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Dissidenza in Unione Sovietica

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Alcuni dissidenti a Monaco di Baviera nel 1978. Nella foto Julija Višnevskaja, Ljudmila Alekseeva, Dina Kaminskaja, Kronid Ljubarskij.

Per dissidenza in Unione Sovietica si intende l'insieme di coloro che erano in disaccordo con le decisioni politiche nel periodo dell'Unione Sovietica esistito dal 1917 al 1991.

Etimologia del termine

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Il termine "dissidenti" si è diffuso dagli anni 1960 in URSS e Europa per indicare coloro che svolgevano un'azione nonviolenta contro il regime sovietico[1][2], anche se i primi dissidenti possono essere individuati già nelle vittime delle Grandi Purghe e in quelle dell'opposizione di sinistra capeggiata da Lev Trockij (i futuri trotskisti), nel periodo 1924-1938.[3]

L'etimologia del termine fa riferimento al dissenso espresso contro la politica sovietica. In merito ai dissidenti sovietici lo storico russo Roy Medvedev dichiarava che, secondo lui, il dissidente non è semplicemente colui che la pensa diversamente, bensì colui che esprime esplicitamente il proprio pensiero, manifestandolo in qualche modo ai suoi concittadini e allo Stato[4].

Il giornalista russo Leonid Borodin, ad esempio, noto oppositore del regime sovietico, non si è mai voluto definire "dissidente"[5].

Nei documenti ufficiali il termine veniva sempre virgolettato. I dissidenti sono anche chiamati "antisovietici".

Ljudmila Alexeeva

La dissidenza sovietica traeva origine da varie posizioni ideologiche e politiche, unite tuttavia dalla comune opposizione alle politiche del governo sovietico[6]. I dissidenti non costituirono mai alcun movimento unitario[7] durante il periodo dell'URSS.

Il regime sovietico represse il dissenso principalmente attraverso deportazioni verso il sistema penitenziario del Gulag[8] compiute dall'NKVD, la polizia politica. Essa fu coadiuvata, nella repressione, da altri organi quali il KGB e il GPU.

Nel 1983 la fondatrice del Gruppo Helsinki di Mosca, Ljudmila Alekseeva, ha individuato diversi tipi di dissidenza nell'Unione Sovietica come i comunisti, i liberali, i socialisti, i nazionalisti e altri gruppi minori[9].

Dalla fine degli anni '60 ci furono lotte per i diritti umani che impiegarono gran parte dei dissidenti anche negli anni successivi[10].

Uno striscione storico contro l'URSS, Per la nostra e la vostra libertà

La maggior parte delle cittadini sovietici non disponeva di alcuna informazione sulla dissidenza. Tale fenomeno ebbe quindi una maggior risonanza all'estero tanto che, grazie all'appoggio di Stati del blocco occidentale, alcuni dissidenti chiesero (e alle volte ottennero) lo status di prigioniero politico. Durante la primavera di Praga alcuni dissidenti dell'URSS pubblicarono in periodici cecoslovacchi degli scritti che, tradotti in URSS, misero in imbarazzo la nomenklatura del regime[11].

I testi letterari, i saggi, gli articoli a stampa erano inviati clandestinamente in Occidente[12].

Nel 1984 lo stato bloccò le pubblicazioni della rivista Technika Molodëži che stava pubblicando a puntate un libro di Arthur Clarke poiché in esso erano utilizzati i cognomi di alcuni dissidenti sovietici[13].

Il samizdat, cioè la diffusione clandestina di scritti illegali, è un fenomeno che ebbe il suo maggior sviluppo durante l'URSS[14].

Persecuzione dei dissidenti

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La repressione del dissenso prevedeva il licenziamento dal lavoro, la cacciata dalle scuole, l'arresto, la privazione della cittadinanza e la detenzione in ospedali psichiatrici[15] o nei gulag[16].

L'articolo 58 del Codice penale della Repubblica Socialista Federativa Sovietica Russa che riguardava chi "tradiva" lo Stato, promulgato nel 1927, prevedeva un massimo di 25 anni di carcere. Nel 1966 fu inoltre sancito che la pubblicazione di "notizie false" fosse punibile con la reclusione fino a tre anni[17].

In Occidente, i dissidenti sovietici perseguitati o rinchiusi in ospedali psichiatrici venivano chiamati prigionieri di coscienza[18].

  1. ^ (RU) DISS, su memo.ru. URL consultato il 22 aprile 2013 (archiviato dall'url originale il 16 marzo 2011).
  2. ^ Archiviato il 23 febbraio 2009 in Internet Archive. archiviato da qui
  3. ^ Adriano Guerra, Comunismi e comunisti: dalle "svolte" di Togliatti e Stalin del 1944 al crollo del comunismo democratico, edizioni Dedalo, 2005, pag. 276
  4. ^ Roy Medvedev, Intervista sul dissenso in URSS, Laterza, 1977.
  5. ^ (RU) Banner, Диссиденты о диссидентстве, 1997.
  6. ^ Il dissenso in Urss, su storiain.net. URL consultato il 23 aprile 2013 (archiviato dall'url originale il 26 maggio 2010).
  7. ^ Larisa Bogoraz, 1997
  8. ^ Strada Vittorio, E i nostalgici dell'Urss riscoprono gulag e Armata rossa, in Corriere della Sera, 28 luglio 2003 (archiviato dall'url originale il 19 dicembre 2015).
  9. ^ (RU) Предисловие, su memo.ru. URL consultato il 22 aprile 2013 (archiviato dall'url originale il 20 marzo 2017).
  10. ^ Schlesinger Arthur M. jr., I cicli della storia americana, Studio Tesi, 1991.
  11. ^ Storica, Viella, 2003.
  12. ^ Maria Zalambani, Censura, istituzioni e politica letteraria in URSS, Firenze University Press, 2010. URL consultato il 23 aprile 2013.
  13. ^ Odissea spaziale con dissidenti la censura sovietica interviene, in la Repubblica, repubblica.it, 21 aprile 1984.
  14. ^ AAVV, Estudios sobre la Europa Oriental, Publicacions de la Universitat de València, 2002.
  15. ^ Elio Sgreccia, Manuale di bioetica, Vita e Pensiero, 2002. URL consultato il 23 aprile 2013.
  16. ^ (ES) Edgar Morín, Qué Es el Totalitarismo, Anthropos Editorial, 1985. URL consultato il 23 aprile 2013.
  17. ^ (RU) Владимир Козлов, su krotov.info. URL consultato il 22 aprile 2013.
  18. ^ Giovanni Codevilla, Dalla rivoluzione bolscevica alla Federazione Russa, FrancoAngeli, 1996.
  19. ^ Margaret Drabble - Jenny Stringer, Dizionario Oxford della letteratura inglese, Gremese, 1998.
  20. ^ Michael Kenward, New Scientist, 1980.
  21. ^ (EN) Richard C.S. Trahair, Robert Miller, Encyclopedia of Cold War Espionage, Spies, and Secret Operations, Enigma Books, 2012. URL consultato il 23 aprile 2013.
  22. ^ (EN) Council of Europe, su docs.google.com. URL consultato il 23 aprile 2013.
  23. ^ (EN) New Scientist, 1982. URL consultato il 23 aprile 2013.
  24. ^ Memorial Services in the Congress of the United States and Tributes in Eulogy of Ronald Reagan, Late a President of the United States, 2005.
  25. ^ (EN) Marshall Blonsky, On Signs, Johns Hopkins, 1985. URL consultato il 23 aprile 2013.
  26. ^ de Boer, Driessen e Verhaar, p. 488.
  27. ^ de Boer, Driessen e Verhaar, pp. 6-7.
  28. ^ (DE) friedrich ebert stiftung goethe-institut taschkent institut für [collegamento interrotto], su webcache.googleusercontent.com. URL consultato il 23 aprile 2013.
  29. ^ Intervista con Vladimir Bukovskij, su giannidemartino.it. URL consultato il 23 aprile 2013.
  30. ^ (EN) Bulletin of the Atomic Scientists, 1993. URL consultato il 23 aprile 2013.
  31. ^ (ES) Salomón Magendzo, Cruzando ese angosto puente, Universidad Academia de Humanismo Cristiano, 1999.
  32. ^ (EN) Mother Jones Magazine, 1978. URL consultato il 23 aprile 2013.
  33. ^ (EN) Robert Elsie, Albanian Literature, 2005. URL consultato il 23 aprile 2013.
  34. ^ Cavanna, Salvini, Per una psicologia dell'agire umano, 2010. URL consultato il 23 aprile 2013.
  35. ^ Fabio Toscano, Il fisico che visse due volte. I giorni straordinari di Lev Landau, genio sovietico[collegamento interrotto], Sironi, 2008.
  36. ^ (EN) Aquarium, su shabalin.it. URL consultato il 23 aprile 2013.
  37. ^ de Boer, Driessen e Verhaar, p. 161.
  38. ^ (EN) Evgeny Morozov, The Net Delusion[collegamento interrotto], PublicAffairs, 2012. URL consultato il 23 aprile 2013.
  39. ^ de Boer, Driessen e Verhaar, p. 62.
  40. ^ (EN) New Scientist, 1980. URL consultato il 23 aprile 2013.
  41. ^ de Boer, Driessen e Verhaar, pp. 282-283.
  42. ^ (EN) Jonathan Wheatley, Georgia from national awaking to Rose Revolution, Ashgate Pub Co, 2005. URL consultato il 23 aprile 2013.
  43. ^ de Boer, Driessen e Verhaar, pp. 278-279.
  44. ^ Levitsky Serge, Copyright, Defamation, and Privacy in Soviet Civil Law, Springer, 1979.
  45. ^ de Boer, Driessen e Verhaar, p. 149.
  46. ^ (EN) Mustafa Jemilev: «We Haven't Got Anything Except Ukraine», su risu.org.ua. URL consultato il 23 aprile 2013.
  47. ^ de Boer, Driessen e Verhaar, p. 118.

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