Giulio Cesare Croce
Giulio Cesare Croce (1550 – 1609), scrittore, cantastorie, commediografo ed enigmista italiano.
Le sottilissime astuzie di Bertoldo
[modifica]Nel tempo che il Re Alboino, Re dei Longobardi si era insignorito quasi di tutta Italia, tenendo il seggio reggale nella bella città di Verona, capitò nella sua corte un villano, chiamato per nome Bertoldo, il qual era uomo difforme e di bruttissimo aspetto; ma dove mancava la formosità della persona, suppliva la vivacità dell'ingegno: onde era molto arguto e pronto nelle risposte, e oltre l'acutezza dell'ingegno, anco era astuto, malizioso e tristo di natura. E la statura sua era tale, come qui si descrive.
Citazioni
[modifica]- A chi la va bene, par savio.
- Andar bestia e tornar bestia è tutt'uno.
- Chi è scottato dalla minestra calda soffia sulla fredda.
- Chi non ha del suo non può darne ad altri.
- Chi numera gli anni fa conto con la morte.
- Colui che più in alto siede, sta più in pericolo di cadere al basso e precipitarsi.
- Le risa abondano sempre nella bocca de' pazzi.
- Non deve cercar di legarsi colui che si trova in libertà.
- Non viene ingannato se non chi si fida.
Detti sentenziosi di Bertoldo innanzi la sua morte
[modifica]- Chi è uso alle rape non vada ai pasticci[1].
- Chi è uso alla zappa non pigli la lancia.
- Chi è uso al campo non vada alla corte.
- Chi vincerà il suo appetito sarà un gran capitano.
- Chi non mangia da tutte due le bande[2], non è buona simia.[3].
- Chi guarda fisso nel sole, e non stranuta, guàrdati da quello.
- Chi ogni dì si veste di nuovo, grida ognor con il sartore.
- Chi lascia stare i fatti suoi per fare quelli d'altri, ha poco senno.
- Chi vuole salutare ognuno frusta[4] presto la berretta.
- Chi batte la moglie dà da mormorare ai vicini.
- Chi misura il suo stato non sarà mai mendico.
- Chi gratta la rogna d'altri, la sua rinfresca.
- Chi promette nel bosco, deve osservare la parola nella città.
- Chi ha paura degli uccelli, non semini il miglio.
- Chi sarà come il riccio, starà sempre sicuro in casa.
- Chi va in viaggio porti il pane in seno e il bastone in mano.
- Chi crede ai sogni fonda i suoi pensieri nella nebbia.
- Chi pone la sua speranza in terra, si discosta dal cielo.
- Chi è pigro delle mani non vada al tinello.
- Chi ti consiglia in cambio d'aiutarti, non è buon amico.
- Chi castiga la cagna, il cane sta[5] discosto.
- Chi invita la formica d'estate, non va per pane in presto il verno.[6]
- Chi tira il sasso in alto, gli torna a dare sul capo.
- Chi va alla festa e ballar non sa, ingombra il loco e altro non fa.
- Chi vuol moglie per roba, la borsa va a marito.
- Chi dà il maneggio di casa alle donne, ha sempre il filiere[7] all'uscio.
- Chi non può portar la sua pelle è una trista pecora.
- Chi usa la roba in mala parte, alla morte vede le sue partite.
- Chi loda uno innanzi che l'abbia praticato, spesso si dà delle mentite a se stesso.
- Chi dà pane ai cani d'altri, spesso vien latrato dai suoi.
- Chi non dà la sua mercede all'operaio non ha dell'uomo giusto.
- Chi mangia a gusto d'altri non mangia mai cosa gli faccia pro.
- Chi si intende di saper nulla, quello è più sapiente degli altri.
- Chi vuol correggere altrui, diasi buon esempio a se medesimo.
- Chi fugge le volontà terrene mangia frutti celesti.
- Chi si trova senza amici è come corpo senza anima.
- Chi manda la sua lingua avanti del pensiero non ha del saggio.
- Chi all'uscir di casa pensa quello che ha da fare, quando torna ha finito l'opera.
- Chi dà presto quello che promette, dà due volte.
- Chi pecca, e fa peccare altrui, ha da far due penitenze in una volta.
- Chi a se stesso non è buono, manco può esser buono per altri.
- Chi vuol seguir la virtù, bisogna scacciare il vizio.
- Chi domanda quello che non spera d'avere, a se stesso nega la grazia.
- Chi ha buon vino in casa, ha sempre i fiaschi alla porta.
- Chi elegge l'armi vuol combattere con vantaggio.
- Chi naviga nel mar delle sensualità si sbarca al porto delle miserie.
- Chi del ben d'altri si attrista, altri ride del suo male.
- Chi ti lecca dinnanzi, ti morde di dietro.
- Chi sta in sospetto, vada a buon'ora a letto.
- Chi ha la virtù per guida va sicuro al suo viaggio.
La Farinella
[modifica]Flavio– Voi mi date una cattivissima nuova, Signor Lelio, a dirmi che vostro padre vuole che voi andiate a Padova allo Studio, perché mi farà aviso di restar senza vita restando senza di voi che sete mio tanto caro amico e compagno; e quando ha egli fatto questa risoluzione?
Lelio– Dui giorni sono; né perché io gl'abbia detto ch'io non sono dedito alli studi, e che ancora per qualche amico suo gli abbia fatto parlare per me e raccordargli che non avendo altri figliuoli che me, doveria tenermi appresso di sé per piú cause, nondimeno nissuno non ha potuto impetrare grazia ch'io non vada, e insomma la sua resoluzione è questa, né vuole udire piú parole da nissuno.
Le piacevoli e ridicolose semplicità di Bertoldino
[modifica]Dopo la morte dell'astutissimo Bertoldo essendo restato il Re Alboino privo di così grand'uomo, dalla cui bocca scaturivano detti tanto sentenziosi e che con la prudenza sua aveva scampato molti strani pericoli nella sua corte, gli parea di non poter vivere senza qualcheduno il quale, oltre che gli desse consiglio e aviso nelle sue differenze, come facea già il detto Bertoldo, gli facesse ancora con qualche piacevolezza passare tal volta l'umore; e pur s'andava imaginando che della razza di esso Bertoldo vi fusse rimasto qualchedun altro, il qual, se bene non fusse stato così astuto e accorto come il detto, avesse almeno avuto alquanto di quel genio e di quella sembianza, per tenerlo appresso di sé, come faceva la buona memoria di esso Bertoldo.
Novella di Cacasenno figlio del semplice Bertoldino
[modifica]Erminio, Gentiluomo favorito Cortigiano del Re Alboino, avendo con un suo Servitore scorso molti giorni la campagna, passò sotto la montagna sopra la quale abitava la Marcolfa con il gustosissimo umore di suo figlio Bertoldino. Ed immaginandosi far cosa grata al Re e la Regina suoi Signori, portandogliene qualche novella, si pose a salire la montagna, e giunto alla casa vidde, stante la qualità del paese, una assai buona fabrica, e quivi picchiando alla porta, si affacciò la Marcolfa alla finestra, la quale scendendo a basso, e riconoscendo Erminio, con molta allegrezza lo condusse in casa, facendogli liete accoglienza; e, discorrendo, gli raccontò di suo figlio Bertoldino, che avea preso moglie, e che con li danari e robe donategli dal Re e dalla Regina, quando già furono in Corte, avevano comperati alcuni poderi e accomodatisi di molti mobili e suppellettili per loro proprio comodo, soggiungendo di più che Bertoldino suo figlio, all'uscire di fanciullezza, era divenuto accorto, onde ne vivevano con molto loro contento e tranquillità d'animo.
Note
[modifica]Bibliografia
[modifica]- Giulio Cesare Croce, Bertoldo e Bertoldino (col Cacasenno di Adriano Banchieri), BUR, 1973.
- Giulio Cesare Croce, La Farinella, Einaudi, 1965.
- Giulio Cesare Croce, Le sottilissime astuzie di Bertoldo, Dalai editore, Milano, 2005. ISBN 88-8490-708-X (Anteprima su Google Libri)
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