Campagna d'Italia (1813-1814)
La campagna d'Italia del 1813-1814 fu la serie di operazioni militari combattute durante la guerra della sesta coalizione, principalmente in Italia settentrionale tra l'Impero francese e la Coalizione guidata da austriaci e britannici. Rappresentò l'ultima volta del cosiddetto "periodo francese", precisamente dalla campagna del 1796-1797, in cui un esercito francese e uno austriaco si fronteggiarono per il controllo della penisola. La guerra austro-napoletana del 1815 fu uno scontro essenzialmente tra soli italiani e austriaci.
Dopo la disastrosa campagna di Russia l'Esercito del Regno d'Italia era fortemente indebolito. Si distinse ancora una volta durante la campagna di Germania del 1813, ma quando il 12 agosto l'Impero austriaco entrò in guerra, fu in gran parte richiamato a sud per fronteggiare l'invasione della Coalizione. L'armata franco-italiana era comandata dal viceré d'Italia Eugenio di Beauharnais, figliastro di Napoleone Bonaparte, mentre l'esercito alleato, in questo teatro di operazioni, fu posto sotto il comando dei marescialli austriaci Johann von Hiller prima e Heinrich Johann Bellegarde dopo, e del generale britannico William Bentinck. Al fianco di austriaci e britannici vi erano di nuovo il Regno di Sicilia di Ferdinando IV di Borbone e il Regno di Sardegna di Vittorio Emanuele I di Savoia.
Inizialmente i franco-italiani riuscirono a rallentare l'avanzata della Coalizione nelle Province Illiriche, grazie soprattutto alla battaglia di Feistritz, ma già il 5 ottobre dovettero ripiegare verso la linea dell'Isonzo, confine orientale del Regno d'Italia, e alla metà del mese iniziò l'invasione del regno. La già sproporzione di forze fu aggravata dalla defezione del Regno di Baviera[1] di Massimiliano I Giuseppe prima e, soprattutto, del Regno di Napoli[2][3][4] di Gioacchino Murat dopo. Murat aveva scelto di cambiare schieramento non solo per mantenere il proprio dominio, ma anche per espanderlo, cercando in questo modo di realizzare il suo progetto di unificare gran parte dell'Italia sotto la sua persona.
Comunque le truppe di Beauharnais continuarono a combattere valorosamente nella Pianura Padana e ottennero vittorie tattiche contro gli austriaci nelle battaglie di Caldiero e del Mincio; tuttavia, la primavera del 1814 fu segnata dalle sconfitte nelle battaglie di San Maurizio e del Taro e dalla progressiva avanzata della Coalizione nel territorio italiano.
Nel frattempo Napoleone veniva sconfitto nella campagna nel nord-est della Francia e di conseguenza abdicò da Imperatore dei francesi e Re d'Italia ad aprile. Dal quel momento l'autorità napoleonica nella penisola cessò di fatto di esistere. Il 23 aprile Eugenio di Beauharnais fu costretto a firmare la Convenzione di Mantova, per poi auto-esiliarsi in Baviera. Entro la fine del mese le restanti guarnigioni italiane dovettero arrendersi.
L'Italia nell'età napoleonica
[modifica | modifica wikitesto]Dai primi atti delle guerre rivoluzionarie francesi, l'Italia era stata teatro di numerosissimi scontri tra le forze repubblicane, e poi imperiali, francesi e gli eserciti coalizzati. In particolare, la campagna d'Italia di Bonaparte del 1796-1797 aveva portato a dei primi drastici cambiamenti dell'assetto politico della penisola: la Repubblica di Venezia era scomparsa, inglobata dall'Austria, tutto il resto della Pianura Padana era stato sostituito da repubbliche filogiacobine, alleate e dipendenti dalla Francia.[5] Di lì a breve anche la parte continentale del Regno di Sardegna venne a scomparire, assorbita dalla Francia.[6]
L'ascesa al trono di Napoleone, con il titolo di Imperatore dei francesi, alimentò la tensione politica in Europa, causando una seconda serie di guerre:[7] nel 1805 l'imperatore inviò il maresciallo Massena in Italia ad occuparsi delle truppe austriache dell'arciduca Carlo[8] mentre quattro anni dopo, questo stesso compito fu affidato al Principe Eugenio, alla sua prima vera esperienza da comandante, che dovette affrontare le armate dell'arciduca Giovanni.[9] I successi ad Austerlitz e Wagram di Napoleone portarono ad un'ulteriore estensione della Francia e del Regno d'Italia, che nel frattempo aveva sostituito la Repubblica Italiana, a sua volta subentrata alla Repubblica Cisalpina,[10] a scapito dell'Austria: con la pace di Presburgo, la maggior parte di Veneto e Friuli passarono al Regno d'Italia[11] mentre con la pace di Schoenbrunn, la Dalmazia veniva annessa direttamente all'Impero napoleonico.[12]
Anche l'Italia centro-meridionale fu soggetta a profondi mutamenti: Toscana e Lazio, similmente al Piemonte, vennero assorbiti all'interno della Francia[11][13] mentre la parte meridionale della penisola, in seguito ad una spedizione del 1806, fu conquistata dal maresciallo Massena, che cacciò i Borbone.[14] Il loro posto sul trono del Regno di Napoli fu prima affidato ad un fratello di Napoleone, Giuseppe Bonaparte,[15] e poi, alla partenza di quest'ultimo per la Spagna, al maresciallo Gioacchino Murat.[16]
Quindi, l'Italia continentale era tutta sotto il controllo di Bonaparte. Al contrario, le due isole di Sardegna e Sicilia non vennero mai travolte dai mutamenti che avevano interessato il resto dell'Europa, rimanendo la prima in possesso della famiglia Savoia, la seconda in mano ai Borbone.[17]
Antefatti
[modifica | modifica wikitesto]Nel 1812, dopo le violazioni del blocco continentale da parte della Russia, la Grand Armée si diresse verso l'impero zarista, con l'obiettivo di sconfiggere l'esercito russo e ripristinare con la forza il regime economico anti-britannico che gli stati alleati dei francesi erano stati obbligati ad adottare.[18] Nonostante una parte iniziale della campagna con moderati successi, Bonaparte non riuscì mai ad ingaggiare i russi in una battaglia campale decisiva: le continue ritirate delle forze di Kutuzov portarono l'esercito francese verso il cuore del paese, dove, agli inizi di novembre, furono costretti ad affrontare, impreparati, il tremendo gelo tipico dell'inverno russo. Costretti ad una lunga ritirata e bersagliati dagli eserciti russi, i soldati di Napoleone riuscirono quasi miracolosamente ad attraversare la Beresina e a mettersi in salvo in territorio polacco.[N 3] Le perdite subite durante la campagna furono immense: dei 600 000 soldati partiti, meno di un decimo fece ritorno.[19]
Colta la debolezza dei francesi, le altre nazioni europee non esitarono ad attaccare Bonaparte in un momento di difficoltà.[20][21] Solo l'Austria, momentaneamente, si mantenne neutrale.[22][23][N 4] Nonostante le difficoltà iniziali, soprattutto dovute alla carenza di veterani e all'inesperienza delle nuove reclute,[24] Napoleone riuscì a portare la sua situazione da quella che sembrava un'inevitabile sconfitta ad una fase di stallo. Dopo le battaglie di Lützen e di Bautzen, i diplomatici austriaci erano riusciti ad ottenere che venisse fatto rispettare un cessate il fuoco da entrambe le parti, poi trasformato in un armistizio due giorni dopo, il 4 giugno 1813.[25][26][27][N 5] La loro speranza, o meglio la speranza di Metternich, era che l'imperatore francese si rendesse conto di non poter proseguire la guerra ambendo ad una vittoria finale e concedesse una pace, seppur in una posizione sfavorevole, pur di mantenere vivo il suo impero.[28] Fu presto chiaro che l'orgoglioso Bonaparte non si sarebbe piegato alle condizioni delle forze della coalizione, che più e più volte aveva sconfitto nel corso degli anni.[29] Inoltre, era piuttosto evidente che l'Austria, in caso di fallimento dei negoziati, propendesse per entrare in guerra contro il proprio nemico storico[30][31] e che avrebbe cercato di vendicare le umilianti sconfitte subite nelle ultime due guerre.
Le forze in campo
[modifica | modifica wikitesto]L'esercito del Regno d'Italia
[modifica | modifica wikitesto]In previsione dell'entrata in guerra dell'Austria, Napoleone, che deteneva ancora il titolo di Re d'Italia, inviò nel paese il suo figliastro, il viceré Eugenio di Beauharnais, per mobilitare le forze del regno ed allestirne le difese.[32] Il vicerè, che lo aveva brevemente sostituito in inverno al comando dell'esercito[33] ed era rimasto in Germania assieme al grosso dell'esercito imperiale francese, partì alla volta dell'Italia il 12 maggio, subito dopo la battaglia di Lützen,[34] e giunse a Milano il 18 maggio 1813, dove chiamò immediatamente a raccolta tutte le truppe disponibili.[35] In pochi si presentarono all'appello: la maggior parte delle truppe del Regno d'Italia erano partite al suo comando per la spedizione in Russia, dove si erano distinte per la buona preparazione e le capacità militari, come dimostrato a Krasnoi e soprattutto a Malojaroslavec,[16] ricordata appunto come "la battaglia degli italiani".[36] Sfortunatamente, il fallimento della spedizione aveva trascinato con sè centinaia di migliaia di soldati, ed il corpo di spedizione di Eugenio non era sicuramente rimasto estraneo alla tragedia.[33]
Quasi tutte le truppe regolari del Regno d'Italia, assieme agli istruttori e a gran parte degli ufficiali erano morti in Russia: Eugenio doveva ricostruire l'esercito da zero.[35] Napoleone aveva chiesto che fosse radunato un esercito di 80 000 uomini, radunando i veterani rimasti in Italia, nuove leve di coscritti prelevati in loco e nei dipartimenti vicini, a cui si sarebbero unite anche delle forze provenienti dalla Spagna. La richiesta dell'imperatore era irrealizzabile, ma Eugenio fece quanto possibile per soddisfarla: riuscì a riunire, in tre mesi, circa 45 000 uomini,[37] 1 500 cavalieri e 130 cannoni.[35]. Queste forze furono organizzate in 6 divisioni di fanteria, 3 battaglioni di riserva e 12 squadroni di cavalleria.[37]
Eugenio scelse come proprio capo di stato maggiore il generale Martin Vignolle. Divise l'armata in 3 corpi:[37]
- il primo corpo, composto dalle brigate di Quesnel (7 777 uomini) e di Gratien (8 200 uomini),[38] al generale Paul Grenier,[37] con il quale aveva già collaborato nella campagna del 1809;
- il secondo corpo era composto dalle divisioni di Marcognet (7 189 uomini) e Verdier (7 486 uomini),
- il terzo corpo, composto dagli italiani, fu messo al comando di Domenico Pino, con Palombini (9 562 uomini) e Lechi (7 891 uomini) al comando delle divisioni che lo componevano.[38]
La cavalleria, 1 800 uomini, era sotto il controllo del generale Mermet mentre le riserve, 2 469 uomini, sotto il generale Bonfanti.[38] Il 10 agosto il quartier generale fu posto nella città di Udine. Difendendo la linea che congiungeva Trieste e Tarvisio,[37] Eugenio pose Grenier a Cividale,[35] Verdier al centro[37] e Pino tra Palmanova e Gorizia. La riserva fu posizionata a Pordenone,[35] la cavalleria a Padova e Treviso.[38] In questo modo, il vicerè sperava di riuscire a difendere entrambi gli ingressi in pianura, sia quello di Pontebba sia quello di Lubiana.[37]
L'esercito austriaco
[modifica | modifica wikitesto]In previsione della fine dell'armistizio e della propria entrata in guerra, l'Austria aveva già iniziato a mobilitare le proprie truppe. La decisione dell'Austria di entrare in guerra a fianco delle forze della coalizione antifrancese era evidente già a metà giugno, quando i contatti tra gli ufficiali prussiani ed il feldmaresciallo austriaco Schwarzenberg si erano intensificati notevolmente. Schwarzenberg e Radetzky, suo capo di stato maggiore, si stavano adoperando per formulare un piano su come distribuire le forze dell'esercito austriaco in modo da contrastare al meglio la Grand Armée.[39] Vennero creati due armate: la prima, al comando di Schwarzenberg, avrebbe agito sul fronte tedesco ed avrebbe accolto al suo interno la maggior parte delle forze dell'esercito austriaco; la seconda,[40] la "Armee von Innerösterreich", ovvero la "armata dell'Austria interna",[41] al comando dell'esperto Feldzugmeister Johann von Hiller, avrebbe invece operato sul fronte italiano, ragionevolmente ritenuto un fronte secondario.[40]
In Stiria, von Hiller aveva raccolto circa 50 000 uomini, posto sotto il suo comando. Come secondo, era stato scelto il feldmaresciallo Paul von Radivojevich. L'armata avrebbe compreso 31 battaglioni e 40 squadroni, riforniti dall'interno di Austria, Ungheria, Croazia,[N 6] Schiavonia e Galizia. Le truppe, di stanza in Austria e in Croazia, rimasero nelle loro guarnigioni fino a nuovo avviso; quelli provenienti dall'Ungheria e dalla Schiavonia dovevano stabilirsi sulla riva destra del Danubio, da Komorn e Veszprim, fino al confine austriaco, mentre quelli provenienti dalla Galizia si sarebbero sparsi tra Trencin e Bratislava.[40]
Il 12 agosto, pochi giorni prima della fine dell'armistizio, l'armata austriaca contava 36 128 soldati e 5 889 unità di cavalleria.[42][N 7] Era organizzata come segue:[43][44]
- la brigata Stanissavlevich in Alta Austria, sotto il diretto comando di von Hiller;
- la brigata Fölseis, che riportava direttamente a von Hiller;
- la divisione Marschall, con le brigate Eckhardt e Winzian, a Judenberg, nell'alta valle del Mura;
- la divisione Frimont, a Klagenfurt, con le brigate Vlasitz, Pulsky e Vécsey;
- la divisione Marziany, formata dalla brigata Mayer a Mahrenberg;
- la divisione Sommariva, con le brigate Wrede e Stutterheim, posizionata tra Wildon, Ehrenhausen e Leibniz;
- la divisione von Radivojevich, con le brigate Csivich, Rebrovich e Nugent;
- la riserva, rimasta a Graz.
A questi si aggiungevano 102 cannoni e tutte le unità destinate alla logistica.[45][44]
Le forze anglo-siciliane
[modifica | modifica wikitesto]Dopo l'invasione del Regno di Napoli del 1806, quel che restava dello stato borbonico erano i possedimenti della Sicilia, dove la famiglia reale napoletana si era rifugiata, sotto la protezione degli inglesi. Onde evitare che le truppe napoleoniche entrassero anche nell'isola, di fatto prendendo il controllo di un punto strategico per il dominio del Mediterraneo, la marina inglese rimase a protezione dell'isola. La collaborazione tra Ferdinando I e la corona britannica si intensificò negli anni a venire, quando firmò un accordo che garantiva al suo regno un prestito annuale di 400 000 sterline e una guarnigione inglesi a protezione dell'isola. Dopo la fallita invasione del 1810 e la sconfitta navale di Lissa, i napoletani di Murat compresero di non avere sufficienti risorse per poter occupare la vicina isola, desistendo in ulteriori tentativi.[46] Nel 1811, l'arrivo dell'ambasciatore inglese William Bentinck segnò un punto di svolta nella politica dell'isola: l'inglese, oltre a ravvivare la politica siciliana,[N 8] si assunse l'incarico di gestire le forze militari presenti sull'isola.[47][48]
Lo stato delle forze militari del Regno di Sicilia era misero: la regina Maria Carolina stimava le truppe del suo regno in 15 000, ma i capitani inglesi dell'epoca riferivano che fossero a malapena 7 500, privi di alcuno spirito militare e carenti di addestramento. L'apporto inglese fu determinante in questo senso: l'accordo del 1808 garantiva loro 10 000 soldati britannici, sebbene il numero potesse variare. Il massimo si ebbe nel 1810 con 17 500 unità, ma spesso venivano prelevati e dispiegati in altri fronti. Ad esempio, nel 1812, Bentinck stesso fu incaricato di compiere un'azione diversiva in Catalogna e partì dall'isola con 7 000 soldati della guarnigione, ottenendo magri successi.[46] Si stima che, al momento della sua partenza per l'Italia peninsulare, le forze a sua dispozione, tra italiani e inglesi, fossero di circa 14 000 uomini.[49] In particolare, tra questi si distinguevano gli uomini della Italian Levy, in generale disertori, prigionieri o volontari, radunati sotto il comando di Sallier de La Tour.[50]
La flotta inglese nell'Adriatico
[modifica | modifica wikitesto]Alle forze radunate sull'isola, si aggiungevano quella della flotta inglese nell'Adriatico. Già da anni, inglesi e francesi si contendevano il possesso del mare che garantiva una linea di comunicazione diretta tra l'Austria e gli inglesi. Numerosi furono gli scontri a partite dal 1807, anno in cui le isole Ionie furono rimesse sotto il controllo francese, garantendo a questi ultimi il controllo del canale di Otranto: con una zona così ampia sotto il loro controllo, i francesi avrebbero potuto ricostruire la loro flotta e porre in serio pericolo il dominio inglese sul mare.[51] Per impedirlo, la marina inglese inviò costantemente diverse navi a bersagliare le imbarcazioni nemiche in tutta la zona.[52] I vari scontri, come quella di Grado o di Lissa, minarono progressivamente il dominio francese sul mare e permisero alle navi britanniche di soffiare ai napoleonici il controllo dell'Adriatico.[53]
Il numero delle navi impiegate è variato molto nel corso degli anni e, al momento dell'inizio della campagna di Eugenio, le forze inglesi annoveravano circa una decina di navi, sotto il comando del contrammiraglio Thomas Fremantle e del capitano William Hoste. Tra queste vi erano sicuramente la Havannah,[54] lo squadrone di Fremantle (comprendente le navi Milford, Wizard, Eagle e Mermaid),[55] e le navi sotto il comando di Hoste (tra cui le navi Sarachen, Elizabeth e Bacchante).[56]
L'esercito napoletano
[modifica | modifica wikitesto]L'ultimo schieramento che avrebbe potuto intervenire in forze in Nord Italia in tempi rapidi era l'esercito del Regno di Napoli. Nonostante una parte delle forze dell'ex regno borbonico fossero impegnate in Germania, con Murat stesso a prendere parte ad alcune delle battaglie più importanti,[57] vi erano ancora delle riserve nel Sud Italia, che sarebbero potute andare ad ingrossare le file dell'esercito di Eugenio per difendere la penisola. Questo non avvenne.[37] Quasi certamente il motivo era dovuto alla rivalità con Eugenio, nata a seguito della spedizione in Russia.[58] Anche le ambizioni personali del maresciallo dell'Impero per il suo regno influirono su tale scelta: dopo aver constatato personalmente la situazione in cui versavano le armate francesi in Germania, Murat desiderava una certa indipendenza dalla Francia e l'autonomia da Napoleone stesso, mirando a fare dell'Italia un unico stato sotto la sua persona,[59] in un certo senso, anticipando il Risorgimento. Dopo gli eventi di Lipsia, Murat corse immediatamente in Italia, con la scusa di voler riorganizzare il proprio esercito per difendere le proprie coste dagli inglesi e poi accorrere in supporto ad Eugenio.[60]
In tale occasione, poi destinata ad essere il loro ultimo incontro,[61] Murat affermava di avere circa 50 000 uomini nel suo regno da poter portare sul Po. In realtà, questo non è del tutto corretto: la parte attiva dell'esercito, che in assenza di Murat era comandato dal maresciallo Pérignon, era composto da 3 divisioni di fanteria ed una di cavalleria, la Guardia Reale e la riserva; tutte le altre unità erano destinate a compiti di presidio. In un bollettino del 13 ottobre 1813, vengono così organizzate le forze napoletane:
- il generale Carrascosa comandava la prima divisione di fanteria, circa 8 000 uomini;
- il generale Pignatelli comandava la seconda divisione di fanteria, con circa 6 000 uomini;
- una terza divisione di fanteria, i cui marescialli di campo erano Soize e Filangieri, aveva circa 5 000 uomini;
- la divisione di cavalleria, comandata da Domon, contava circa 1 200 cavalieri;
- la riserva annumerava circa 4 000 unità sotto il francese Larroque ed il napoletano Carafa;
- la Guardia Reale contava precisamente 3 351 fanti e 2 186 cavalieri, cui si aggiungevano 400 artiglieri e 270 uomini della marina.
Quindi, nel complesso, Murat avrebbe potuto mobilitare rapidamente 30 000 uomini al massimo.[60]
La campagna
[modifica | modifica wikitesto]La campagna nelle Province Illiriche e nel Tirolo
[modifica | modifica wikitesto]Il 17 agosto, in concomitanza con la fine della tregua sancita dall'armistizio, Hiller venne informato della ripresa delle ostilità contro la Francia, leggermente in anticipo rispetto ad Eugenio. Non avendo ricevuto rapporti sicuri sul posizionamento e sui movimenti delle truppe del viceré, Hiller decise che la sua priorità era impedire che queste valicassero i passi alpini e si dirigessero in Austria ad ostacolare le due armate del principe di Reuss in Austria e di Schwarzenberg in Boemia. Decise quindi di disporre il proprio esercito in modo da poter comunicare efficacemente con l'esercito del Danubio, momentaneamente difendere il territorio imperiale e fare quanto possibile per scatenare e sostenere varie rivolte nelle Province Illiriche, ostili al dominio francese.[62] Prese le divisioni di Sommariva, Frimont e Marziany e le condusse a Klagenfurt mentre fece spostare quelle di Marschall da Leoben a Murau e di Radivojecvich da Zagabria a Karlovac. Così, mentre l'ala sinistra del suo esercito si preparava a fronteggiare i francesi, la destra poteva proseguire quasi indisturbata nelle proprie manovre nella penisola balcanica.[63] L'arrivo delle truppe austriache fece insorgere immediatanente la popolazione illirica e disertare le truppe croate dall'esercito napoleonico. Questi ultimi si aggregarono all'esercito imperiale austriaco, che vide lievitare i propri numeri sino a 60 000 uomini.[64]
Eugenio, informato con un giorno di ritardo,[65] decise di rispondere ai movimenti austriaci inviando la divisione di Grenier a Villaco (nel frattempo fatta evacuare da Gratien), Palombini a Laybach (Lubiana), mentre la 2ª divisione si riuniva a Tarvisio. Nei giorni seguenti, attorno al 21 agosto, gli austriaci attraversarono la Drava tra Rosegg e Villaco, occupando i due paesi. All'arrivo dei francesi scaturirono alcune schermaglie: la brigata di Quesnel ebbe la meglio ed entro il 29 agosto entrambe le città vennero liberate dagli austriaci, ricacciati sull'altra sponda. Gli austriaci si trincerarono a Feistriz, tentando di attaccare le linee di comunicazione di Eugenio e costringere il suo esercito a ritirarsi nella valle dell'Isonzo e dietro al versante italiano delle Alpi. Eugenio, invece fece avanzare Grenier: le due parti si scontrarono il 6 settembre, con i francesi vincitori del conflitto.[64] Gli austriaci di Vécsey[58] persero circa 1 200 uomini, i napoleonici 400.[64] Due giorni dopo, il generale Belotti su sorpeso, sconfitto e fatto prigioniero a Kaplafas.[66][67]
Nel frattempo, la situazione evolveva anche in Istria e Slovenia. Il generale Garnier fece evacuare Fiume il 26 agosto ed il 27 agosto Nugent entrò in città.[68] Pochi giorni dopo, nei primi di settembre, le truppe di Pino erano avanzate sino a Longatico.[64] Una serie di false notizie condizionarono il generale italiano e lo fecero esitare nell'avanzata. Mandò in avanti la brigata Ruggeri con tre battaglioni il 7 settembre: furono intercettati e sconfitti da Nugent nella battaglia di Lippa.[69] Gli austriaci approfittarono del successo e rioccuparono l'intera Istria, ponendo il blocco allo strategico porto di Trieste.[58] Questo non fermò l'avanzata di Eugenio, che l'11 settembre raggiunse Lubiana. Venuto a sapere della sconfitta, mandò in avanti Palombini e Pino sul litorale: passati all'offensiva, trovarono e attaccarono Nugent a Jelschane, sconfiggendolo il 14 settembre. Il giorno seguente, Ruggeri riprese Fiume. In quello stesso periodo, per questioni di salute, Pino cedette il comando della propria divisione a Palombini.[70]
L'esercito austriaco comandato da von Radivojevich, dopo essere risalita dalla Croazia, attaccò i napoleonici e vinse la battaglia di Cerknica il 27 settembre. Non potendo sostenere la posizione, Eugenio ordinò la ritirata sulla valle dell'Isonzo. L'esercito raggiunse il fiume il 6 ottobre.[66]
Un corpo austriaco si distaccò verso sud, al comando del generale Franjo Tomašić e attraversò la Dalmazia incontrando poca resistenza:[71] le truppe francesi, arroccate nelle poche grandi città della costa, si prepararono ad essere assediate dalle forze asburgiche via terra e dagli inglesi via mare.
L'assedio di Zara iniziò poco dopo:[72] la fortezza di Zara, comandata dal generale Claude Roize, fu circondata il 1º novembre e bombardata dal 22 novembre; un ammutinamento delle compagnie croate fu represso da Roize il 2 e 3 dicembre, ma la sua guarnigione fu ridotta a 600 uomini e dovette arrendersi agli austriaci il 6 dicembre; le truppe furono rimpatriate in Francia con la promessa di non prestare servizio prima dello scambio di prigionieri.[73] Anche l'assedio di Cattaro, difeso dal generale Jean-Joseph Gauthier e portato avanti dalle forze britanniche e montenegrine, dal 14 ottobre 1813 al 3 gennaio 1814, si concluse con la capitolazione francese. La piccola guarnigione francese, che contava 310 uomini, fu mandata prigioniera in Italia. Il 4 gennaio la città fu consegnata agli austriaci. Solo la guarnigione di Ragusa, comandata dal generale Montrichard, resistette ancora, ma fu indebolita dalla defezione di parte delle truppe croate e dall'agitazione delle restanti unità: l'assedio di Ragusa si concluse dopo otto giorni di attacchi guidati dagli austriaci del generale Todor Milutinović e dai britannici del capitano Hoste. La resa della città, il 29 gennaio 1814, pose fine alla dominazione francese sulla costa illirica.[74]
All'estrema destra francese, Bonfanti, assieme alla riserva, era avanzato nel Tirolo. Il 12 settembre il grosso della sua divisione era a Trento, mentre un battaglione occupava Bressanone e Mulbachl. Gli austriaci che si trovava ad affrontare erano solo un folto gruppo di volontari. Nei pochi scontri tra le due parti, i francesi avevano perso 100 uomini, catturati dal nemico. Bonfanti, invece di proseguire verso il territorio austriaco, iniziò a ritirarsi verso Verona. Questo atteggiamento, nonostante il 14 avesse nuovamente fatto ritorno a Trento, lo portò ad essere sostituito dal generale Giffelnga, un aiutante di campo di Eugenio.[75] Nel frattempo, l'armistizio tra il Regno di Baviera e l'Austria liberava la strada alle armate di Hiller: non avendo più nulla da temere sul loro fianco, potevano avanzare in forze verso le riserve di Eugenio.[76] Gifflenga mantenne un atteggiamento aggressivo: avanzò completamente fino a Mulbachl, sconfiggendo in due occasioni, il 28 settembre ed il 7 ottobre, le forze austriache rivolte contro di lui, ma quando seppe dell'arrivo di una colonna di 8000 uomini, non potè far altro che iniziare a ritirarsi verso Trento. La colonna austriaca giunse a Trento il 15 dello stesso mese, assediando la guarnigione di 400 uomini che Gifflenga aveva lasciato a guardia del forte della città.[75] Gifflenga non ebbe scelta se non ripiegare su Volano e Rovereto.[58]
Le prime operazioni in Italia
[modifica | modifica wikitesto]Nell'ottobre del 1813 Beauharnais si ritirò sulla destra dell'Isonzo e il generale Grenier lasciò Tarvisio per concentrare le forze sul Tagliamento. Il 15 ottobre l'esercito austriaco di 50 000 uomini al comando di von Radivojevich, favorito dall'entrata in guerra del Regno di Baviera, entrò nel territorio del Regno d'Italia in due colonne da est tra le Alpi e la costa adriatica. Tre giorni dopo il generale Eckhardt, passando per Cortina d'Ampezzo e Pieve di Cadore, giunse a Longarone, il 22 occupò Feltre e il 23, per Primolano e il Cismon, arrivò a Bassano.[58]
I combattimenti si riducevano principalmente a manovre. Le truppe di Beauharnais furono scacciate dalle loro posizioni per aggiramento, finché nel novembre 1813 si fermarono lungo la linea del fiume Adige. Nello stesso mese il re Massimiliano I Giuseppe di Baviera esortò suo genero Eugenio a rinunciare alla causa persa di Napoleone, ma Beauharnais rifiutò.
Il 29 ottobre il colonnello Rabié, che pure aveva resistito per 16 giorni all'assedio di Trieste, cedette il castello di San Giusto di Trieste a Nugent.[77] Il generale, d'accordo con i britannici, il 15 novembre sbarcò presso Goro e in quattro giorni conquistò Gorino, Po di Gnocca, Comacchio, Magnavacca, Ferrara e Rovigo, e si collegò con Hiller, che stava bloccando Venezia.[58] Il generale Hiller era stato sconfitto il 15 novembre a Caldiero.[78]
I generali francesi Couchy e Marcoquet lanciarono un tentativo di riconquista del Polesine, ma fallirono senza impedire a Nugent di continuare ad avanzare occupando l'11 dicembre Badia Polesine. Più successo ebbe la sortita del generale Pino, che riuscì a riprendere il 26 novembre Ferrara.
Nel frattempo le truppe britanniche e del Regno delle Due Sicilie tentarono invano di sbarcare in Toscana per provocare una sollevazione delle popolazioni locali.[79] Una prima sortita fu effettuata da parte di un corpo di spedizione di 1 500, alla guida del colonnello borbonico Catinelli e trasportato sulle navi britanniche. Il contingente, sbarcato a Viareggio il 9 dicembre e preso possesso dell'area, riuscì ad occupare Lucca ed a spingersi fino a La Spezia, per poi ripiegare rapidamente. Lo stesso corpo tentò nuovamente uno sbarco nel tentativo di prendere il porto di Livorno. Fallite le operazioni, il contingente duo-siciliano fu reimbarcato il 15 dicembre successivo, rientrando in Sicilia.[80]
La defezione di Murat
[modifica | modifica wikitesto]Le tensioni tra il Re di Napoli e l'Imperatore dei francesi si erano accumulate nel corso degli anni: Napoleone, sempre vigile sulla condotta dei propri alleati, interferì numerose volte nelle questioni interne del regno partenopeo, obbligando in più di un'occasione Murat a rivedere le proprie decisioni e ad adeguarsi alla linea imposta dalla Francia. Questo atteggiamento infastidiva profondamente il maresciallo, che desiderava ardentemente avere un regno indipendente dalla Francia e soprattutto da Napoleone.[81] Accarezzava l'idea di un'Italia unita sotto il suo comando[82][83] e la disastrosa guerra in Russia aveva immediatamente messo in pericolo questo sogno.[84] Murat, che nel dicembre 1812 era stato incaricato di sostituire Napoleone al comando dei resti della Grand Armée, si allontanò dalla Polonia nei primi giorni del gennaio successivo per tornare a Napoli.[85] L'incidente fece infuriare Napoleone che, per salvare le apparenze, fece pubblicare un annuncio sul Moniteur, dove sminuì le abilità di comando di Murat, affermando che Eugenio, al quale Murat aveva consegnato il comando dell'esercito, fosse un generale più adatto per gestire grandi armate.[86]
I rapporti tra i due si incrinarono definitivamente, sebbene Murat accettò comunque di prendere comando della cavalleria nella seconda parte della campagna di Germania del 1813 pochi mesi più tardi:[87][88] già da marzo il re di Napoli aveva fatto contattare gli ambasciatori austriaci e stava cercando di trovare con essi un accordo per avere salvo il suo regno, anche se questo avesse voluto dire rinunciare alla Sicilia.[84] D'altra parte, sebbene l'Austria rappresentasse il possibile miglior alleato sul continente, Murat doveva anche assicurarsi l'appoggio degli inglesi, che da anni proteggevano i legittimi re di Napoli a Palermo.[89] Un primo tentativo in questa direzione fu effettuauto a maggio, quando gli ambasciatori di Murat si recarono segretamente a Ponza, occupata dagli inglesi, e tentarono di intavolare una trattativa con Bentick. I termini posti da Bentinck, che riteneva la posizione di Murat piuttosto precaria, non piacquero affatto al francese: avrebbe dovuto rinunciare al suo trono a Napoli, ricevendone un altro equivalente a fine del conflitto, ed avrebbe immediatamente dovuto cooperare con le forze della coalizione, portando il suo esercito in Italia settentrionale. Sperando di poter ottenere da Metternich condizioni migliori, i contatti tra le due parti si conclusero rapidamente.[84]
Raggiunta Dresda pochi giorni prima della fine dell'armistizio, Murat fu uno degli ufficiali che tentarono con maggiore sforzo di convincere Napoleone della pace, cosa che il suo stesso esercito, ormai stremato, gli chiedeva. L'imperatore non riuscì ad accettare le richieste necessarie portate lui da Metternich e così la guerra proseguì.[90] La sconfitta di Lipsia tolse lui ogni speranza di poter ottenere quello che cercava restando fedele alla Francia. Nel suo ultimo incontro con Napoleone, disse lui che sarebbe andato a Napoli per prendere il suo esercito e portarlo in Nord Italia, cosa che si era rifiutato di fare nei precedenti mesi.[59]
Tornando in Italia, Murat prospettò a Beauharnais un'alleanza autonoma rispetto alla linea francese, ma invano.[91][58] Rientrato a Napoli il 4 novembre, il maresciallo inviò verso Roma ed Ancona due divisioni, rispettivamente al comando dei generali Carrascosa ed d'Ambrosio. La mossa era accompagnata da un'evidente ambiguità, visto che Murat rassicurava al contempo Napoleone che fossero le truppe che gli aveva promesso contro gli austriaci, ai quali invece fece sapere che quegli uomini non avrebbero tenuto un atteggiamento ostile.[58]
Nei primi giorni di dicembre l'esercito napoletano di Murat occupò Roma ed Ancona, senza che i franco-italiani avessero una idea chiara di quale fosse il suo intento. I comandanti francesi sul posto, Miollis e Barbou, diffidando di Murat si chiusero sulla difensiva, mentre il comandante napoletano Filangieri risaliva la penisola, giungendo prima a Firenze e poi, il 28 dicembre, a Bologna, occupando quindi le Marche e la Romagna e prendendo infine contatti col generale Pino.[58]
L'11 gennaio 1814, infine, Murat uscì allo scoperto, sottoscrivendo a Napoli un'alleanza con l'Austria. Gli accordi presi gli garantivano il controllo del regno[4][92][3] e addirittura, riservatamente, un ampliamento territoriale ai danni dello Stato Pontificio, con la rinuncia da parte di Ferdinando IV ai dominii di terraferma. In cambio Murat rinunciava alla Sicilia.[84] Riguardo alla operazioni militari, il generale si impegnava a sostenere la Coalizione con un esercito di 30 000 uomini. Il 21 gennaio 1814 il Regno di Napoli cambiò schieramento, puntando i propri soldati contro l'ex alleato Beauharnais.
Tuttavia Murat evitò di impegnarsi in ostilità attive contro le truppe franco-italiane, a seguito delle quali le truppe di Beauharnais riuscirono a frenare con successo l'avanzata degli austriaci e lo sbarco britannico nella zona del Po. Sotto la forte pressione dei suoi nuovi alleati, Murat effettuò attacchi lenti senza grandi risultati.
Con la guerra ormai a chiaro favore della Coalizione, e con il tradimento del cognato, Napoleone scrisse al figliastro Eugenio di abbandonare l'Italia e ripiegare con le sue truppe verso le Alpi Occidentali, ma Beauharnais rifiutò, volendo fronteggiare l'armata austro-napoletana. Allo stesso tempo Bonaparte liberò Papa Pio VII, per impedire che fosse la Coalizione a farlo.[93]
L'arrivo di Bellegarde
[modifica | modifica wikitesto]Nel frattempo, le continue indecisioni ed i lenti ritmi dell'avanzata erano costati ad Hiller il posto di comando. Al suo posto era stato inviato il feldmaresciallo Heinrich Johann Bellegarde, che aveva preso il comando dell'esercito austriaco il 15 dicembre 1813 a Vicenza e, in gennaio, ordinò alle sue truppe una nuova offensiva lungo l'Adige. Mentre Nugent avanzando da Ferrara occupava tutta la Romagna, Bellegarde mostrò le sue doti diplomatiche e riuscì a convincere Murat a schierare 20 000 dei suoi uomini in Emilia-Romagna contro Beauharnais. Bellegarde aveva designato il corpo del conte Nugent (circa 9 000 uomini, 800 cavalieri e 21 pezzi d'artiglieria) per operazioni sulla riva destra del Po allo scopo di minacciare il fianco destro del viceré d'Italia sul Mincio. Consapevole della concentrazione di forza avversarie tra Villafranca di Verona e Roverbella, Beauharnais diede disposizioni per un attacco per l'8 febbraio 1814.[94] Ma, in concomitanza con la decisione del comandante, il maresciallo Bellegarde, nell'errata convinzione che il viceré si fosse già ritirato in direzione Alessandria, ordinò ai generali Radivojevich e Franz von Merville di passare il fiume Mincio fra Borghetto e Bozzolo, ed ai generali Anton Mayer von Heldenfeld e Sommariva di ingaggiare le truppe austriache a Mantova e Peschiera. L'errato convincimento di Bellegarde, che fece muovere offensivamente le sue truppe in contemporanea con gli austriaci, determinò la sanguinosa battaglia del Mincio, dove i francesi - pur avendo inizialmente mantenuto il campo - finirono col perdere le proprie posizioni.
L'11 febbraio Murat occupò la cittadella di Ancona, abbandonata dai francesi. L'ala destra degli austriaci affrontò Beauharnais nei pressi di Parma all'inizio di marzo. D'accordo con Murat, Nugent decise il 6 marzo di attaccare il nemico a Reggio Emilia. Il 7 marzo gli austriaci marciarono al comando del maggior generale Anton Gundacker von Starhemberg e della divisione napoletana del generale Carrascosa verso Reggio, dove il generale italiano Filippo Severoli si era rifugiato con 7 000 uomini nei pressi di San Maurizio. Il 10 marzo gli austriaci avevano raggiunto il Taro, occupato Fornovo e si stavano avvicinando a Piacenza.
In quello stesso periodo, sempre il 7 marzo, una parte delle forze anglo-siciliane di Bentinck sbarcò a Livorno: erano 7000 uomini, divisi tra 1600 siciliani e 5400 inglesi. Sbarcati, gli uomini di Bentinck occuparono la città, con l'eccezione del forte, rimasto in mano ai francesi, ed incitarono pubblicamente alla ribellione anti-francese. Mentre aspettava che i rinforzi raggiungessero la Sicilia, il generale inglese ebbe diverse accese discussioni con i rappresentanti siciliani, che avevano pubblicamente dichiarato che re Ferdinando non avrebbe rinunciato al trono di Napoli. Invece di condannare il discorso, Bentinck sfruttò ogni occasione possibile per attaccare Murat. Le discussioni tra i due furono sempre accese e furiose, dove entrambe le parti minacciarono di entrare in guerra l'una con l'altra più volte. Dovette intervenire Bellegarde per sedare le liti tra le due parti. Nel frattempo, verso la fine di marzo, la seconda divisione anglo-siciliana era sbarcata in Toscana e il generale inglese si mise in marcia alla volta di Genova e della Liguria.[95][96]
Dopo aver ricevuto la notizia della rinuncia al trono di Napoleone, Eugenio firmò con il generale austriaco, il conte Karl Ludwig von Ficquelmont una convenzione, a seguito della quale il 16 aprile rinunciò alle armi, cedette Milano e cedette a Bellegarde il comando supremo delle truppe italiane. In quel frangente Eugenio di Beauharnais voleva essere incoronato (cosa a cui la Coalizione non si oppose), ma il Senato consulente italiano rifiutò.
Venezia fu occupata dagli austriaci il 20 aprile mentre Genova dagli anglo-siculi lo stesso giorno. Sempre il 20 aprile scoppiò a Milano una ribellione contro il viceré che portò al linciaggio del Ministro delle finanze Giuseppe Prina.
Il 23 aprile di conseguenza Beauharnais firmò la Convenzione di Mantova, con la quale gli austriaci riuscirono ad occupare tutta l'Italia settentrionale, e si ritirò in Baviera sotto il patrocinio del re Massimiliano I Giuseppe.
Conseguenze
[modifica | modifica wikitesto]L'abdicazione di Napoleone segnò la fine dell'occupazione francese in Italia. Il 27 aprile le guarnigioni francesi si arresero a Piacenza e il 28 aprile anche la fortezza di Mantova. Nello stesso giorno, gli austriaci entrarono a Milano il 28 aprile. Invece, il re Vittorio Emanuele I di Savoia entrò a Torino il 20 maggio. Anche se la guerra era terminata, restava comunque molto da discutere: vent'anni di lotte avevano stravolto i vecchi confini europei, inclusi quelli italiani. Le potenze europee si decisero a ridisegnare l'Europa intera a Vienna.
La speranza di Murat di vedersi riconfermare e riconoscre come legittimo re di Napoli, come fu fatto per la Svezia di Bernadotte,[N 9] fu messa a dura prova: l'Inghilterra sosteneva il ritorno al trono di Ferdinando e, tra le grandi potenze, solo l'Austria appoggiava la candidatura di Murat, senza nemmeno troppa convinzione. Il ritorno in Francia di Napoleone troncò definitivamente il sogno di Murat: il generale francese appoggiò il ritorno dell'imperatore corso, inimicandosi definitivamente il parere del congresso, che si schierò in favore le posizioni legittimiste promosse dall'Inghilterra. Murat tentò di opporsi, cercando di difendere il proprio regno con la forza, ma venne sconfitto dagli austriaci a Tolentino e fucilato poco tempo dopo.
La caduta del Regno d'Italia fu un evento traumatico per i patrioti e intellettuali italiani, tra cui Ugo Foscolo, Giovanni Berchet e Alessandro Manzoni, che videro infrangersi il sogno di un'Italia unita. Manzoni in particolare scrisse una canzone intitolata "Aprile 1814" in cui auspicava il mantenimento dell'indipendenza del regno, fatto che per volere del Congresso di Vienna non avvenne.[97][98] Il ricordo di uno stato nazionale e liberale italiano sotto Napoleone diede la spinta necessaria ai patrioti[N 10] durante il Risorgimento per continuare a lottare per l'unificazione.
Note
[modifica | modifica wikitesto]Note informative
- ^ Solo de iure, di fatto il Regno di Napoli non partecipò alle operazioni militari al fianco dell'Impero francese, perché il re Gioacchino Murat stava intavolando trattative con la Coalizione per cambiare schieramento.
- ^ De facto soltanto Murat, in quanto l'Esercito del Regno di Napoli non combatté mai realmente contro la Coalizione durante la campagna, e fu mobilitato solo contro l'esercito di Beauharnais.
- ^ Nelle prime fasi del conflitto, i russi tentarono di fermare attivamente i francesi, subendo pesanti sconfitte, come a Smolensk. L'intervento di Kutuzov, che decise di applicare una tattica in stile "terra bruciata", ritirandosi quasi sempre alla vista dei napoleonici, attirandoli sino alle porte di Mosca. Rimasti lì per un mese, al ritorno i francesi furono colti dal rigido clima russo e colpiti in continuazione dai soldati russi, che non ingaggiarono mai una battaglia campale, preferendo schermaglie e battaglie di entità più ridotta.
- ^ La neutralità dell'Austria era una questione di pura convenienza: Metternich e l'imperatore Francesco serbavano rancore per Napoleone e volevano rifarsi sulla Francia ma, ricordando gli eventi delle ultime due guerre, decisero che attendere e osservare il corso degli eventi avrebbe portato loro un vantaggio. Rimanedo all'esterno del conflitto avrebbero potuto agire da mediatori e schierarsi dalla parte più conveniente al momento opportuno. Se Napoleone fosse emerso vincitore, avrebbero potuto far leva sulla loro alleanza ed entrare in guerra al suo fianco; viceversa, sarebbero certamente entrati in guerra contro di lui per distruggerlo una volta per tutte.
- ^ Dopo una mobilitazione di massa, i francesi ed i loro alleati erano riusciti, seppur a costo di pesanti perdite, a fermare l'avanzata dei coalizzati e a respingerli. Al tempo dell'armistizio di Pleiswitz, le altre potenze stavano riconsiderando la loro situazione, scontente dei risultati ottenuti fino a quel momento.
- ^ Si ricorda che la provincia austriaca di Croazia e lo stato odierno non coincidono, territorialmente.
- ^ Weil riporta che due distinti rapporti abbiano un totale differente di truppe. È tuttavia relativamente normale che gli archivi siano imprecisi.
- ^ Bentinck, notando il carattere assolutistico della monarchia che stava alienando le simpatie popolari per i Borbone, decise, in nome della lotta contro i francesi, di scavalcare i sovrani e riformare le strutture politiche del regno di Sicilia in modo da renderle più somiglianti a quelle inglesi: decretò la fine del feudalesimo, fece promulgare una Costituzione del 1812 e creò un parlamento bicamerale. Queste riforme vennero immediatamente messe alla prova durante la sua momentanea assenza ed abbandonate nel 1816, dopo la sua definitiva partenza.
- ^ Bernadotte, un altro dei marescialli di Napoleone era stato adottato dalla famiglia reale svedese ed era in procinto di diventare re di Svezia. Differentemente da Murat, Bernadotte era sempre stato inviso a Napoleone, verso cui tale antipatia era ricambiata. Una volta preso il proprio posto nella linea di succesione svedese, Bernadotte si comportò sempre da nemico, favorendo gli interessi della sua nuova nazione piuttosto che quelli francesi. Questo lo mise in ottima luce agli occhi delle grandi potenze, per cui fu riconfermato come legittimo erede al trono dal congresso di Vienna.
- ^ Molti dei quali veterani degli stessi eserciti italiani napoleonici
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- Per una lettura della cronaca di allora, si legga l'annata del quotidiano Giornale Italiano del 1814 in Giornale Italiano, Milano, Giornale Italiano, anno 1814.