola di Darren Aronofsky che senza compromessi ci mostra gli ultimi giorni di vita di Charlie, un uomo sofferente, attanagliato dal dolore e dai rimpianti pronto a sacrificare tutto pur di fare la cosa giusta e lasciare il segno della propria redenzione tramite il linguaggio universale dell'amore trasmesso in ogni sua forma: da quella più sofisticata ed artistica della poesia a quella più semplice ed elementare di una premura, uno sguardo, un sorriso. Ed è proprio sull'espressività che si basa la performance del protagonista, Brendan Fraser, qui al suo career role, che interamente avvolto da un pesante e vistoso make-up prostetico ci rende partecipi di tutti i suoi sforzi, il suo dolore e le sue mancanze. Il rifugio di Charlie diventa un tugurio minato dal circo di comprimari -esimio ma ben strutturato- che a fasi alterne popola le sue giornate mettendo al centro diversi temi quali paternità, omofobia, fanatismo religioso e bodyshaming gettati in un calderone emotivo e non dosati in modo equilibrato, seppur consapevolmente perché fuori focus.
Tecnicamente parlando la regia di Aronosfky è misurata, essenziale, pulita, concreta totalmente asservita allo spettro emotivo di Fraser in quella che è l'unica location del film, l'appartamento di Charlie: disordinato, sporco e cluastrofobico compresso in una gabbia in 4:3 in cui il protagonista decide di rifuggire perché disgustato da se stesso -un odio direttamente proporzionale all'amore che paradossalmente prova per il prossimo-. In questa cornice domestica una fotografia fatta di luci soffuse e mezzitoni si alternano i colori freddi dei temporali all'esterno che anticipano gli scontri ed i conflitti irrisolti tra i co-protagonisti (Sadie Sink su tutti) e Charlie mentre fanno irruzione nella sua quotidianità e i colori caldi di un cielo illuminato dal sole e il ricordo di un oceano azzurro, ultimo baluardo di felicità e sogno di riappacificazione. La musica è presente al bisogno, essenziale e minimalista per esplodere solo nell'atto finale, e per buona parte della pellicola è il sonoro ambientale a scandire momenti e situazioni: TV ed apparecchiature mediche mescolate a colpi di tosse e respiri affannati e sibilanti che ricordano allo spettatore l'inevitabile dovrà succedere.
Un'esperienza rivolta principalmente ad un determinato pubblico di cui vado fiero di far parte, capace di rimetterci in contatto con la parte migliore di noi stessi, perché le persone sono meravigliose e in questo mondo non si può non amare.
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