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Giordano Bruno Guerri

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Giordano Bruno Guerri

Giordano Bruno Guerri (1950 – vivente), storico, giornalista e scrittore italiano.

Citazioni di Giordano Bruno Guerri

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  • [Liborio Romano] Benché sia uno dei personaggi più affascinanti del risorgimento, è poco conosciuto al di fuori di una cerchia di studiosi. Nella vulgata ha la fama di traditore, di tutti e di tutto. Non riesco a considerarlo tale. E neppure un trasformista, come viene definito in un libro eccellente [L'inventore del trasformismo]. [...] L'autore [...] sa come spiegare raccontando, oltre a saper usare una selva di documenti poco o affatto noti. (Da Il Giornale, 20 novembre 2009)
  • [Su Erich Linder] Aveva tre teste, come Cerbero: quella dell'autore, quella dell'editore e quella del lettore.[1]

ilgiornale.it, 19 giugno 2017.

  • [Su Santa Maria Goretti] Il mio libro Povera Santa, povero assassino (allora Mondadori, oggi Bompiani) rilevava i pasticci combinati durante la beatificazione, ma soprattutto metteva in risalto la terribile vita di una bambina di 11 anni, costretta a vivere in una miseria indicibile nelle Paludi Pontine di fine Ottocento, a 50 chilometri da Roma, roba che oggi quello che chiamiamo terzo mondo è un villaggio globale di lusso. Nello stesso mondo viveva il suo assassino, un infelice ragazzo di 20 anni, che all'ovvia resistenza della bambina la uccise con un punteruolo.
  • [Sul suo libro in cui denuncia pasticci sulla beatificazione di Santa Maria Goretti] La verità è, credo, che avevo inferto un colpo alla credibilità della «fabbrica dei santi», proprio mentre Giovanni Paolo II canonizzava in continuazione, più di qualsiasi altro, e avevo creato disturbo. Ma non mi ero molto allontanato dalla verità se, poi, lo stesso papa, suggerì agli agiografi e a tutti quelli che si occupano di santi di prestare maggiore attenzione storiografica alle condizioni sociali e biografiche di santi e aspiranti. Mi piace credere, anche, che il mio lavoro sia servito ad attenuare il peso delle prediche sui bambini, che per generazioni si sono sentiti assurdamente dire «fate come Maria Goretti», ovvero fatevi ammazzare piuttosto che cedere al peccato.
  • [In riferimento alla condanna della Chiesa per il suo libro su Santa Maria Goretti] Nel febbraio 1985 il cardinale Pietro Palazzini, prefetto della Congregazione per le Cause dei Santi, convocò una conferenza stampa in Vaticano. Alla presenza di molto clero e giornalisti comunicò solennemente che «Giordano Bruno Guerri è uno strumento del Demonio». Esterrefatto, pensai che le strade di Satana devono essere quasi quante quelle del Signore, tanto era tortuosa quella che mi aveva condotto a una così singolare condanna.

La Verità, citato in Cavevisioni.it, 29 gennaio 2018.

  • La verità è che un nonno voleva chiamarmi Bruno e l’altro Giordano, così è saltato fuori questo nome doppio. Ma non sapevano chi fosse Giordano Bruno, tant'è vero che mi hanno battezzato. Però è stata una fortuna, quel nome sembra uno spot.
  • Ho avuto un'educazione religiosa, ho fatto il chierichetto e frequentato l’oratorio. Fino all'abituale crisi religiosa adolescenziale.
  • Non sono anticlericale, nel clero ci sono bravissime persone. Da libertario nutro diffidenza verso una religione che dipende da un testo sacro.
  • [Su Papa Francesco] È un innovatore e mi sembra che vada nella direzione di una maggiore apertura della Chiesa.
  • Anarchico, come ateo, è una definizione assoluta nella quale non mi ritrovo. Mi considero antireligioso perché la religione è il non pensiero. O meglio, è un pensiero preconfezionato.
  • Per me Cristo è un grande rivoluzionario. Anche la storia dell'unico figlio, sai che roba: Dio poteva mandarne cento di figli.
  • Se Mussolini fosse nato negli anni Sessanta non avrebbe fatto le camicie nere, le leggi razziali, le guerre. Era un uomo che mirava a trasformare la società, usando gli strumenti e i bisogni dell’epoca. Oggi farebbe tutt'altro.
  • [Su un personaggio attuale che ricordi Mussolini] La figura più simile è Grillo non perché sia fascista, ma perché ha trovato gli strumenti, la chiave inglese del numero giusto, per provare a intervenire nel presente.
  • Il M5s è un movimento di massa e io non mi riconosco nella massa.
  • L'intellettuale di sinistra è più portato alla conciliazione. Quelli di destra è difficile che si mettano a lavorare a uno scopo comune. Credendo molto nell'individuo, sono individualisti.

Eretico e profeta

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Io prego per Ernesto tutte le sere e tutte le notti. Forse l'ultima parola non è stata detta.
Giovanni XXIII, 1959[2]

Il dramma di Ernesto Buonaiuti è, prima di tutto, un esempio macroscopico di ciò che hanno dovuto affrontare, in ogni epoca, gli italiani decisi a difendere la propria indipendenza di pensiero dagli schieramenti, dai partiti, dai guelfi, dai ghibellini, dai poteri dominanti.
«Fondatore in Italia degli studi di Storia del cristianesimo, secondo i metodi e le esigenze della scienza moderna»,[3] fu uno dei dodici professori universitari (su oltre milleduecento) che nel 1931 rifiutarono di giurare che avrebbero educato gli allievi per farli «devoti alla Patria e al Regime fascista».[4] Il suo antifascismo difendeva la dignità dell'uomo, non altre ideologie o partiti politici. Anticomunista e contrario a un partito che si dichiarava cristiano pure partecipando a tutte le contaminazioni della politica, nel 1944 Buonaiuti fu l'unico tra i docenti a non essere riammesso all'insegnamento perché la nascente democrazia italiana accettò una mostruosità giuridica – imposta dal Vaticano – che anche il regime fascista aveva rifiutato: la retroattività dell'articolo 5 del Concordato, secondo cui lo Stato doveva avere il placet della Santa Sede per impiegare negli uffici pubblici sacerdoti ed ex sacerdoti.

Citazioni

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  • Antifascista per i fascisti, anticattolico per i cattolici, anticomunista per i comunisti, Buonaiuti non poteva essere accettato nell'Italia di allora, né lo sarebbe in quella di oggi, sempre impegnata a considerare stravagante e nemico chiunque cerchi di vivere fuori dagli schieramenti, in un pensiero proprio. (cap. X, p. 257)

Gli italiani sotto la Chiesa

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  • La stessa Chiesa, sempre dilaniata dal doppio ruolo politico e spirituale, con una mano si serviva dei mercanti, e con l'altra li malediceva: per secoli bollò come peccato l'usura, intesa anche come semplice prestito, e nelle chiese andavano di moda gli affreschi con mercanti arrostiti nell'inferno.
  • Dopo il sacco di Roma, l'Italia era spiritualmente e politicamente morta. Per tre secoli non avrebbe avuto alcuna volontà politica. Il Rinascimento artistico e culturale si sarebbe trasformato in Barocco. Alla Riforma religiosa si sarebbe opposta una controriforma reazionaria. Gli italiani, che avevano vissuto per decenni al grido «Franza o Spagna purché se magna!», mangeranno una materia assai sgradevole, secondo un'altra tipica espressione italiana.
  • Non si sa, e probabilmente non si saprà mai, quanti furono i processi e le vittime: i documenti relativi sono tenuti ancora segreti in Vaticano, con un disprezzo degli studi storici pari al disprezzo di allora per i diritti degli imputati. Comunque per almeno quattro secoli l'Inquisizione terrorizzò l'Europa e, dopo le grandi scoperte geografiche, il mondo.
  • La paura della morte, che è all'origine della religiosità di tanti, viene incrementata dal cristianesimo con la minaccia delle tremende pene dell'inferno. [...] Quella di fingersi pentiti fu una costrizione durata secoli, che spiega bene tanta furberia, ipocrisia e finta religiosità che ancora permane nella società italiana.
  • L'esorcismo fu un vero affare economico. Molti vi si buttarono, con un'inventiva tipicamente italiana, per guadagnarsi il pane, pronti a trovare un'origine diabolica in ogni malattia.
  • La persecuzione all'editoria e la censura, che durerà fino a tutto il Settecento, ha lasciato segni profondi nell'inconscio nazionale: il libro come possibile portatore di male, oggetto con il quale non si ha confidenza, di casta e necessariamente fazioso.
  • I fascisti che il 28 ottobre 1922 entrarono in Roma non dispiacquero in Vaticano. [...] Era la medievale distinzione della Chiesa sulle guerre giuste e quelle ingiuste.
  • Il fascismo ribaltava tutta la legislazione liberale e riconosceva alla Chiesa il potere di condizionare la vita dei cittadini – tutti, anche gli atei e gli anticlericali – negli eventi fondamentali dell'educazione e della vita familiare. La Chiesa si era ripreso l'appalto degli italiani.
  • Molti italiani, pur modestamente credenti, ritengono il cattolicesimo un patrimonio nazionale irrinunciabile: La Chiesa, da parte sua ha assorbito virtù e vizi degli italiani, in un condizionamento reciproco che ha fatto della religione una caratteristica subculturale, più che un'adesione di fede.
  • Gli italiani hanno generalmente deciso di fingere obbedienza e poi fare come gli pare, sviluppando un'ipocrisia collettiva che non ha uguale neanche negli altri paesi cattolici. [...] Gli italiani hanno imparato a convivere con una doppia morale, necessaria per conciliare l'esistenza eterna con quella quotidiana, i peccati con i desideri, l'apparenza con la realtà, la morale con il moralismo. [...] Per cui sì, gli italiani saranno "cattivi"; fino a quando, fingendo di essere cristiani, saranno cattolici senza via di scampo e senza Stato.

Il sangue del Sud

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  • Come ogni guerra civile, anche quella tra piemontesi e briganti è stata raccontata dal vincitore. Che però, a differenza del solito, non ha potuto vantarsene: si preferì nascondere o addirittura distruggere i documenti, perchè non fossero accessibili neppure agli storici. Anche chi aveva vinto uscì da quella tragica prova fratricida con un terribile bagaglio di dolori e sofferenze, ma non poté raccontare il proprio sacrificio e celebrarlo. Né, tantomeno, ha potuto riconoscere quello degli sconfitti. Perciò il brigantaggio postunitario è stato, lungo il secolo e mezzo di storia nazionale, poco più di una parentesi della quale si sono perse le tracce, quasi un incubo da rimuovere e censurare, una pagina vuota, una tragedia senza narrazione. I briganti scontano, oltre alla sconfitta, anche il destino della damnatio memoriae. A loro, non spetta l'onore delle armi. (introduzione, p. 46 )
  • C'è solo da sperare che, con le prossime celebrazioni dei 150 anni di Unità nazionale, si rinunci almeno in parte al conformismo retorico e patriottardo: aggettivo molto diverso da «patriottico». Non si tratta di denigrare il Risorgimento, bensì di metterlo in una luce obiettiva, per recuperarlo – vero e intero – nella coscienza degli italiani di oggi e di domani: continuando a considerarlo un atto fondamentale, necessario e benigno, della storia d'Italia, pur con tutti gli errori e le colpe che accompagnano gli eventi epocali.
    Se ciò accadrà, anche le celebrazioni saranno utili per ritrovare la nostra memoria, senza tentazioni oleografiche: ma anche senza le ossessioni separatiste o secessioniste che di tanto in tanto si trasferiscono dal Sud al Nord e ritorno. Conoscere e vedere il Risorgimento non significherà rimpiangere Radetzky o Francesco II, a seconda che il nostalgico si trovi a Milano o a Palermo. (introduzione, pp. 46-47)
  • [...] ai savoiardi non rimase che fare rotta verso Casalduni, ignari che sarebbe stata la loro fine. Dopo una marcia forzata di ore, si fermarono presso una cappella e vennero sorpresi da un gruppo di soldati sbandati dell'esercito napoletano, agli ordini del sergente Angelo Pica, detto «Picuozzo».
    Due piemontesi caddero immediatamente: uno colpito alla fronte da una pietra, un altro per un colpo di moschetto. [...] Gli uomini di Pica disarmarono i piemontesi (solo un fante, nella confusione generale, si salvò nascondendosi dietro un cespuglio), li incatenarono e sfilarono in trionfo, come i generali romani, nel centro di Casalduni.
    Prima di tutto fu saldato un conto interno: il vicesindaco, Nicola Romano, venne legato a un albero e fucilato. La folla voleva la morte anche per i soldati, ma Picuozzo, dopo averne interrogati alcuni, li considerò solo esecutori di ordini e si pronunciò, al pari dei suoi uomini, per la loro salvezza. I cittadini di Casalduni non sentirono ragioni, spogliarono i soldati delle divise e li fucilarono in Largo Spinella. Erano le 22 e trenta dell'11 agosto 1861. Alcuni dei fucilati, ancora in vita o cadaveri, furono fatti a pezzi da falci, scuri, mazze; altri furono schiacciati da cavalli lanciati al galoppo. (p. 88)
  • [Sulla rappresaglia di Pontelandolfo del 14 agosto 1861, ordinata dal generale Cialdini per il massacro dell'11 agosto 1861, a Casalduni, di oltre 40 militari] Niente e nessuno fu risparmiato, tranne le quattro abitazioni dei loro fiancheggiatori. I soldati uccisero e incendiarono al grido di «Piastre! Piastre!»: volevano il denaro.
    Fieno e legna secca, stipati nelle stalle e nei bassi per riscaldare d'inverno quelle case gelide, furono accatastati sulle soglie insieme a balle di paglia. Le torce consegnarono tutto e tutti al fuoco. Uomini, donne e bambini sorpresi dalle fiamme nel loro letto; i disperati che tentarono di fuggire vennero abbattuti come al tiro al bersaglio. Le donne furono violentate. [...] Una ragazza di sedici anni, legata a un palo in una stalla, fu oltraggiata da dieci bersaglieri, davanti agli occhi del padre, e poi uccisa. Un contadino tentò di fuggire con il figlioletto tra le braccia: un soldato glielo strappò dalle mani e lo freddò a colpi di fucile.
    Due giovani, i fratelli Rinaldi, che durante un soggiorno napoletano, si erano imbevuti di idee liberali, increduli di quella mattanza, ebbero il coraggio di presentarsi al cospetto di Pier Eleonoro Negri, chiedendo spiegazioni. Per tutta risposta, furono portati nella chiesa di San Donato, derubati di ciò che avevano indosso, bendati e fucilati.
    Per ore, fino al mattino inoltrato, la strage non ebbe sosta, poi iniziò il saccheggio. Le chiese furono spogliate di tutto. Quadri, vasi, oro, argento, ex voto, calici consacrati, perfino le statue dei santi ricomparvero il giorno dopo a Benevento, dove la colonna di Negri si acquartierò allestendo un bazar che gli abitanti del luogo – ancora capaci di ironia – chiamarono «Caserma del Gesù». (p. 89)

Pensieri scorretti

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  • Aforismi: A molti scrittori di aforismi è mancata la pazienza di pensare più a lungo.
  • Barba: Chi porta la barba non perde tempo a radersi.
  • Battesimo: Rito magico compiuto da alcuni colpevoli su un innocente.
  • Blog: Il blog è la dimostrazione moderna che l'elemento più importante di un giornale è l'editore.
  • Calma: La calma è la virtù dei calmi.
  • Capelli: I capelli sono una perdita di tempo.
  • Chiese: Tutti sono felici all'uscita da una chiesa, perché dentro hanno avuto paura.
  • Comandare: Comandare è più volgare che obbedire.
  • Compromesso: Ogni compromesso è un'automutilazione.
  • Dio: Cosa mangia Dio che ha basato la vita sulla catena alimentare?
  • Ecc.: Espressione usata da chi non ha più nulla da dire.
  • Elezioni: Non si vota mai per qualcuno, ma contro qualcun altro.
  • Fessi/Furbi: Crede di essere astuto, invece è solo furbo.
  • Libertà: Libertà è una parola che va declinata per intero: liberale, liberista, libertario, libertino.
  • Gente: Non ho bisogno di vedere la gente, ho bisogno che la gente mi veda.
  • Intelletto/Intellettuali: Gli intellettuali si sforzano di stabilire certezze, mentre il loro mestiere è seminare dubbi.
  • Internet: Oceano dove molti navigano su una zattera.
  • Luoghi comuni: Gli uomini frequentano luoghi comuni.
  • Morte: A molti morire fa solo bene.
  • Padre: Il buon padre ha figli solo dopo i cinquant'anni, per lasciare l'eredità quando ne avranno più bisogno.
  • Suicidio: È molto diverso togliersi la vita e darsi la morte.
  • Superstizione: Ai gatti neri porta sfortuna essere attraversati da un'auto.

Incipit di alcune opere

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Follia? Vita di Vincent van Gogh

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Vincent van Gogh definì la sua vita come "la discesa infinita".
È una bellissima definizione, perché il grande pittore ha vissuto la sua breve esistenza, anno dopo anno, in un modo sempre più dolente e doloroso. Allo stesso modo, anno dopo anno, mentre il suo spirito era eroso quasi fosse uno dei paesaggi che dipingeva, divorati da un sole implacabile e feroce, la sua arte divenne sempre più potente, unica e meravigliosa.
Van Gogh può essere considerato il padre della pittura moderna: fece esplodere la forma e il colore, gettò il seme della pittura espressionista e addirittura dell'arte astratta.
Era pazzo? Questo è uno degli argomenti di cui ci occuperemo. Comunque vi anticipo sin d'ora che non lo credo affatto. E se proprio pazzo lo si vuol definire, per prendere fiato davanti ai suoi dipinti e al racconto della sua vita, la sua era una forma di pazzia molto speciale.

Note

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  1. Citato in Leonardo G. Luccone, L'uomo che inventava gli scrittori, la Repubblica, 22 marzo 2023.
  2. Max Ascoli, Ernesto Buonaiuti. Appunti per un libro di memorie. Napoli, Arte Tipografica, 1975, p. 29.
  3. Luigi Salvatorelli, Prefazione a Ernesto Buonaiuti, Saggi di storia del cristianesimo, Vicenza, Neri Pozza, 1957, p. XV.
  4. Cfr. voce su Wikipedia.

Bibliografia

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  • Giordano Bruno Guerri, Eretico e profeta. Ernesto Buonaiuti, un prete contro la Chiesa, UTET, Torino, 2007.
  • Giordano Bruno Guerri, Follia? Vita di Vincent van Gogh, Bompiani, 2009. ISBN 9788845263149
  • Giordano Bruno Guerri, Gli italiani sotto la Chiesa. Da San Pietro a Mussolini, Mondadori, Milano, 1992.
  • Giordano Bruno Guerri, Il sangue del Sud: antistoria del Risorgimento e del brigantaggio, Mondadori, Milano, 2020. ISBN 9788852048302
  • Giordano Bruno Guerri, Pensieri scorretti: 1837 aforismi per togliere la ragione a chi ce l'ha, UTET, Torino, 2007.

Altri progetti

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