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Cucina cerignolana

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Voce principale: Cerignola.

La cucina cerignolana, che presenta elementi di transizione tra quella foggiana e quella barese, è basata sui cardini della cucina pugliese, ovvero: olio, grano, formaggi ed ortaggi, tende a valorizzare i prodotti locali creando piatti semplici ma nel contempo saporiti. Soprattutto il grano duro rappresenta un ingrediente imprescindibile da cui si ricavano un gran numero di alimenti, dal pane a gli innumerevoli formati di pasta, passando per le focaccine (simili ai calzoni e farciti con formaggi, salumi o verdure) e la focaccia (in dialetto cukëlë)[1].

Tra una portate e l'altra è possibile gustare gli scaldatelli, ovvero taralli cotti in forno ma sbollentati prima della cottura, risultando così particolarmente morbidi.

Scaldatelli cerignolani.

Il piatto più tipico è la tiella (dal nome del tegame in cui la si prepara), una ricetta antica che risale a quando le donne, dopo la giornata passata al lavoro nei campi, rientrando alla sera, dovevano sfamare la famiglia. La ricetta ha di base le patate arricchite, secondo disponibilità e preferenze, da pomodori, lampascioni, formaggio pecorino grattugiato, pangrattato, origano, prezzemolo, funghi, tutto messo pazientemente a crudo ed a strati.

Il pane condito invece rappresenta una perfetta sintesi di tutti i principali prodotti locali, ovvero il pane farcito con olio extra-vergine e i pomodori.

Di particolare rilievo sono i diversi tipi di pasta fatta in casa, solitamente condita con ragù di carne: strascinati (in dialetto strascënëtë), versione particolare delle orecchiette caratterizzata da rettangoli di pasta che si passano su un tagliere che presenta una faccia rugosa ed una liscia; torchi (in dialetto turchje), simili a spaghetti, ma dallo spessore e dalla consistenza decisamente maggiore e ancora laganelle (in dialetto laghënë), cicatelli e cavatelli (in dialetto cavatidd). Spesso la pasta corta viene servita accostata alle verdure locali: orecchiette e cime di rape, cicatelli e fagioli, cavatelli con la ruca e cicatelli di grano arso (in dialetto granass), prodotti con una farina scura ottenuta dal grano recuperato dopo la bruciatura delle stoppie in seguito alla mietitura.

La carne bovina, scarsa come nel resto del Sud, è sostituita da quella equina, ovina, suina, dal pollame, dalla selvaggina e dai volatili. A tal proposito un'antica ricetta è il quagghjaridd, ovvero ventricina di montone ripiena di frattaglie tagliuzzate, scamorza, uova, salame, cotta in forno e servita con rucola lessata. Tipico della festa patronale (Madonna di Ripalta) è il galluccio, che consiste nel cucinare per l'appunto un gallo da cui si ricava sia il ragù di carne che un secondo piatto.

Sulla tavola possiamo trovare numerosi ortaggi autoctoni come ad esempio i marasciuoli (erbe selvatiche dal gusto amaro chiamate in dialetto: marascjulë), i lampascioni (verdure amare dal sapore amarognolo simili alle cipolle chiamate in dialetto: lambasjounë) o la cicoria di campagna (dal sapore simile alle cime di rapa,ma più dolce) la cicoria selvatica = ciquaire gusto = a cicoria catalogna e buona con puree di fave o bollite e condite con solo olio e peperoncino. le cime di rape possono essere confrontate solo con le "cim'amaredd (fiori gialli) o le cime dulcce (fiori bianchi).

Degni di nota sono anche i latticini: ricotte, pecorino, scamorze, caciocavallo, provoloni, mozzarelle e il fior di latte, il cui interno è costituito da una palla di fiore di burro.

Il pane è protagonista anche nelle ricette di diverse minestre. Il pancotto ad esempio si mangia condito con olio di oliva e verdure selvatiche come la rucola, i marasciuoli, le patate e le cime di rape. Nella minestra maritata, invece, cicoria selvatica, scarola, sedano e finocchietti si uniscono e vengono serviti con la pancetta e con il pecorino. Nella ricetta delle fave mozzicate, queste ultime vengono cotte con la buccia. Un'altra ricetta unisce la cicoria di campagna con le fave bianche, ovvero: fave secche sbucciate.

Cartellate al miele.
Cartellate al vino cotto.

Nell preparazione dei dolci, la fa da padrone la mandorla, numerose sono infatti le ricette che l'annoverano. I dolci seguono in un certo senso l'andamento delle festività religiose, quindi a San Giuseppe si preparano le zeppole; a Pasqua troviamo le squarcelle (in dialetto ssquarcedd), ciambelle ricoperte da glassa di zucchero, troviamo anche la pizza di ricotta composta da: ricotta, zucchero, uova, frutta candita e (recentemente) cioccolata; a Natale i dolci abbondano, numerose sono infatti le ricette caratteristiche di questa festività. Troviamo ad esempio le cartellate (in dialetto sskartëddëtë), fritte nell'olio, imbevute di miele o vino cotto (di fico); la pizza sette sfoglie[collegamento interrotto], composta da sette sfoglie sottilissime[2] i cui strati sono conditi con: mandorle, uva passa, mostarda, pinoli, noci tritate, cioccolata e zucchero; le mandorle attorate, tostate e ricoperte con il cioccolato; le pettole (in dialetto pettlë) condite con il vino cotto; i marzapane, ovvero biscotti con mandorle tritate e zucchero; i calzoncelli, cioè piccoli calzoni farciti con mostarda (ovvero marmellata di uva), mandorle tostate e ricoperti con il vino cotto; infine troviamo i fichi secchi, aperti e farciti con mandorle tostate ed eventualmente ricoperti da vino cotto. Addirittura anche la festività di Ognissanti ha il suo dolce, il grano cotto, che viene bollito e farcito con vino cotto, cannella, canditi, cioccolata a pezzi, noci e chicchi di melograno.

Lo stesso argomento in dettaglio: Cucina pugliese.

Anche l'enologia ha solide radici nella cucina tradizionale. Il Rosso di Cerignola (vino D.O.C. anche nella variante Riserva) ben si sposa con preparazioni molto strutturate come le carni ed i formaggi a media stagionatura. Va degustato in calici per vini di gran corpo a una temperatura di 16-18 °C.

  1. ^ Il simbolo ë in linguistica prende il nome di scevà e si riferisce ad una vocale debole ed indistinta che non viene pronunciata.
  2. ^ Al fine di verificare che la sfoglia fosse effettivamente sottile, era tradizione soffiare su di essa. Se la sfoglia si alzava dal ripiano, allora era ben riuscita.
  • S. Donati, Il grande manuale della cucina regionale, Bergamo, Euroclub-Bertelsmann, 1979.

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