Adolfo Padovan
Adolfo Padovan (1869 – 1930), scrittore italiano.
L'uomo di genio come poeta
[modifica]La poesia nacque il giorno in cui l'uomo manifestò un pensiero con una imagine. Essa è dunque antichissima e i più vetusti documenti poetici a noi pervenuti, non sono che i vestigi di un'arte già adulta, quantunque ingenua e primitiva ancora come la bella e vasta raccolta di inni cantati dagli avi e raggruppati nel Rig-Veda.
Pensasti mai, lettore, agli antichissimi Aria della Battriana che migravano dagli altipiani dell'India verso l'Europa spingendo innanzi i loro armenti e i loro greggi, col pungolo nella mano e l'inno vedico sulle labbra? Son essi i nostri progenitori, i padri celti pelasgi germani e slavi; essi sempre che, nel loro cammino di conquista, abbandonarono lungo la via percorsa la modesta colonia prolifica e laboriosa, come il fiume abbandona sugli argini i detriti del proprio letto.
Citazioni
[modifica]- Un altro poeta, forte e geniale, dimostra nell'opera sua l'indole scultorea spiccatissima: poeta contemporaneo, latinamente italiano fin nelle midolla: Giosuè Carducci.
Abbiamo veduto che Dante, come poeta scultore, è l'anima di Michelangelo che parla in voce di poesia, vedremo ora che il Carducci rispecchia invece nell'opera sua ora la classica plasticità di Houdon, ora la forza atletica di Puget, ora l'impetuosità del moto di Francesco Rude.
Egli è insomma un ingegno moderno, figlio del nostro secolo, perché rivela nella sua poesia certi fremiti di vita, certe singolari movenze leonine che gli antichi, né in scultura, né in pittura, né in poesia non conobbero mai. (cap. III, p. 95)
- Ho detto che il Petrarca appartiene alla categoria dei poeti pittori, aggiungo ora che esso è un poeta pittore nato perché, nel suo Canzoniere, là dove dimostra con maggior sincerità l'indole sua, egli impugna il pennello e la tavolozza.
Ma bisogna anzitutto affermare un fatto che parrà incredibile, ed è invece certo e dimostrabile. Francesco Petrarca non fu un uomo di genio nel senso pieno e profondo che si deve dare a questa parola, ma soltanto un ingegno superiore, vale a dire fu singolare ma non originale e, in poesia, disse sovente parole e non cose, si preoccupò più della forma che della sostanza. Nella sua opera vasta e feconda manca anzitutto la sincerità, che noi proclamiamo uno dei requisiti essenziali e indispensabili del genio. (cap. V, pp. 171-172)
- [Petrarca] Sommo erudito, artefice di versi ingegnosissimo, uomo vanitoso, anima sensibile ed impressionabile, dotato di una rara virtù assimilatrice, ma non un forte carattere, non una coscienza integra e salda, non insomma quella spiccata personalità artistica che impronta il genio. (cap. V, p. 172)
- Poche, troppo poche, sono le pagine scritte col cuore in punta di penna e quindi geniali perché si possa classificare il Petrarca fra i genî sovrani. Quasi sempre, nelle sue poesie, salta fuori l'erudito, ma non l'erudizione adoperata come materia plastica per esprimere un sentimento o per rafforzare un'imagine passionale, bensì l'erudizione per sé stessa, per la smania della preziosità e del lenocinio. (cap. V, p. 175)
- La poesia non può competere con la musica, essa può soltanto scimmiottarla, può valersi cioè di alcuni elementi musicali per ravvivare nel lettore un sentimento imitando col ritmo, col metro, con la rima, colle assonanze e colle onomatopeie le voci della natura.
Fra le arti belle la musica è dunque sovrana; essa sola promuove le emozioni più intense e più complesse perché, col fascio delle sue vibrazioni, assale tutto il nostro sistema nervoso, ci coinvolge nel vortice dei suoi fremiti ai quali partecipiamo non soltanto con la sostanza grigia che s'annida dietro la tempia, ma con tutto l'intreccio della compagine umana, dalla pelle alle ghiandole, dal muscolo al nervo. Poesia, pittura e scultura invece non eccitano delle commozioni cosi vive e sentite, non riescono cioè a condurci fino all'abbandono di noi stessi, nel dominio dell'estasi, attraendo a sé il pensiero e l'affetto insieme. (cap. VI, pp. 277-278)
- Il Lamartine è certamente il più bell'esemplare di poeta musicista nato che vanti la Francia[1], ma noi gli possiamo contrapporre il Metastasio che fu addirittura un musico poeta. Entrambi però, l'uno nel campo dell'elegia, l'altro in quello del melodramma, rimasero degli ingegni, appunto perché secondarono sempre con molto fervore l'inspirazione melodica innata, abbandonandosi alla loro abitudine naturale con l'arrendevolezza di una femmina amorosa. Furono dunque essi dei poeti musicisti nel senso pieno e profondo perché se tu leggi una qualunque pagina delle Méditations di Lamartine o una qualunque scena dei drammi di Metastasio sarai costretto a cantare il verso invece di recitarlo e potrai talvolta, dopo aver letto una strofe, ripeterla subito sostituendo alle sillabe le note. (cap. VI, p. 284)
Note
[modifica]- ↑ Soavissimo poeta ei fu, ma uomo esecrabile per ogni italiano. Giovane, oltraggiò l'Italia nel V canto ch'ei volle aggiungere al Giovine Aroldo di Byron; vecchio, vituperò l'austera grandezza di Dante nel Cours familier de littérature (III, 372, ecc.). [N.d.A.]
Bibliografia
[modifica]- Adolfo Padovan, L'uomo di genio come poeta, Ulrico Hoepli, Milano, 19042.
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