Vai al contenuto

V-Cinema

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.

Il termine V-Cinema (Vシネマ?, Bui Shinema), conosciuto anche come OV (Original Video), designa in Giappone i film distribuiti direttamente nel mercato home video, senza prima passare dalle sale cinematografiche.

Apparsa negli anni ottanta, l'industria ha sviluppato al suo interno uno star system e ha lanciato attori quali Riki Takeuchi e Shō Aikawa, e registi quali Takashi Miike, Hideo Nakata, Kiyoshi Kurosawa e Daisuke Yamanouchi.[1]

I primi film a essere distribuiti in Giappone direttamente nel mercato home video furono i film pornografici, che contribuirono al successo del mercato.[1] Successivamente furono distribuiti direttamente in video i film horror, come la celebre serie Guinea Pig, che fu distribuita in home video a partire dal 1985.[1]

Nel 1989 la Toei Company produsse il film d'azione Crime Hunter e lo distribuì direttamente in videocassetta. Il film riscosse un ottimo successo e convinse le grandi case di produzione giapponesi ad investire sul mercato.[1] La Toei produsse subito Crime Hunter 2, seguita dalla Bandai Visual che produsse nel giro di otto mesi due film erotici, Strawberry Times e Strawberry Times 2.[1]

Nel 1990 uscirono in Giappone oltre sessanta film direttamente in home video, mentre nel 1991 il numero fu raddoppiato.[1] Nacquero rapidamente piccole case di produzione e distribuzione, finanziate dai nuovi milionari giapponesi.[1] Questi produttori assunsero giovani registi alle prime esperienze, o registi che provenivano dalla televisione o dal porno, e diedero loro un'ampia libertà di temi, senza nessuna censura, bilanciata da budget ridotti.[1] Registi quali Takashi Miike, Hideo Nakata e Kiyoshi Kurosawa iniziarono così la loro carriera, mentre registi un tempo celebri come Seijun Suzuki, Teruo Ishii e Yasuharu Hasebe ritrovarono un'opportunità di successo nel V-Cinema.[1]

Per quanto riguarda gli attori, questi venivano trovati tra i modelli, cantanti, ballerini o tra gli esperti di arti marziali.[1]

Nel 2001 il numero dei film appartenenti al V-Cinema giunse alla cifra record di 361, superando per la prima volta quello dei film distribuiti regolarmente nelle sale cinematografiche, che furono 281.[1]

Dopo il 2001 molte piccole case di produzione e distribuzione sorte appositamente per il V-Cinema dovettero chiudere, dato che i produttori fallirono o preferirono investire i loro soldi in altri campi.[1] Inoltre chiusero molte videoteche.[1] Per contrastare il declino, l'industria consentì ad alcuni film di uscire nelle sale cinematografiche, segnalando in seguito sulle videocassette che il film era stato proiettato sul grande schermo.[1] In realtà l'uscita nelle sale era limitata a un solo cinema di una grande città, come Tokyo o Ōsaka.[1]

Come conseguenza del declino dell'industria, i budget a disposizione dei registi crollarono e i tempi di lavorazione divennero più ristretti, mentre la maggior parte dei film non furono più realizzati in pellicola, bensì in digitale.[1]

Nonostante il declino del V-Cinema, un film appartenente all'industria come Gozu, diretto da Takashi Miike nel 2003, fu presentato alla Quinzaine des Réalisateurs, al 56º Festival di Cannes.[1]

L'avvento di nuovi produttori inesperti e i budget ristretti attirarono l'attenzione della yakuza, che trovò nel V-Cinema un ottimo motivo per il riciclaggio di denaro sporco.[1]

Filmografia parziale

[modifica | modifica wikitesto]
  1. ^ a b c d e f g h i j k l m n o p q r Tom Mes, Generation Video. Nel mondo del V-Cinema, in Anime perdute. Il cinema di Miike Takashi. A cura di Dario Tomasi, Milano, Il Castoro Cinema, 2006, pp. 47-57, ISBN 88-8033-371-2.
  • (EN) Tom Mes, Agitator. The Cinema of Takashi Miike, Fab Press, 2003.
  • (EN) Tom Mes & Jasper Sharp, The Midnight Eye Guide to New Japanese Film, Stone Bridge Press, 2004.
  • Dario Tomasi (a cura di), Anime perdute. Il cinema di Takashi Miike, Milano, Il Castoro/Museo Nazionale del Cinema, 2006.
  • Maria Roberta Novelli, V-Cinema: l'altra industria, in Il cinema giapponese oggi. Tradizione e innovazione, Torino, Lindau, 2001.

Voci correlate

[modifica | modifica wikitesto]